        Venerd&igrave; 29 giugno 1984, quando si present&ograve; in pista per le qualifiche del GP Olanda classe 125, Maurizio Vitali s&rsquo;era ripromesso una cosa: evitare a tutti i costi di fare la pole. Cos&igrave;, pensava, avrebbe verificato se la maledizione di cui si sentiva vittima era realt&agrave; o fantasia. Durante quella stagione era partito al palo gi&agrave; in tre occasioni, finendo sempre nei guai, per un motivo o per l&rsquo;altro. L&rsquo;obiettivo, poi riuscito, era la prima fila ma senza aver siglato il miglior crono, per capire se cos&igrave; la sfortuna l&rsquo;avrebbe ignorato. Il giorno della gara, dopo le schermaglie iniziali, la strategia sembrava funzionare: il romagnolo, 27 anni, guidava la corsa e gli veniva tutto facile. L&rsquo;indicatore della temperatura dell&rsquo;acqua, sullo zero, non lo preoccupava: si sar&agrave; rotto lo strumento, pens&ograve;. Invece, funzionava eccome. Era al massimo, non al minimo: il calore aveva fatto fare il giro alla lancetta! Il bicilindrico due tempi della sua MBA alz&ograve; bandiera bianca, smentendo la tesi della pole stregata e confermando una teoria pi&ugrave; datata: quando la vittoria sembrava l&igrave;, a un passo, ne succedeva sempre una. Il caso pi&ugrave; eclatante un paio d&rsquo;anni prima a Misano, con una rottura a meno di un giro dalla bandiera a scacchi mentre si preparava per un finale di fuoco contro nientemeno che il futuro 12+1 volte campione del Mondo Angel Nieto. In qualche modo ai forfeit tecnici Vitali impar&ograve; a farci l&rsquo;abitudine, mentre le luci della ribalta non l&rsquo;hanno mai visto a suo agio. Nel 1983 a Imola, circondato da tifosi e curiosi dopo il primo successo nel Motomondiale, ignor&ograve; tutti e rientr&ograve; a casa senza tante cerimonie. Di vittorie ne colse due, ma potevano essere di pi&ugrave;. Innamorato della guida ma poco attratto dall&rsquo;aspetto tecnico dei mezzi con cui ha corso, compens&ograve; con l&rsquo;istinto ci&ograve; che mancava sul fronte della conoscenza. Uno stile improntato sulla forza, che conobbe una svolta nel 1983 quando il romagnolo ricevette una rivelazione: in un contesto sacro, avrebbe visto un paio d&rsquo;angeli avvolti in un fascio di luce e ascoltato un coro di voci bianche. Si trovava invece a bordo pista durante un turno di prove della classe 500: furono Freddie Spencer e Kenny Roberts a &ldquo;confidargli&rdquo; il segreto.  Continua nella prossima pagina EWC, 8 Ore di Suzuka: Suzuki al via col team CN Challenge Maurizio Vitali si racconta  Cosa accadde?  &ldquo;A Jarama, ero in compagnia del mio futuro cognato, che voleva scattare qualche foto. C&rsquo;era una doppia curva a sinistra: i primi a passare frenarono tardi e forte, entrarono con la forcella schiacciata, abbastanza &lsquo;impiccati&rsquo;, poi via in accelerazione. A un certo punto, ecco Spencer e Roberts: toccarono i freni prima degli altri e con maggiore delicatezza. Cos&igrave; le moto si scomposero meno e quando andarono a piegare l&rsquo;assetto non era in crisi. Avevano molta pi&ugrave; velocit&agrave;, una cosa impressionante. Pi&ugrave; tardi, quando scesi in pista per il mio turno, replicai quel modo di guidare. Non fu una cosa elaborata mentalmente, era come se l&rsquo;avessi assorbita in modo naturale. Fui rapidissimo: feci la mia prima pole. Fu una svolta&rdquo;.  E in gara?  &ldquo;Andai in testa, ma il motore inizi&ograve; a calare. Eugenio Lazzarini mi riprese e mi super&ograve;. A quel punto, secondo le mie impressioni, rallent&ograve;. Forse voleva agevolare il rientro del suo compagno di squadra, Nieto, che correva in casa ed era attardato. In uscita da una curva stretta esit&ograve; nell&rsquo;aprire il gas. Nel giro successivo fece la stessa cosa e mi spazientii. Nella sinistra successiva, da quarta marcia, feci una manovra da matto: lo passai all&rsquo;esterno prendendomi un bel rischio, perch&eacute; oltre l&rsquo;asfalto c&rsquo;erano appena venti centimetri d&rsquo;erba e un guard-rail. In uscita allargai il gomito per scansarlo. Non ricordo se ci toccammo&rdquo;.  Eri uno aggressivo?  &ldquo;Se serviva, mi facevo rispettare. Gli equilibri si stabilivano cos&igrave;. Sempre in quella gara, poco dopo venni raggiunto da Nieto. Visto il mio motore, fiacco, mi affianc&ograve; sul rettilineo e inizi&ograve; a stringermi contro il muretto dei box. Tutt&rsquo;altro che intimorito, semmai arrabbiato perch&eacute; senza problemi tecnici forse avrei vinto con 20 secondi di vantaggio, praticamente gli lanciai la moto addosso. Lui se ne accorse in tempo e mi evit&ograve;&rdquo;. Come fin&igrave;?  &ldquo;Pensavo che una volta al parco chiuso ci saremmo messi le mani addosso. Che lui fosse arrabbiato. Invece, non mi disse nulla. Da quel giorno, non mi ha pi&ugrave; ostacolato&rdquo;.  L&rsquo;anno prima, a Misano, tu e Nieto avevate battagliato fino all&rsquo;ultimo giro.  &ldquo;Eravamo disposti a tutto. Per quanto mi riguarda, anche a combinare dei danni. Come da copione, il mio bicilindrico cal&ograve; e sul dritto ero penalizzato. Nonostante tutto, nel giro decisivo ero davanti: prevedevo un attacco di Nieto all&rsquo;ultima curva, ma non ci arrivai, perch&eacute; la moto mi moll&ograve; prima. Colpa di una vite larga tre millimetri e lunga 1,5&rdquo;. Lo spagnolo, tagliato il traguardo da vincitore, si ferm&ograve; a bordo pista e venne caricato su un&rsquo;ambulanza: era acciaccato, reduce da una caduta la settimana prima mentre correva con una Honda 500. Fu Nieto il tuo rivale pi&ugrave; tosto?  &ldquo;S&igrave;, senza dubbio. Veloce, grintoso, intelligente, ambizioso, determinatissimo. Anche generoso. Penso all&rsquo;ultima gara del 1984. Anche se aveva gi&agrave; vinto il titolo della 125, corse al Mugello perch&eacute; la Garelli, per la quale era ufficiale, voleva monopolizzare il podio. Oltre a lui e Lazzarini, schierava Fausto Gresini. Ero il pi&ugrave; veloce, ma Nieto ci prov&ograve; comunque. Poteva accontentarsi, invece cadde e si fece pure male&rdquo;.  Quella fu la tua seconda vittoria nel Motomondiale, la prima era arrivata un anno prima a Imola: un&rsquo;emozione particolare?  &ldquo;Nemmeno tanto. Finita la corsa, attorno alla mia tenda si radun&ograve; un sacco di gente. Ma io non vedevo l&rsquo;ora che se ne andassero via tutti. Praticamente li ignorai, continuando a sistemare la mia roba. Raccolsi la tenda canadese, caricai tutto sul furgone e me ne andai. Non mi interessava apparire, anzi, ero piuttosto solitario, nel paddock. Pensavo a correre e basta. Nemmeno vincere era una priorit&agrave;. Una volta fui contentissimo per un 10&deg; posto dopo una bagarre esaltante&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Vitali: l'intervista  Nel 1984, l&rsquo;avvio fu notevole: sempre in pole nei primi tre GP.  &ldquo;A Misano in gara chiusi secondo, in Spagna e Germania mi ritirai. A quel punto iniziai a pensare che finire primo nelle qualifiche portava male. Due GP pi&ugrave; tardi, in Olanda, evitai apposta di fare la pole: siglavo il primo tempo provvisorio, tornavo ai box e rientravo soltanto quando dal monitor notavo che ero sceso in seconda fila. In quel periodo ero in stato di grazia, giravo forte e mi veniva facile. Stavo ancora sfruttando il segreto rubato a Roberts e Spencer&rdquo;.  Come and&ograve; in gara ad Assen?  &ldquo;Ero davanti, quando vidi che la temperatura era a zero. Pensavo si fosse guastato l&rsquo;indicatore, invece era alle stelle! Colpa di un tubicino del radiatore, che mi lasci&ograve; senza acqua, cottura completa. Doppia beffa: oltre a veder evaporare una possibile vittoria, dovetti mettere mano al portafogli per pagare i danni&rdquo;.  Come gestivi i fondi?  &ldquo;Mi compravo la moto e ci andavo a correre. La assemblavo io stesso, anche se di tecnica ne masticavo poco. Mentre gli altri giocavano con la carburazione, io non cambiavo nemmeno i getti del massimo. Dell&rsquo;Orto 160, lo ricordo ancora. Feci tutta la stagione con quelli. A un certo punto mi sponsorizz&ograve; un marchio di birra, Stella Artois. L&rsquo;importatore era di Bellaria come me e un giorno mi chiese di stilare un budget. Dopo averlo messo su carta, preoccupato da somme che mi sembravano troppo alte, iniziai a tagliare qua e l&agrave;. Quando gli presentai la cifra, mi disse: &lsquo;Dove vuoi andare con questi? Sono pochi!&rsquo;. Mi diede di pi&ugrave;, ma alla fine non bastavano comunque&rdquo;.  Nel 1985 eri in 250 da ufficiale Garelli, compagno di squadra di Nieto.  &ldquo;Lui aveva un motore pi&ugrave; spinto del mio, veloce ma anche pi&ugrave; cattivo e difficile. Angel era a fine carriera, all&rsquo;anagrafe aveva dieci anni pi&ugrave; di me che ne avevo 28, aveva meno motivazioni. Non si qualificava nemmeno. La domenica diceva al team di montare il suo bicilindrico sulla mia moto. In gara poi, mi ci voleva qualche giro per adattarmi all&rsquo;erogazione. La Garelli era ben messa come cavalli, ma si rompeva. La ciclistica era nata gi&agrave; vecchia: lunga d&rsquo;interasse, era bassa e con poca escursione nelle sospensioni, l&rsquo;angolo del cannotto di sterzo troppo aperto. Nel guidarla, sembrava di dover spostare un camion&rdquo;.  Con te la Garelli 250 venne sviluppata?  &ldquo;Non grazie al mio contributo. Non fui molto utile perch&eacute; non riuscivo a dare indicazioni. Faceva parte del mio modo di essere e di guidare: se non giravo abbastanza forte, ci mettevo pi&ugrave; cattiveria. Non cercavo di capire e sistemare&rdquo;.  Hai mai cambiato approccio, da questo punto di vista?  &ldquo;No. Nel 1986 in Svezia ottenni il miglior piazzamento in 250, un quarto posto in condizioni miste. L&igrave; la Garelli andava bene perch&eacute; le curve sopraelevate ne valorizzavano la stabilit&agrave; e c&rsquo;erano pochi punti in cui serviva maneggevolezza. Poi andammo a Misano, dove pensavo di volare. Invece, nelle prove ero lento. Rientrato ai box buttai l&igrave; una proposta senza troppe basi: chiesi di allungare i rapporti, una corona con tre denti in pi&ugrave;. Funzion&ograve;: conquistai la prima fila. Ma fu una botta di c&hellip; E comunque in gara mi ritirai dopo qualche giro per un problema tecnico. Tanto per cambiare&rdquo;.  Rimpianti?  &ldquo;In 250 a un certo punto emerse la possibilit&agrave; di andare in Yamaha. Avevo ricevuto un&rsquo;offerta da Giacomo Agostini, ma poi i giapponesi imposero un pilota del Sol Levante e sfum&ograve; tutto. Avevo anche offerte da Honda, che scartai, e Aprilia. Andai a Noale e mi presi una settimana per riflettere. Pensai: loro hanno Loris Reggiani, non &egrave; pi&ugrave; bello se io resto alla Garelli, un altro italiano su moto italiana, e vediamo cosa succede? C&rsquo;era pi&ugrave; poesia. Per la mia carriera fu uno sbaglio. E l&rsquo;ho pagato&rdquo;.        

"Vinsi due gare in carriera: poche se penso ai numerosi guai meccanici, ma tante se rifletto sui mezzi a disposizione e sulla mia conoscenza tecnica, non certo infnita"

Maurizio Vitali: "Scelsi la Garelli. C'era più poesia, ma pagai quella scelta"

        Il dominio che Ducati sta mettendo in scena nelle ultime stagioni della MotoGP &egrave; altamente dimostrato anche dai strepitosi numeri raccolti fino ad ora. Per intenderci, la squadra di Borgo Panigale vanta 30 vittorie nelle ultime 31 gare, una statistica impressionante che manifesta la superiorit&agrave; della casa italiana che ad Austin potrebbe raggiungere un nuovo record. Ci riferiamo alle 20 vittorie consecutive che nel biennio 1968\1969 MV Agusta realizz&ograve; insieme a Giacomo Agostini, record superato successivamente dalla Honda, che dal 1997 al 1998 trionf&ograve; in 22 occasioni, 18 con il dominatore dell'epoca, Mick Doohan, 2 con Alex Criville, e una con Carlos Checa e Tadayuki Okada.&nbsp;  Nel GP di Le Mans potrebbe avvenire il record all-time Ducati &egrave; al momento ferma a quota 19 successi consecutivi, e, qualora dovesse trionfare ad Austin (scenario pi&ugrave; che probabile visti gli attuali valori in campo) eguaglierebbe la seconda posizione della MV Agusta. Inoltre, con altre due vittorie, conquistabili nei GP del Qatar e Jerez, approderebbe al primo posto di questa speciale classifica a pari merito con la sopracitata Honda, mentre nel sesto appuntamento della stagione a Le Mans potrebbe avvenire il sorpasso definitivo, diventando cos&igrave; la casa costruttrice pi&ugrave; vincente di sempre in termini di GP vinti consecutivamente. Numeri alla portata di Ducati, la quale ha sempre vinto dal GP di Austin del 2024 in poi. L'ultima affermazione che non riguarda la squadra bolognese risale appunto al GP delle Americhe della passata annata quando l'Aprilia di Maverick Vinales ebbe la meglio su Pedro Acosta e Marc Marquez. Per trovare l'utimo successo di una casa non italiana dobbiamo risalire al GP di Buriram 2022 con l'affermazione della KTM di Miguel Oliveira; invece l'ultimo trionfo di una casa giapponese risale invece al GP del Sachsenring 2022, con il successo della Yamaha Fabio Quartararo.  GP Americhe MotoGP 2025: orari e programmazione Sky e TV8 - Live       

Qualora dovesse vincere in Texas, la compagine bolognese raggiungereebbe quota 20 successi consecutivi, a meno due dal record all-time di Honda

MotoGP Austin: Ducati ad un passo dal record di MV Agusta

        Un mito delle due ruote, un&rsquo;icona, un divo, un sopravvissuto. Questa &egrave; la storia di Giacomo Agostini.&nbsp;Gi&agrave; presentato alla 19&deg; Festa del Cinema di Roma, e reduce dal successo nelle sale, arriva su Sky AGO. PRIMA DI TUTTI, in esclusiva su Sky Documentaries e TV8 sabato 29 marzo alle 21.45 e in simulcast anche su Sky Sport Uno. In streaming solo su NOW e disponibile on demand. Giacomo Agostini &egrave; stato l&rsquo;eroe di un&rsquo;epoca in cui la societ&agrave; vedeva nel mezzo meccanico un simbolo irrinunciabile di progresso e libert&agrave;. Negli anni Sessanta e Settanta, l&rsquo;automobile e la motocicletta non erano semplici strumenti, ma simulacri di una modernit&agrave; che pulsava al ritmo delle sfide e dell'innovazione tecnologica. In quel periodo, il rombo dei motori, l'odore della benzina e l'asfalto che si consumava sotto le ruote rappresentavano quasi un rito sacro, un credo che trovava in Agostini la sua pi&ugrave; pura incarnazione. Il mezzo meccanico, trasformato in un&rsquo;estensione dell&rsquo;uomo, divenne il tramite attraverso il quale si misuravano coraggio, audacia e immortalit&agrave;. Giacomo Agostini era il &ldquo;migliore&rdquo;, il pilota che osava sfidare la morte, uscendo sempre trionfante. Era colui che attraversava il fuoco dell&rsquo;inferno senza esserne toccato. Un moderno Parsifal che, con ogni vittoria, confermava la propria leggenda.&nbsp;&nbsp; E proprio questa audacia ha scolpito il suo mito, in un&rsquo;epoca in cui la morte non era solo un&rsquo;eventualit&agrave;, ma parte integrante dello spettacolo, un&rsquo;attrazione oscura che conferiva al motorismo sportivo un fascino che oggi ci appare quasi inconcepibile. Partendo da questi elementi, Giacomo Agostini ha scelto di raccontarsi in prima persona. Ne emerge il ritratto non solo di un campione, ma di un mito assoluto, un uomo che &egrave; riuscito a lasciare un'impronta indelebile nella storia del motociclismo.       

Nella classe 500 ha conquistato 8 Mondiali con 68 vittorie. Nella 350, 7 titoli iridati e 54 successi. Insieme a Mike Hailwood &egrave; il pilota che ha vinto pi&ugrave; gare nello stesso anno. Nessuno &egrave; stato come lui. Nessun motociclista ha mai raggiunto i suoi record

Ago. Prima di tutti: il documentario sulla leggenda del motociclismo

        Nuova gara nel continente americano e seconda puntata della rubrica &ldquo;Paese che vai, pilota che trovi&rdquo;. Per la #RoadToAustin oggi vediamo tutti i piloti americani del Motomondiale, da quelli pi&ugrave; vincenti ai one season wonder. A differenza dell&rsquo;Argentina che ha prodotto solamente Porto, Rodrigo e Valentin Perrone, la scuola nordamericana del motomondiale ha prodotto un numero enorme di piloti, titolati o meno, che hanno dato spettacolo sui tracciati di tutto il mondo.&nbsp;  Kenny Roberts capostipite e primo titolato, Freddie Spencer l&rsquo;eroe delle due classi  Se qualche traccia di pilota americano si &egrave; intravista sul finire degli anni 60, &egrave; dagli anni 70 che dal Nord America arrivano in massa piloti dalle grandi doti di guida, provenienti dal campionato nazionale AMA. Il capostipite della colonia americana del Motomondiale &egrave;, senza dubbio, il grande Kenny Roberts. Kenny debutta in 250 nel 1974 con la Yamaha e non lascer&agrave; mai pi&ugrave; le moto di Iwata, diventandone team manager poi tra gli anni 80 e 90.&nbsp; Kenny arriva 4&deg; in 250 nel 1978 con due vittorie e due secondi posti, ma &egrave; in 500 che ottiene le fortune maggiori con ben tre titoli consecutivi tra il 1978 ed il 1980. Nel 1981 chiude terzo e nel 1983 chiude secondo per due punti alle spalle di Freddie Spencer. Un altro grande degli anni 80 e tre volte iridato proprio come il &ldquo;marziano&rdquo; Kenny Roberts &egrave; nientemeno che &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer, fino all&rsquo;anno scorso capo dello Steward Panel della FIM. Freddie debutta nel 1980 in 500 con la Yamaha ma sar&agrave; con la Honda che far&agrave; i risultati migliori. Nel 1983 batte di appena due punti Kenny Roberts, mentre nel 1985 fa la storia vincendo nello stesso anno 250 e 500. Dall&rsquo;86 la sua carriera &egrave; in discesa: solo 4 punti tra l&rsquo;86 e l&rsquo;88 prima di appendere il casco al chiodo. Nell&rsquo;89 &egrave; Giacomo Agostini a convincerlo a rientrare in scena: 33, 5 punti con un quinto posto in spagna come miglior risultato in gara. Centra 2 punti nel 93 con la ROC Yamaha.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Pat Hennen primo americano vincitore in 500, Randy Mamola re senza corona  Se Kenny Roberts &egrave; stato il primo americano iridato, Pat Hennen, che &egrave; scomparso lo scorso anno a 71 anni, &egrave; stato quello che ha centrato il primo successo in Top Class. Il nativo dell&rsquo;Arizona ha debuttato nel 1976 con Suzuki andando a bersaglio in Finlandia nello stesso anno. Hennen ha poi messo a referto altre due vittorie: una nel 1977 in Inghilterra e una nel 1978 in Spagna, stagione poi abortita dopo il secondo posto al Mugello per via di un incidente al Senior TT.&nbsp; Se Stirling Moss &egrave; stato il re senza corona per eccellenza in Formula 1, lo stesso ruolo lo ha ricoperto nel Motomondiale un certo Randy Mamola. Californiano di San Jose, Randy ha debuttato nel 1979 disputando tutte e tre le classi: 250, 350 e 500 in sella a Yamaha e Suzuki con tre podi in 250 e due in 500. Dal 1980 al 1982 vince 5 gare e sale altre 9 volte sul podio chiudendo due volte secondo il Mondiale: nel 1980 alle spalle di Kenny Roberts e nel 1981 alle spalle di Lucchinelli, mentre nel 1983 &egrave; terzo. Centra ancora il titolo platonico di vicecampione nel 1984 con la Honda alle spalle di Eddie Lawson e in Yamaha nel 1987 alle spalle di Wayne Gardner. Randy Mamola &egrave; stato uno dei primi funamboli del motomondiale, prima dell&rsquo;arrivo di Kevin Schwantz.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; La dinastia dei fenomeni: Lawson, Schwantz, Rainey, Kocinski  Abbiamo nominato poco fa Eddie Lawson parlando di Randy Mamola, ed ecco che apriamo questo capitolo ripercorrendo la sua storia. Californiano di Upland, Eddie debutta in 500 nel 1983 con la Yamaha dopo tre apparizioni in 250 con la Kawasaki nel 1981. Nel 1984 centra subito il bersaglio grosso vincendo il Mondiale davanti a Randy Mamola, mentre nel 1985 chiude secondo alle spalle di Freddie Spencer. Con Yamaha vince anche i titoli del 1986 e 1988 prima di accasarsi in Honda e portarsi a casa il suo quarto titolo iridato nel 1989. A conti fatti, Lawson &egrave; il pilota americano pi&ugrave; titolato.&nbsp; Se parliamo di funamboli non si pu&ograve; non citare il mitico #34 Kevin Schwantz. Texano di Houston, Kevin debutta direttamente in 500 con la Suzuki nel 1986. Nel biennio 86-87 raccoglie appena 13 punti, mentre dal 1988 si scatena. Nel 1988 vince in Giappone e Germania chiudendo ottavo, nel 1989 le vittorie diventano 6 per chiudere al quarto posto. Sfiora l&rsquo;iride nel 1990 trovando sulla sua strada un grande Wayne Rainey. Il binomio Schwantz-Rainey nei primi anni 90 d&agrave; vita a grandissimi duelli per vittorie e titoli iridati. L&rsquo;alloro per Kevin arriva nel 1993 ma in circostanze piuttosto &ldquo;fortunose&rdquo; per via dell&rsquo;incidente che interrompe la carriera di Rainey a Misano. Nel 1994 non riesce a difendere il suo numero 1 che finisce sul cupolino dell&rsquo;australiano Doohan. Schwantz chiude la sua carriera a met&agrave; del 1995 dopo un infortunio pesante al polso. Tra i fenomeni di fine anni 80 e inizio anni 90 &egrave; impossibile non citare il grande Wayne Rainey. Californiano di Los Angeles, Wayne debutta nel Mondiale in 250 nel 1984 con la Yamaha. Passa in 500 nel 1988 e subito chiude il campionato al terzo posto, arrivando poi secondo alle spalle di Lawson nel 1989. Dal 1990 fino a Misano 1993 la 500 &egrave; praticamente sua: tre titoli iridati consecutivi tra il 1990 ed il 1992. Mentre &egrave; avviato verso il quarto alloro consecutivo, il 5 settembre 1993 si interrompe bruscamente la sua carriera per via di un incidente a primo impatto banale ma che si rivela devastante per la sua colonna vertebrale che sbatte sul cordolo del Curvone spezzandosi e rendendo Rainey paraplegico.&nbsp; Tra la fine degli anni 80 e l&rsquo;inizio degli anni 90 il Motomondiale ha conosciuto anche John Kocinski. Nativo di Little Rock in Arkansas, John ha debuttato in 250 nel 1988 con la Yamaha. Nel 1989 vince due gare ma chiude solamente quattordicesimo. Il 1990 &egrave; l&rsquo;anno del suo primo ed unico alloro nel Motomondiale con 7 vittorie e 12 podi complessivi. Nel 93 inizia la stagione in Suzuki per trasferirsi in Cagiva. Corre in 500 dal 1991 al 1999 con Yamaha, Cagiva ed Honda centrando due terzi posti a fine stagione nel 1992 e 1994.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Tale padre, tale figlio: Kenny Roberts Jr come pap&agrave; Kenny. Hayden ultimo iridato  Se in Formula 1 solamente Damon Hill e Nico Rosberg hanno bissato il titolo del proprio padre, nel Motomondiale l&rsquo;unico binomio titolato padre-figlio &egrave; quello dei Roberts, con Kenny Jr iridato nel 2000. Californiano di Mountain View, Kenny Jr debutta in 250 nel 1993 con la Yamaha. Ottiene risultati di rilievo nella quarto di litro solamente nel 1995 con un ottavo posto finale in campionato. Nel 1996 passa in 500 con la Yamaha, nel biennio 97-98 corre con la Modenas KR3 del padre Kenny Senior. Passa in Suzuki nel 1999, vince 4 gare e chiude al secondo posto alle spalle di Alex Crivill&eacute;. Con altre 4 vittorie vince il titolo del 2000 davanti a Valentino Rossi. Dal 2001 al 2005 centra altri tre podi con la Suzuki tra 500 e MotoGP, nel 2006 guida la KR211V nel team del padre centrando gli ultimi due podi della carriera. L&rsquo;ultimo iridato della dinastia americana &egrave; l&rsquo;indimenticato Nicky Hayden. Nativo di Owensboro, Kentucky Kid ha debuttato in MotoGP nel 2003 nel team ufficiale Honda Repsol al fianco di Valentino Rossi, instaurando con lui subito un grande rapporto di amicizia. Dal 2003 al 2008 Nicky corre con la Honda ufficiale vincendo in totale tre gare, una nel 2005 a Laguna Seca e due nel 2006, Assen e ancora Laguna Seca. Il punto pi&ugrave; alto in MotoGP &egrave; ovviamente il titolo iridato del 2006 davanti a Valentino Rossi per soli 5 punti. Nel 2009 passa in Ducati, tre soli podi fino al 2013 prima del ritorno in Honda nel biennio 2014-2015. Menzioni onorevoli  Tra i piloti americani passati dal Motomondiale bisogna ricordare, in rigoroso ordine alfabetico: Mike Baldwin, 6 podi nel Motomondiale tra il 1979 e il 1988, Cameron Beaubier, nel 2009 in 125 e in Moto2 nel biennio 2021-2022 senza risultati di rilievo, Doug Chandler, 6 podi in 500 tra il 1991 ed il 1994, Colin Edwards, 12 podi in MotoGP tra il 2004 e il 2011, John Hopkins, 4 podi in MotoGP con la Suzuki nel 2007, Ben Spies, 1 vittoria e 6 podi in MotoGP dal 2010 al 2012.       

Kenny Roberts Senior, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Kevin Schwantz, Wayne Rainey, John Kocinski, Kenny Roberts Jr e Nicky Hayden tra gli iridati della scuola americana

Dagli USA con furore: tutti gli americani del Motomondiale

Marc Marquez estende il proprio dominio in MotoGP: dopo la doppietta in Thailandia, l&#39;otto volte iridato si ripete in Argentina, sempre davanti al fratello Alex. Marc raggiunge a quota 90 successi Angel Nieto al terzo posto della graduatoria dei piloti pi&ugrave; vittoriosi nella storia del Mondiale, preceduto soltanto da Giacomo Agostini e Valentino Rossi.  Termas de Rio Hondo non ha premiato Pecco Bagnaia, soltanto quarto domenica, e l&#39;Aprilia, a terra con Marco Bezzecchi e squalificata (software irregolare) con Ai Ogura, mentre ha ritrovato in prima fila la Honda e sul podio del GP - dopo ben quattro anni - Franco Morbidelli.  La Moto2 &egrave; stata dominata da Jake Dixon, quarto pilota del Team Marc VDS a vincere in Argentina, ma la Boscoscuro ha festeggiato anche grazie a Celestino Vietti Ramus, terzo al traguardo. La combattutissima Moto3 ha invece premiato Angel Piqueras (graziato per un passaggio sull&#39;asfalto verde nell&#39;ultimo giro) mentre Matteo Bertelle ha chiuso soltanto quarto, dopo la pole position e, soprattutto, dopo aver condotto la corsa fino a poche curve dalla fine.    Superbike  La Superbike prepara il rientro in Europa e i test di Portimao hanno riportato al top Toprak Razgatlioglu e la BMW. Nei test in Portogallo, dove si correr&agrave; fra meno di due settimane, il turco &egrave; stato l&#39;unico ad abbattere il muro dell&#39;1&#39;40&quot;, rifilando distacchi importanti ai primi inseguitori, cio&egrave; Nicol&ograve; Bulega, reduce dalla tripletta in Australia, e Alex Lowes con la Bimota.  MXGP  Il mondiale Cross invece &egrave; gi&agrave; arrivato nel vecchio continente, e a Cozar, in Spagna, Tim Gajser ha ristabilito le gerarchie attese a inizio anno, con una splendida tripletta (manche di qualifica e gare lunghe). L&#39;Italia ha sorriso grazie alla Fantic e ad Andrea Bonacorsi, autore di un podio di manche. In MX2, poi, Ferruccio Zanchi si &egrave; aggiudicato Gara 1 e Andrea Adamo &egrave; salito sul podio in Gara 2, anche se il GP &egrave; andato al figlio d&#39;arte Liam Everts.  L&#39;Enduro ha vissuto a Camaiore la seconda tappa degli Assoluti d&#39;Italia, contraddistinta dalla velocit&agrave; di Steve Holcombe con la Honda in entrambe le giornate. In un caso il britannico ha preceduto Andrea Verona con la GASGAS e nell&#39;altro Zach Pichon con la TM.  L&#39;X-Trial &egrave; arrivato a un punto chiave della stagione. Toni Bou ha conquistato a Vienna il quinto successo di fila, precedendo Jaime Busto e Gabriel Marcelli, inseguitori anche in campionato, e sabato a Cahors potr&agrave; conquistare il diciannovesimo titolo consecutivo Indoor. Bravo Matteo Grattarola, capace di entrare nella finale dell&#39;evento, con il quarto posto. 

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        Marc Marquez estende il proprio dominio in MotoGP: dopo la doppietta in Thailandia, l'otto volte iridato si ripete in Argentina, sempre davanti al fratello Alex. Marc raggiunge a quota 90 successi Angel Nieto al terzo posto della graduatoria dei piloti pi&ugrave; vittoriosi nella storia del Mondiale, preceduto soltanto da Giacomo Agostini e Valentino Rossi. Termas de Rio Hondo non ha premiato Pecco Bagnaia, soltanto quarto domenica, e l'Aprilia, a terra con Marco Bezzecchi e squalificata (software irregolare) con Ai Ogura, mentre ha ritrovato in prima fila la Honda e sul podio del GP - dopo ben quattro anni - Franco Morbidelli. La Moto2 &egrave; stata dominata da Jake Dixon, quarto pilota del Team Marc VDS a vincere in Argentina, ma la Boscoscuro ha festeggiato anche grazie a Celestino Vietti Ramus, terzo al traguardo. La combattutissima Moto3 ha invece premiato Angel Piqueras (graziato per un passaggio sull'asfalto verde nell'ultimo giro) mentre Matteo Bertelle ha chiuso soltanto quarto, dopo la pole position e, soprattutto, dopo aver condotto la corsa fino a poche curve dalla fine.  Superbike La Superbike prepara il rientro in Europa e i test di Portimao hanno riportato al top Toprak Razgatlioglu e la BMW. Nei test in Portogallo, dove si correr&agrave; fra meno di due settimane, il turco &egrave; stato l'unico ad abbattere il muro dell'1'40", rifilando distacchi importanti ai primi inseguitori, cio&egrave; Nicol&ograve; Bulega, reduce dalla tripletta in Australia, e Alex Lowes con la Bimota. MXGP Il mondiale Cross invece &egrave; gi&agrave; arrivato nel vecchio continente, e a Cozar, in Spagna, Tim Gajser ha ristabilito le gerarchie attese a inizio anno, con una splendida tripletta (manche di qualifica e gare lunghe). L'Italia ha sorriso grazie alla Fantic e ad Andrea Bonacorsi, autore di un podio di manche. In MX2, poi, Ferruccio Zanchi si &egrave; aggiudicato Gara 1 e Andrea Adamo &egrave; salito sul podio in Gara 2, anche se il GP &egrave; andato al figlio d'arte Liam Everts. L'Enduro ha vissuto a Camaiore la seconda tappa degli Assoluti d'Italia, contraddistinta dalla velocit&agrave; di Steve Holcombe con la Honda in entrambe le giornate. In un caso il britannico ha preceduto Andrea Verona con la GASGAS e nell'altro Zach Pichon con la TM. L'X-Trial &egrave; arrivato a un punto chiave della stagione. Toni Bou ha conquistato a Vienna il quinto successo di fila, precedendo Jaime Busto e Gabriel Marcelli, inseguitori anche in campionato, e sabato a Cahors potr&agrave; conquistare il diciannovesimo titolo consecutivo Indoor. Bravo Matteo Grattarola, capace di entrare nella finale dell'evento, con il quarto posto.       

Il numero 11 di Motosprint &egrave; in edicola, questa settimana approfondimenti sul GP in Argentina appena concluso

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        Marc Marquez come Angel Nieto. A Termas de Rio Hondo, il portacolori Ducati ha eguagliato la leggenda del motociclismo a quota 90 vittorie, raggiungendolo al terzo posto nella classifica di tutti i tempi alle spalle di Valentino Rossi e Giacomo Agostini.  Continua nella prossima pagina MotoGP, Marc Marquez fa 90 &nbsp; Marquez come Nieto  Un traguardo che il #93 ha festeggiato dopo la bandiera a scacchi del GP Argentina sfoggiando una corona d&rsquo;alloro col messaggio &ldquo;Gracias Angel&rdquo;.&nbsp;&ldquo;&Egrave; un grande onore eguagliare una leggenda come Angel Nieto, perch&eacute; &egrave; stato lui ad aprire le porte al motociclismo spagnolo nel campionato del Mondo&rdquo; ha dichiarato Marc. Il raggiungimento di questo incredibile risultato &egrave; stata l&rsquo;occasione buona per tirare fuori dagli archivi un video che ritrae entrambi i piloti spagnoli: a farlo &egrave; stata l&rsquo;emittente televisiva Teledeporte attraverso i suoi canali social.  Continua nella prossima pagina GP Termas, pagelle: "angelico" Marquez sia lodato, Bagnaia ridimensionato &nbsp; Nieto intervista Marquez: il video  Nel video, datato 2008, si vede Nieto intervistare Marc durante uno dei suoi primi impegni nella classe 125. &ldquo;Intelligente, rapido e bravo&rdquo; &egrave; la definizione che Angel aveva coniato per il giovanissimo Marquez, allora quindicenne. Parole che a distanza di anni hanno il sapore della profezia. &ldquo;Era il padre del motociclismo&rdquo; ha commentato Pablo Nieto, attuale team manager VR46, a proposito del suo pap&agrave;. &ldquo;Che ci crediate o no, a&nbsp;mio padre &egrave; sempre piaciuto essere eguagliato o superato. Quindi ringraziamo Marc. Ogni volta che la gente ricorda mio padre, &egrave; un onore". Adesso Angel e Marc condividono lo stesso numero di successi, con l&rsquo;otto volte iridato sempre pi&ugrave; lanciato verso nuovi record.   Tesoro recuperado del archivo de RTVE &Aacute;ngel Nieto entrevista a @marcmarquez93 tras una de sus primeras carreras en 125cc ?"R&aacute;pido y bueno", as&iacute; defin&iacute;a Nieto a un Marc de 15 a&ntilde;os?M&aacute;rquez ha igualado las 90 victorias de Nieto en el Mundial https://t.co/k9WGyDtusz pic.twitter.com/BNiUVtlDGs &mdash; Teledeporte (@teledeporte) March 17, 2025          

Il #93 ha raggiunto la Leggenda a quota 90 successi: &egrave; l'occasione giusta per riesumare un video del 2008 in cui El Maestro intervist&ograve; un giovane MM

MotoGP: Marc Marquez e la profezia di Angel Nieto

Quattro su quattro. D&#39;obbligo e cominciare l&#39;articolo relativo alle pagelle MotoGP, per un Gran Premio di Argentina firmato ancora da Marc Marquez. E&#39; un numero 93 &quot;angelico&quot; a Termas de Rio Hondo: arrivando a 90 successi iridati, raggiunge Angel Nieto nella speciale classifica di tutti i tempi. Terzo a parimerito, dopo Valentino Rossi e Giacomo Agostini, citati in ordine crescente. Pecco Bagnaia, invece, non sta crescendo.  Gran Premio MotoGP di Argentina: Mar senza piet&agrave;, illude il fratello Alex, battendolo    MotoGP di Argentina: Alex Marquez anti... Marc  Marc Marquez - Voto 10 e lode&nbsp;  Eguaglia Angel Nieto a quota 90 successi iridati, grazie ad ali ricostruite a sforzi di volont&agrave; e una Desmosedici paradisiaca. E&rsquo; forse il miglior Marquez di sempre, maturato e capace di trasformare la sofferenza in forza. Un Marc cinematografico in Argentina, fuoriclasse acclamato dai tifosi del calcio: Maradona o Messi? MM93! ANGELICO  Alex Marquez - Voto 9&nbsp;  E&rsquo; stato illuso dal fratello maggiore a circa met&agrave; gara, quando gli ha concesso il sorpasso, ribadito molti giri pi&ugrave; avanti. Alex &egrave; fortissimo, potrebbe vincere presto, ma tra Buriram e Termas solo secondi posti. Mica poco per un pilota indipendente, egregiamente equipaggiato Ducati Desmosedici GP24. ILLUSO  Franco Morbidelli - Voto 8,5&nbsp;  Altro che Sprint di Misano 2024 e medagli di bronzo: questo terzo posto vale vero podio, per un gradino basso precedentemente calcato nel 2021 a Jerez e colorato Yamaha. In VR46 &egrave; a casa, e i tifosi brasiliani lo aspettano a Goiania l&rsquo;anno prossimo. VERO    Continua l&#39;articolo nella prossima pagina  &nbsp;  Bagnaia non c&#39;&egrave;: Termas MotoGP lo boccia   Pecco Bagnaia - Voto 5&nbsp;  Le prende due volte dai fratelli Marquez, viene battuto pure da Morbidelli, ma il box Ducati lo difende: parliamo del doppiamente campione del mondo, capace di restituire il titolo a Borgo Panigale. Appunto: sapr&agrave; fare tris? In questo momento la risposta &egrave; &quot;no&quot;, ma il mondiale &egrave; ancora lungo. DIFESO  Marco Bezzecchi - Voto 5&nbsp;  Prove di comunicazione radio interessanti tra il romagnolo e il box Aprilia nel corso delle prove, per frequenze ottime in qualifica e nella Sprint, interrotte dalla malcelata partenza in gara. La sintonia con la RS-GP c&rsquo;&egrave;, mancano i risultati. Devono arrivare gi&agrave; ad Austin. RADIOFONICO  Somkiat Chantra - Voto 4  Azione l&rsquo;abbassatore e spalanca il gas dove in pochi osano farlo. Coraggioso, ma infruttuoso. Assetto nervoso e ribelle, ma veloce, apparentemente. I cronometri dicono infatti il contrario: thailandese non pronto alla MotoGP, per quanto visto tra test e due Gran Premio completati. IN BASSO 

Marc fa cappotto e raggiunge Angel Nieto a quota 90 succesi iridati. Nessuno pu&ograve; fermarlo, nemmeno il fratello Alex, mentre Pecco &egrave; battuto pure da Morbidelli

GP Termas, pagelle: &quot;angelico&quot; Marquez sia lodato, Bagnaia ridimensionato

        Due piste per raccontare un pilota. Jarama, in Spagna, alle porte di Madrid. Poi Anderstorp, Svezia, 400 chilometri da Stoccolma. Fabio Biliotti ha vissuto momenti decisivi su quei tracciati. A partire dal 1984, quando si present&ograve; sul circuito iberico dolorante, per la clavicola rotta alla 200 Miglia di Imola cinque settimane prima, lo spirito ferito dalle critiche. In riva al Santerno gli era successo di tutto. Nelle prove, un grippaggio dietro l&rsquo;altro.  Continua nella prossima pagina MotoGP: Martin e la maledizione del numero 1 &nbsp; La carriera di Fabio Biliotti  In gara una caduta al primo giro, la sua Honda 500 trasformata in una palla da bowling che aveva fatto strike atterrando un altro pilota e la faccenda era finita a cazzotti, l&rsquo;osso rotto a complicare le cose. Erano spuntate anche delle perplessit&agrave;, con i reporter pi&ugrave; smaliziati pronti a mettere in dubbio le capacit&agrave; dell&rsquo;aretino: si meritava davvero un posto nel Motomondiale, dove avrebbe affrontato la sua seconda stagione a tempo pieno? La risposta di Biliotti, ai tempi 27 anni, arriv&ograve; proprio in Spagna un mesetto dopo, con una nona piazza dal sapore speciale. Partito indietro, sotto la ventesima casella, riusc&igrave; a inserirsi nel gruppo degli ufficiali con una moto privata, &ldquo;pagata un rene&rdquo; e gestita un po&rsquo; alla buona. Il risultato gli frutt&ograve; i primi due punti iridati della carriera. E arrivarono pure le scuse di chi aveva gettato ombre sulle sue capacit&agrave;. A Jarama il toscano &egrave; stato spesso ispirato: 12 mesi pi&ugrave; tardi un&rsquo;altra Top 10, replicata pure nell&rsquo;86. Nella stagione successiva, ad Anderstorp, un duello fino all&rsquo;ultimo giro con un pilota in sella a un missile (Tadahiko Taira con la Yamaha ufficiale), nel quale la spunt&ograve; con un sorpasso alla penultima curva, luogo di memorie amare: in passato, proprio in quel punto, era stato tamponato da un rivale in quella che indica come una delle sue gare pi&ugrave; promettenti. Svezia e Spagna, dunque, fra riscatti, imprese, sconfitte e sfortune. L&igrave;, come negli altri Paesi che hanno ospitato il Circus iridato, Biliotti ha inseguito il sogno mai avverato di un ingaggio da parte di un team pronto a dargli un mezzo ufficiale. &Egrave; andata in un altro modo, fra collette fatte al bar (per la prima moto), pullman rimessi in sesto (l&rsquo;hospitality di quei tempi), azzardi (con le gomme da asciutto sotto l&rsquo;acqua in Belgio) e avversari americani che filavano come razzi (Freddie Spencer ed Eddie Lawson), il toscano si mise in mostra e a un certo punto venne pure corteggiato da una squadra di alto livello. Per&ograve;, alla fine, non se ne fece niente. Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Bilotti: l'intervista  Partiamo da Jarama: nel 1984, una delle tue gare migliori. &ldquo;Sarei potuto arrivare davanti a Barry Sheene e Reinhold Roth, quindi settimo, ma il dolore alla spalla mi rallent&ograve; nel finale. Venivo da una frattura rimediata alla 200 Miglia di Imola. L&igrave; ero partito molto carico, sulla scia della frustrazione accumulata durante le prove, nelle quali era andato tutto storto. Nella staccata delle Acque Minerali, in discesa, superai tre avversari. Davanti avevo Walter Migliorati, che fren&ograve; presto e tanto. Rischiavo di tamponarlo, cos&igrave; &ldquo;pinzai&rdquo; pi&ugrave; deciso. Mi si chiuse l&rsquo;anteriore e finii a terra. La mia moto lo travolse e lui non la prese affatto bene. Mentre ero a terra, con la clavicola rotta, inizi&ograve; a colpirmi sul casco. Un cazzotto, poi altri. Lasciamo perdere&rdquo;.  Eri in sella a una Honda tre cilindri privata.  &ldquo;Comprata l&rsquo;anno prima. Anzi, ne avevo prese due. Per la modica cifra di 105 milioni di Lire. Fu uno sbaglio, sarebbe stato meglio averne una sola e con tanti ricambi. Ma lo compresi dopo. Pensavo di dovermi presentare alla grande a livello d&rsquo;immagine, cos&igrave; mi ero comprato pure un pullman usatissimo dal Comune di Perugia, poi allestito con officina e zona notte. Fu un errore anche quello, perch&eacute; nel paddock pensarono che fossi l&igrave; perch&eacute; avevo i soldi&raquo;. Ti trovavi bene con quella moto? &laquo;No. Infatti nel 1983, la mia prima stagione a tempo pieno nel Motomondiale dopo la vittoria dell&rsquo;Europeo 500, raccolsi poco. L&rsquo;anteriore non dava fiducia e si cadeva spesso per chiusure davanti. Allora provammo a stravolgere le cose: passammo da una gomma da 16 a una da 18. Un miglioramento ci fu, ma non grande. La Michelin non forniva un pneumatico di quella misura, cos&igrave; usavamo soltanto il loro posteriore. Davanti avevo Dunlop. Era una soluzione un po&rsquo; alla buona. Si sperimentava&hellip;&raquo;. Le Honda ufficiali erano diverse?  &ldquo;Un altro mondo&rdquo;.  Torniamo in Spagna: nel 1986 contendesti l&rsquo;ottava piazza a Juan Garriga e alla sua Cagiva ufficiale.  &ldquo;All&rsquo;ultimo giro, quando mi infil&ograve; nel primo tratto della pista non mi preoccupai, perch&eacute; sapevo che avrei avuto la mia occasione in uscita dalla curva finale, dove ero superiore. Ma proprio quando stavo per affiancarlo, Garriga inizi&ograve; a &lsquo;zigzagare&rsquo;. Esageratamente. Dovetti chiudere il gas per due volte e gli finii dietro&rdquo;.  A proposito di volate: un anno pi&ugrave; tardi, in Svezia, la lotta con Taira, che guidava una Yamaha di quelle buone, affidata al team di Giacomo Agostini.  &ldquo;Lui mi sverniciava nel rettilineo, io mi rifacevo sotto nel misto e lo ripassavo. All&rsquo;ultimo giro decisi di restare nascosto fino alla penultima staccata. Lo infilai e gli arrivai davanti, dodicesimo. &Egrave; stato bello&rdquo;.  Ad Anderstorp anche qualche amarezza, per&ograve;. &ldquo;Nel 1985 stavo facendo una gara esagerata. Poi Gustav Reiner mi tampon&ograve; nella stessa frenata in cui avrei superato Taira due anni dopo. Finii nella via di fuga, che era una specie di stagno perch&eacute; alcune ore prima aveva piovuto. Caddi, mi rialzai, rientrai ai box e ripresi la gara con quattro giri di ritardo. Giravo bene. Fu un peccato&rdquo;.  Quell&rsquo;anno arriv&ograve; il riscatto a Imola dopo la caduta del 1984.  &ldquo;Nella 200 Miglia finii quarto dietro Lawson, Randy Mamola e Takazumi Katayama. Ero entrato a far parte del Team Italia, legato alla Federazione Motociclistica Italiana, che mi aveva dato un motore nuovo. Avere materiale fresco era importante. Dopo un po&rsquo; i freni iniziavano a vibrare, altri componenti si rovinavano o consumavano. Noi privati, spesso al limite con le finanze, ci arrangiavamo. Gli ufficiali invece cambiavano sempre tutto&rdquo;.  Hai mai avuto un assaggio delle moto &ldquo;buone&rdquo;?  &laquo;Una volta a Misano, quando il Team Gallina mi fece guidare una Suzuki nel turno di prove di un Gran Premio. Mi aspettavo un motore che andava come un missile, invece la differenza la trovai in un altro aspetto&rdquo;.  Quale?  &ldquo;Aveva pi&ugrave; coppia, un&rsquo;erogazione migliore. La potenza c&rsquo;era, ma in basso, non in alto. Le curve che con la mia Honda clienti affrontavo in seconda, con quella le facevo in terza. Mi sembr&ograve; pi&ugrave; facile. Anche se in un turno non &egrave; che ci si capisca troppo&rdquo;.  Era dura essere un privato?  &ldquo;Un caro amico diceva che se avessi espresso in un&rsquo;attivit&agrave; imprenditoriale l&rsquo;impegno che mettevo nelle corse, sarei diventato miliardario. Avevo i miei sponsor e quando serviva, anche se &egrave; successo raramente, cercavo di inventarmi qualcosa in pi&ugrave;. Per esempio, all&rsquo;epoca era uso comprare un appartamento con un compromesso fatto tra le parti, senza notaio. Su un prezzo concordato di 50 milioni, pensando si potesse vendere pi&ugrave; caro, magari davo un acconto di 5, prendevo tempo per l&rsquo;atto di vendita e nel frattempo trovavo un cliente che lo acquistava a 60. La moto con cui iniziai, a diciannove anni, la comprammo facendo una colletta al bar, fra amici. Costava due milioni e mezzo: una Suzuki Titan 500, per le gare in Salita&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Biliotti: Potevo essere miliardario...  L&rsquo;inizio direttamente nella mezzo litro.  &ldquo;Come andare a scuola partendo dalle superiori e non dalle elementari. Infatti, di errori ne ho fatti parecchi. A un certo punto, per esempio, un collaboratore ed ex pilota mi sugger&igrave; di passare alla 250, nella quale i privati se la potevano giocare. Ma io, testardo, lo vedevo come un passo indietro. Dalla classe regina a quella di mezzo? No!&rdquo;.  Nel Mondiale 500 con il tuo pacchetto non potevi vincere, lo sapevi.  &ldquo;Il mio sogno era esprimermi con una moto ufficiale. Arrivare a ottenerla. Quando nel 1982 vinsi l&rsquo;Europeo, dietro di me arriv&ograve; un inglese al quale diedero subito una moto buona per l&rsquo;anno dopo. Era del Team Heron-Suzuki. Qualche contatto con loro lo ebbi anch&rsquo;io, in realt&agrave;. Ma pi&ugrave; avanti. Poi le cose non si concretizzarono&rdquo;. Azzardi?  &ldquo;A Spa-Francorchamps nel 1988, pista bagnata. Pensavo spuntasse il Sole e partii con le gomme da asciutto. Il meteo in effetti miglior&ograve;, ma poi venne gi&ugrave; acqua di nuovo. In quel periodo mica si tornava ai box per cambiare moto o pneumatici. Finii con le gomme da asciutto&rdquo;.  Fra i tuoi avversari, chi ti impressionava?  &ldquo;Lawson, per la guida. Una volta ad Anderstorp mi fermai a bordo pista per un problema e restai l&igrave; per un po&rsquo; come spettatore. Lui apriva il gas molto pi&ugrave; degli altri, la moto composta, tantissima efficacia. Spencer port&ograve; linee nuove, spigolava. Era pi&ugrave; lento a centro curva ma migliore in accelerazione. Oltre ai due americani, c&rsquo;era l&rsquo;australiano Wayne Gardner. Guidava veramente cattivo&rdquo;.  &Egrave; vero che hai provato una Formula 3?  &ldquo;A Donington, mi pare nel 1987. Era di un amico che faceva il campionato inglese. Non avevo mai guidato un&rsquo;auto a ruote scoperte. Girai pi&ugrave; forte di lui, a un paio di secondi dai tempi giusti. L&igrave; probabilmente iniziava il difficile&rdquo;.  Mai pensato di passare alle quattro ruote?  &ldquo;Costavano pi&ugrave; delle moto, quindi no!&rdquo;.        

"Ho sempre corso con il desiderio di salire su una moto uffciale: accadde soltanto in un turno di prove..."

Fabio Bilotti, una vita da privato | C'ho provato

        Nel corso degli anni sono stati realizzati tanti docufilm su campioni di diverse discipline sportive, dal calcio alla Formula 1, ma sul Motomondiale non &egrave; stato mai realizzato un biopic su uno specifico pilota. Se escludiamo le serie come MotoGP Unlimited e i documentari su Marc Marquez e Andrea Dovizioso di RedBull TV, l&rsquo;unico film uscito al cinema e dedicato ad un motociclista &egrave; stato quello su Marco Simoncelli di ormai quattro anni fa. A colmare questo vuoto ci pensa &ldquo;Ago prima di tutti&rdquo; il docufilm sulla storia del grande Giacomo Agostini. E lo stesso Agostini presenzier&agrave; in alcune sale prima o dopo la proiezione del lungometraggio per un saluto ed una breve sessione di autografi.&nbsp; Il cast di &ldquo;Ago prima di tutti&rdquo;  Per realizzare questo docufilm, il regista Giangiacomo De Stefano ha radunato un cast decisamente stellare. Oltre a Giacomo Agostini e sua moglie Maria Ayuso, ci sono gli ex piloti Carlos Lavado, Marco Lucchinelli e &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer. Nel docufilm intervengono anche Ferdinando Brachetti Peretti, AD di Api, societ&agrave; petrolifera, i giornalisti Guido Meda, Carlo Canzano, Alberto Sabbatini e Mario Donnini, oggi in Autosprint, Lino Dainese, fondatore della omonima azienda di abbigliamento moto, il CEO di Dorna Carmelo Ezpeleta, Gianni Morandi, Nadia Padovani e Marc Marquez Le date di proiezione del docufilm e le presenze di Agostini  E&rsquo; un vero e proprio tour quello che far&agrave; Agostini in questi primi giorni di marzo per l&rsquo;anteprima esclusiva del suo docufilm. Ago ha gi&agrave; presenziato ieri a Riccione e a Rimini mentre oggi sar&agrave; a Vicenza e a Verona. Domani, invece, sar&agrave; a casa sua a Brescia al Multisala Oz alle 20 e a Bergamo al Multisala Orio alle 21. Gioved&igrave; 6 marzo sar&agrave; il turno di Varese, citt&agrave; della MV Agusta, al Multisala Impero alle 19.30 e alle 21.15&nbsp; Il piccolo tour si chiude a Milano venerd&igrave; 7 marzo, prima al Notorious Cinema Gloria alle 20.30 e al Notorious Cinema Merlata Bloom alle 20.30        

Diretto da Giangiacomo De Stefano, il film ripercorre la storia del pi&ugrave; grande pilota della storia del Motomondiale, 123 vittorie e 15 titoli iridati

“Ago prima di tutti”: il docufilm sul grande Giacomo Agostini

        Il 17 febbraio &egrave; stata una giornata importante per lo sport mondiale, essendo la data di nascita di due astri del panorama sportivo mondiale, seppur di due sport e contesti diversi, ovvero Michael Jordan e Marc Marquez. Una coincidenza temporale ancora pi&ugrave; curiosa se consideriamo lo spegnimento delle 46 candeline di Valentino Rossi, avvenuto il giorno prima! Ducati non ha perso l'occasione per celebrare il suo pilota, icona delle due ruote e della MotoGP degli ultimi 12 anni e reduce da un pre-stagione talmente tanto positivo da essere considerato ad oggi il favorito per la prima gara, anche pi&ugrave; del compagno di squadra Pecco Bagnaia. MotoGP, Dall&rsquo;Igna svela il perch&egrave; della scelta del motore 2024 Il regalo della Ducati e l'inizio di stagione L&rsquo;omaggio della Ducati non &egrave; passato inosservato; in un video diffuso sui social, il marchio bolognese ha mostrato la Panigale V2S consegnata a Marquez, un&rsquo;evoluzione rispetto alla versione precedente, arricchita di nuove funzionalit&agrave;. Lo spagnolo aveva gi&agrave; avuto modo di testarla in pista durante l&rsquo;inverno, mostrando subito grande entusiasmo. "Sappiamo esattamente cosa vuoi per il tuo compleanno e non vediamo l&rsquo;ora di vederti godertelo", ha scritto simpaticamente Ducati nel post che accompagna le immagini. Il video mostra Marquez girare sulla pista di Valencia intitolata a Jorge Mart&iacute;nez "Aspar". Tra pochi giorni la stagione 2025 avr&agrave; il sua via; un'ananta in cui ci si aspetta tanto dall'otto volte iridato che nel frattempo si gode gli ottimi segnali mostrati nei test, nonch&eacute; la moltitudine di auguri ricevuti da connazionali e leggende di altri sport. Dai tennisti Rafa Nadal a Carlos Alcaraz, ai calciatori ex Barcellona Xavi, Iniesta, Piqu&eacute;, fino al campione del mondo della 500 del 1999, Alex Crivill&eacute;, il pilota di Formula 1 Carlos Sainz ed infine il quindice volte iridato, Giacomo Agostini.  MotoGP: Marquez come Hamilton, ma Marc ha meno alibi       

In occasione del suo compleanno, il neo 32enne di Cervera ha ricevuto un splendido regalo dalla casa di Borgo Panigale

MotoGP, Ducati festeggia Marc Marquez con una Panigale V2

        L&rsquo;evoluzione dei mezzi a due ruote, avvenuta sia a livello tecnico che per soddisfare le richieste di un mercato sempre mutevole e largamente imprevedibile, ha portato all&rsquo;affermazione di categorie di moto in precedenza trascurate se non addirittura inesistenti. Nonch&eacute; alla scomparsa di altre classi che per molti anni erano state autentici punti di forza della produzione di numerose grandi Case. In Italia, negli anni Cinquanta particolarmente ricchi di innovazioni e passione, ad affermarsi come classe di maggior prestigio e di prestazioni pi&ugrave; elevate, oltre che di grande interesse commerciale, fu la 175. Anche in Nazioni come Germania e Francia le moto di questa cilindrata conobbero una buona diffusione, ma niente di paragonabile a quanto accadde da noi.  Passa alla prossima pagina Honda CB 750, tre volte pioniera | Officina &nbsp; La 175  Quando venne istituito il Motogiro, la massima cilindrata ammessa era proprio la 175. Non serviva andare oltre, poich&eacute; di modelli di prestazioni superiori, salvo un paio di 500 il cui disegno originale risaliva all&rsquo;anteguerra, praticamente non ce n&rsquo;erano. Nel 1952 Morini, Parilla e MV presentarono i loro nuovi modelli di 175 cm&sup3;. Altri, come la Bianchi, seguirono questa strada negli anni successivi. Dal 1953 la classe venne introdotta alla MilanoTaranto e l&rsquo;anno successivo la FMI la aggiunse nel campionato per piloti di seconda categoria (in seguito diventati Juniores). Le gare erano numerose e molto seguite, e vari costruttori ben presto realizzarono versioni studiate appositamente per l&rsquo;impiego agonistico. A un certo punto la Federazione ritenne opportuno dividere le moto che prendevano parte alle competizioni in due categorie per ogni classe di cilindrata. Le F2, poi diventate Sport, erano pi&ugrave; imparentate con i modelli da Gran Premio che con quelli stradali di normale produzione. In tale categoria erano ammessi anche quelli che oggi potremmo definire prototipi e il regolamento lasciava grande possibilit&agrave; di scelta ai progettisti. Le F3, poi diventate MSDS (Motocicli Sport Derivato dalla Serie) erano invece modelli stradali debitamente preparati per correre. Per parecchio tempo fu fortissima la rivalit&agrave; tra le 175 F2 di Mondial, Morini e MV Agusta. La prima schier&ograve; e mise in vendita, verso la fine del 1953, una monocilindrica con distribuzione monoalbero comandata da una cascata di ingranaggi che riprendeva lo stesso schema costruttivo della 125 destinata alle gare su strada, rispetto alla quale ben presto divenne pi&ugrave; nota e diffusa. Le misure di alesaggio e corsa erano 62 x 57,8 mm. Le valvole venivano comandate da bilancieri a due bracci ed erano richiamate da molle a spillo. L&rsquo;albero a gomito composito girava all&rsquo;indietro, dato che il cambio era con presa diretta e la trasmissione primaria era a coppia di ingranaggi. L&rsquo;anno seguente, a questo modello si affiancarono una versione detta &ldquo;Bilancierino&rdquo; e alcuni esemplari con distribuzione bialbero. La potenza, inizialmente nell&rsquo;ordine di 16&ndash;18 cavalli, al termine dell&rsquo;evoluzione arriv&ograve; a superare i 20. La F2 della Morini, denominata &ldquo;Rebello&rdquo;, apparve pi&ugrave; tardi, nel 1955, e mise subito in mostra eccellenti doti velocistiche. Aveva la distribuzione con due alberi a camme ravvicinati e in presa tra loro (molti parlarono di sistema &ldquo;monoalbero sdoppiato&rdquo;), comandati da una catena a rulli. Le misure caratteristiche erano quelle classiche della Casa bolognese per questa classe di cilindrata: alesaggio di 60 mm e corsa di 61 mm. La lubrificazione era a carter secco con doppia pompa a ingranaggi. In seguito apparvero versioni del Rebello con distribuzione bialbero e cilindrata aumentata fino ad arrivare, nel 1957, a 250. Nel 1955 la Morini Rebello, che erogava 22 cavalli a 9000 giri/ min, vinse sia la Milano-Taranto che il Motogiro, come aveva fatto l&rsquo;anno precedente la Mondial.  L'evoluzione della 175  Le 175 divennero via via pi&ugrave; potenti e raffinate, e costruttori come Ducati e Gilera arrivarono a realizzare modelli bicilindrici studiati esclusivamente per i piloti di seconda categoria e le gare stradali. La moto di Borgo Panigale, presentata al Salone di Milano del 1956, in effetti gareggi&ograve; in Italia soltanto nel Motogiro dell&rsquo;anno seguente, mostrando buone doti velocistiche ma anche una certa fragilit&agrave;, causa del precoce ritiro. Il bicilindrico parallelo aveva un alesaggio di 49 mm e una corsa di 46,6, una distribuzione bialbero tradizionale (non desmo ma a molle) comandata da una cascata di ingranaggi ed erogava 22 CV a 11.000 giri/min. La Gilera era anch&rsquo;essa una bicilindrica frontemarcia con distribuzione bialbero: comparsa nel 1957, non ebbe per&ograve; il tempo di essere sviluppata in maniera adeguata. Aveva un alesaggio di 46 mm e una corsa di 52,6 con potenza di 23 CV a 11.200 giri/min. A ulteriore dimostrazione della grande popolarit&agrave; delle moto di questa cilindrata in Italia, si pensi che per tre anni addirittura ci fu un campionato 175 per i piloti Seniores, che si aggiunse alle storiche classi che gareggiavano nel Mondiale. La MV arriv&ograve; a schierare una 175 bialbero che riprendeva accuratamente lo schema costruttivo della monocilindrica da Gran Premio di 125 cm&sup3;. In pratica la differenza era soltanto nelle misure caratteristiche (l&rsquo;alesaggio era stato portato da 53 a 63 mm, mentre la corsa era rimasta di 56 mm). Tra le 175 F3 (o &ldquo;derivate&rdquo; che dir si voglia) per diverso tempo primeggiarono Case come Bianchi, Parilla e la solita Morini. Quest&rsquo;ultima schi er&ograve; l&rsquo;eccellente Settebello ad aste e bilancieri, un modello nato nel 1954 che venne sviluppato in versioni successive via via migliorate. Tra le sue caratteristiche spiccavano la trasmissione primaria a terna di ingranaggi (con albero a camme vincolato a quello centrale) e le forcelle spostamarce del cambio mosse da una piastra a scorrimento rettilineo. Nel 1956 la potenza veniva indicata in 15 cavalli a 8200 giri/ min. Semplice e robusta, si impose in numerose gare ed ebbe il merito di lanciare giovani piloti verso carriere sfolgoranti. Per tutti dovrebbe bastare il nome di Giacomo Agostini che, sulla Morini Settebello ultima versione, nota come &ldquo;aste corte&rdquo;, nel 1963 si aggiudic&ograve; sia il campionato Juniores che il titolo della Montagna. Dalla tranquilla Tonale di serie con distribuzione monoalbero a catena, la Bianchi ricav&ograve; una valida &ldquo;derivata&rdquo; che si impose nella sua classe alla Milano-Taranto del 1956. Le due valvole erano inclinate di 76&deg; e venivano mosse da bilancieri con rullo montati in un castello che veniva imbullonato sopra la testa. Le misure caratteristiche erano 60 x 61,8 mm. Di quel motore, progettato dall&rsquo;ingegner De Caria e sviluppato dall&rsquo;ingegner Colombo, vennero ricavate versioni di cilindrata superiore a 200 cm&sup3;, alcune delle quali con un comando della distribuzione a cascata di ingranaggi. Di particolare interesse tecnico era poi la Parilla, dotata di distribuzione a camma rialzata mossa da un corto giro di catena. Le due valvole erano inclinate di 90&deg; e venivano comandate da un unico eccentrico che agiva sulle due punterie a piattello. La disposizione dell&rsquo;albero a camme, che in pratica era all&rsquo;altezza della testa, consentiva di impiegare aste estremamente corte e bilancieri molto leggeri. La versione MSDS della 175 milanese prese il posto della precedente Sport Competizione e si impose nella sua classe nell&rsquo;ultimo Motogiro (1957). Per tale evento la Parilla realizz&ograve; anche alcune moto ufficiali con comando della distribuzione a cascata di ingranaggi. Le misure caratteristiche erano 59,8 x 62 mm.  Passa alla prossima pagina &nbsp; 175: la decadenza  Dopo IL 1957 il motociclismo entr&ograve; in una crisi che interess&ograve; inevitabilmente anche l&rsquo;attivit&agrave; agonistica. Le gare iniziarono a essere meno numerose e ad avere un seguito notevolmente inferiore. Stava finendo un&rsquo;epoca. Per alcune interessanti realizzazioni non fu possibile compiere il meritato sviluppo. Inizi&ograve; invece una carriera densa di successi la MotoBi (che fece in tempo a partecipare all&rsquo;ultimo Motogiro) derivata dal modello stradale Catria Sport. Negli anni Sessanta la grande rivalit&agrave; nella 175 fu quella tra le rinnovate Morini Settebello e le MotoBi sviluppate dal famoso tecnico Zanzani, sia nelle gare Juniores che in quelle in salita. Indimenticabili i duelli al calor bianco per il titolo della Montagna tra Bergamonti sulla moto bolognese e Bertarelli sulla monocilindrica pesarese. La classe 175 venne cancellata dal campionato Juniores alla fine del 1972 e un anno dopo venne abolita anche dalle gare in Salita.        

La cilindrata conobbe una notevole diffusione negli Anni &lsquo;50 soprattutto in Italia, dove la Federazione fu obbligata a creare due sottocategorie

175, la classe dimenticata | Tecnica

        Offspring, ovvero, la prole. &Egrave; il famoso gruppo musicale americano ad aprire il tema dei corridori-genitori, con una dichiarazione lanciata quando il gruppo era costituito da ragazzini californiani: &ldquo;Abbiamo scelto questo nome per la band perch&eacute;, finch&eacute; non saremo padri, tutto sar&agrave; facile. Giriamo il Mondo, suoniamo, ci divertiamo. Se qualcuno, a casa, avverte la nostra mancanza, non sono figli&rdquo;. Eppure, durante la carriera, prodotti numerosi album e consumati centinaia di concerti, Dexter Holland, Kevin Wasserman, Greg K e Ron Welty hanno avuto e ancora provano la gioia di essere pap&agrave;, vivendo le trasferte e il ritorno all&rsquo;ovile con estremo equilibrio. Esperienza dettata dal professionismo e, bisogna dirlo, da cachet di alto livello. Se un appartenente al quartetto vuole portarsi appresso un parente, gli trova un posto sul tour-bus o sull&rsquo;aereo privato. Il rischio? Ai figli l&rsquo;esperienza piace cos&igrave; tanto, da non poterne fare a meno. Il discorso vale pure per i piloti della MotoGP, classe regina dove la voce &ldquo;rischio&rdquo; si trova in cima alla lista dei pericoli da affrontare? Dipende, e ogni fattispecie richiede una breve analisi. Sui 22 titolari iscritti alla stagione 2025, quanti sono genitori e quanti no? Cosa cambia tra esserlo oppure no?  Passa alla prossima pagina MotoGP: l'analisi del ritmo in Thailandia &nbsp; I pap&agrave; in MotoGP  Si potrebbe rispondere &ldquo;tutto e niente&rdquo; ma se fosse ancora tra noi, Enzo Ferrari si farebbe sentire. Storica la sua frase: &ldquo;Un pilota perde un secondo al giro per ogni figlio che nasce&rdquo;. Comprensibile, pensando al senso del rischio che cambia sapendo di avere qualcuno che &egrave; sangue del tuo sangue che ti aspetta a casa o, peggio, al box. Eppure al fondatore del Cavallino &ldquo;risposero&rdquo; nomi che dettero alla luce pargoli, a partire proprio da un simbolo di Maranello come Michael Schumacher, super campione della Formula 1 capace di vincere, malgrado dovesse pensare anche a Gina Maria e Mick, rispettivamente alla luce nel 1997 e 1999. Da pap&agrave;, il tedesco conquist&ograve; cinque allori consecutivi tra il 2000 e il 2004 a bordo della Ferrari. Diversa la storia di un&rsquo;altra Leggenda contemporanea: Valentino Rossi, pap&agrave; di Giulietta e Gabriella, ha atteso la fine della carriera agonistica (anche se oggi con le auto non scherza) per il grande passo, ricalcando quanto fece Giacomo Agostini, che si spos&ograve; a 46 anni e successivamente ebbe due figli (la primogenita Vittoria di recente lo ha reso nonno). All&rsquo;esatto opposto Casey Stoner, con Alessandra Maria nata nel 2012, il giorno 16 febbraio, quando il rivale Valentino ha compiuto 33 anni. Chiss&agrave; quanto casualmente, in quel 2012 vissuto sulla Honda ufficiale l&rsquo;australiano ha deciso di abbandonare le corse. Di certo Stoner e Andrea Dovizioso &ndash; divenuto padre di Sara a 23 anni &ndash;&nbsp;sono stati le eccezioni di una MotoGP che in quegli anni appariva quasi vietata a mariti e genitori, come dimostravano i gi&agrave; citati Rossi e Marquez, ma anche Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa. Oggi sono Luca Marini e Joan Mir a difendere i colori HRC, con il fratello di Rossi genitore lo scorso 12 ottobre di Angelina Luce, mentre il maiorchino ha in Joan junior un bimbo nato il 22 luglio 2023. Al contrario la coppia Ducati Lenovo, per ora, &egrave; &ldquo;ferma&rdquo;: Pecco Bagnaia e Marc Marquez amano condividere momenti con i piccoli tifosi nel paddock, ma Domizia Castagnini (sposata da Pecco nel luglio scorso) e Gemma Pinto non hanno mai svelato una dolce attesa. Altro che Kenny Roberts senior, &ldquo;fecondatore&rdquo; storico della classe 500: sappiamo di Kenny junior, anch&rsquo;egli titolato nella mezzo litro edizione 2000, ma lo stesso Kurtis partecip&ograve; a MotoGP e SBK, da notare la sorella Kristie: tutti e tre i geniti hanno la lettera &ldquo;K&rdquo; nei nomi scelti dal Marziano. Honda HRC non &egrave; l&rsquo;unico team con due padri di famiglia. &Egrave; il caso di Pramac Racing che ha lasciato la Ducati accettando la sfida Yamaha: Paolo Campinoti, genitore, ha in Jack Miller e Miguel Oliveira un duo con tre figli, ovvero Pip Florence per l&rsquo;aussie, nata nel 2023, Alice nel 2021 e Pedro tre anni dopo per il portoghese. Da notare come Miguel, nonostante responsabilit&agrave; e pensieri, abbia fatto suoi i GP Indonesia e Thailandia nel 2022, in sella a una KTM portata al limite su fondi bagnati. Nel 2024 la sola medaglia d&rsquo;argento presa dal team Aprilia Trackhouse &egrave; stata appannaggio dello stesso Oliveira. Un ulteriore pap&agrave; in casa Yamaha &egrave; Alex Rins, che assieme ad Alexandra Urbi &egrave; spesso e volentieri accompagnato dal piccolo Lucas: "Quando lo lascio a casa, sento sempre di pi&ugrave; la distanza. Ne soffro, ma questo &egrave; il mio lavoro" ha confidato il catalano, dopo aver conquistato Austin assieme al Team LCR nel 2023. Il compagno di team Fabio Quartararo vive decisamente un&rsquo;altra fase, dato che non ha dato notizie neppure di liaison amorose. Non si registrano figli tra i piloti delle Case italiane: zero in Ducati (se escludiamo il tester Michele Pirro, con le piccole Ginevra e Giorgia) e zero in Aprilia (complice un&rsquo;et&agrave; media dei titolari di soltanto 25 anni), dove invece fino alla scorsa stagione c&rsquo;erano due pap&agrave; nel box, Aleix Espargar&oacute; e Maverick Vi&ntilde;ales, oggi in KTM, dove porta con s&eacute; Nina e Blanca, nate nel 2021 e 2023. Ricordiamo un triste e struggente momento, al quale Top Gun e la moglie Raquel Subir&agrave; Montesinos hanno avuto la forza di presenziare, malgrado il grave lutto. Dean Berta Vi&ntilde;ales, cugino di Maverick, era venuto a mancare nella tragica Supersport 300 di Jerez del 2021, il pilota allora in Aprilia aveva presenziato con la famiglia. &ldquo;Sono l&rsquo;uomo pi&ugrave; felice del Mondo che per&ograve; vive il momento pi&ugrave; triste&rdquo; il suo struggente commento, perdendo il cugino che voleva emularlo, pochi mesi dopo essere diventato pap&agrave;. In casa KTM, Brad Binder e la moglie Courtney aspettano l&rsquo;aprile a venire, per una nascita preceduta da &ldquo;Parecchi allenamenti&rdquo;. Pedro Acosta, ventenne, ha ancora tempo. E lo stesso Enea Bastianini non ha ancora avviato il progetto di famiglia. Una via estremizzata da Johann Zarco, uccel di bosco, ossia un uomo che ama la libert&agrave;. Difficile mettere su famiglia in certe condizioni, sempre che il francese ne senta la necessit&agrave;. Completamente da scoprire Somkiat Chantra, che nella sua Buriram scherzava: &ldquo;Vedete, quello striscione &egrave; stato appeso in tribuna da un gruppo di tifose. Vorrebbero essere madri dei miei figli, ma quanti dovrebbero essere?&raquo;. L&rsquo;estroso pilota proveniente dal Sud-Est asiatico ha altro a cui pensare: &laquo;Ho telefonato a mia mamma, una volta avuta la conferma del salto di categoria. Abbiamo pianto assieme da quanto forte fosse l&rsquo;emozione&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; I pap&agrave; in MotoGP: un confronto impossibile  Nel confronto tra chi &egrave; genitore &ldquo;contro&rdquo; chi non lo &egrave;, impossibile stilare chi abbia migliori o peggiori risultati, poich&eacute; ovviamente questi sono condizionati da stati di forma personali, efficacia del pacchetto tecnico a disposizione e varie situazioni che ogni campionato propone. Restano tuttavia alcune parole, qui riproposte: &ldquo;Se non portassi con me moglie e figli, resterei a casa&rdquo; ha detto Aleix Espargar&oacute; nel 2022. &ldquo;Babbei, mi avete fatto perdere tempo&rdquo; tuon&ograve; Kenny Roberts senior nei confronti del primo Wayne Rainey e Alan Carter, rei di scarso rendimento sulla Yamaha 250. &ldquo;Torno a Modesto dai miei figli, voi date gas&rdquo;. Un video gira su internet, per una camera onboard in cui, con la Ferrari, Fernando Alonso supera all&rsquo;esterno la Mercedes di Michael Schumacher. La curva giapponese 130R si affrontava a 300 chilometri orari: &ldquo;Sapevo che Michael avrebbe alzato il piede. Ha due figli ai cui pensare&rdquo;. Crudele l&rsquo;asso del volante di Oviedo, ma realista, lui che a quasi 44 anni &egrave; in pista e non si &egrave; ancora imbattuto in culle e pannolini. Durante uno dei viaggi spesi nel 2024 della MotoGP, un protagonista della griglia, pap&agrave;, ci ha detto: &ldquo;Se soltanto la mia moto fosse pi&ugrave; veloce e in grado di tenere testa alle Ducati, rischierei di pi&ugrave;. Ma non posso farlo, davvero. Oltre a pensare al sottoscritto, ho a casa una prole da sfamare&rdquo;. Ne manteniamo la privacy, essendo quel frangente un attimo di vita e non intervista ufficiale. Diamo ragione per&ograve; agli Offspring, maturati e dall&rsquo;opinione evoluta: &ldquo;Cantare, suonare e andare in giro &egrave; il nostro lavoro. Ci dispiace che, spesso, rimaniamo lontani dai figli, ma quando torniamo a casa, loro vedono padri realizzati e soddisfatti&rdquo;. Togliete microfono e chitarra, e sostituiteli con i semimanubri, e avrete lo stesso effetto.  MotoGP, Bezzecchi soddisfatto dei test: &ldquo;Mi sento pronto per la prima gara&rdquo;       

La classe regina non &egrave; pi&ugrave; &ldquo;vietata&rdquo; a genitori e mariti: ben sei piloti titolari hanno figli. &Egrave; lontana l&rsquo;epoca dei fenomeni a lungo scapoli

Più papà, meno scapoli: è una MotoGP formato famiglia

        Ne &egrave; valsa la pena? A sentire il diretto interessato, no. Ed &egrave; un&rsquo;eccezione nel mondo delle moto. &ldquo;Sei solo. &Egrave; tutto nelle tue mani. Solo tu ti puoi aiutare&rdquo;. A Fabio Barchitta, il 3 agosto 1989, queste parole le scrisse uno sconosciuto venuto a sapere del suo indirizzo da un giornale. La lettera era partita da Roma e arrivata in Germania, dove il pilota italiano si stava riprendendo dopo un brutto colpo. L&rsquo;allora ventisettenne l&rsquo;aveva aperta sul letto dell&rsquo;ospedale che l&rsquo;ospitava da un paio di mesi, quasi tutti trascorsi in completa immobilit&agrave; a causa di una vertebra rotta il 28 maggio durante la sesta prova del Mondiale 250, a Hockenheim. Continua nella prossima pagina MotoGP, Marquez: "Ho guardato i dati di Bagnaia e Martin ma..." &nbsp; La carriera di Fabio Barchitta Di fronte a s&eacute; Barchitta aveva altri tre mesi di travagli. Fatiche. Pensieri. La speranza di tornare a camminare. L&rsquo;inquietudine di chi ci poteva lasciare le penne. Le noie e i rimpianti di uno spirito che prima di quel patatrac aveva scalpitato per correre e vincere. Da quando aveva iniziato, a diciannove anni, niente l&rsquo;aveva fermato: rebus economici, relazioni amorose andate a monte, frustrazioni sportive. Nato a Catania nel 1961 e cresciuto in Veneto, a cinque stagioni dall&rsquo;esordio assoluto era gi&agrave; nella mischia della classe regina del Motomondiale. Oggi rilegge quella lettera, il nome scritto in calce, Andrea Di Giorgi, non gli dice nulla. Ma il senso delle parole che gli aveva rivolto, quello s&igrave;, mette i brividi. Barchitta indica un raccoglitore in cui conserva tutti i messaggi ricevuti per posta durante i mesi in ospedale, a centinaia insieme a telegrammi e cartoline. Riflette. Il motociclismo: con una misura gli ha dato, con un&rsquo;altra gli ha tolto. Ne &egrave; valsa la pena? Ci pensa spesso, dice. Poi, qualche secondo di silenzio. Certo, ci sono stati anche i momenti super. Come quella volta in Brasile, ultima gara del 1988: quel giorno il feeling era totale e si esprimeva nella sensibilit&agrave; con cui dosava il gas mentre la gomma posteriore fumava in derapata. Soltanto Randy Mamola era in grado di fare altrettanto sul circuito di Goiania. Il funambolo californiano per&ograve; era caduto, mentre Barchitta aveva chiuso 11&deg;, secondo miglior risultato dell&rsquo;anno, a chiudere una stagione iniziata con un tuffo a Suzuka, mentre sul bagnato cercava di tenere la scia del campione in carica Wayne Gardner sulla Honda ufficiale, un bel passo avanti rispetto alla sua tre cilindri privata che sui lati della moto portava il logo delle Vaserie Trevigiane, un&rsquo;anfora come stemma, le tinte gialle e arancioni su sfondo bianco. Ne va ancora fiero, perch&eacute; rendeva chiari gli svantaggi di una sfida da forsennato, risolta in un finale dannato.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Barchitta: l'intervista  Partiamo proprio dal 1988, la tua migliore stagione fra i grandi.  &ldquo;Il primo round fu in Giappone e durante le prove, sotto la pioggia, mi ritrovai dietro a Gardner. Pensai: magari riesco a stargli attaccato e fare un buon tempo. Il divario tecnico fra le nostre moto era ampio. E poi lui montava gomme Michelin, io Dunlop. Dopo le prime otto curve, rischiando e nemmeno poco, gli ero ancora attaccato. All&rsquo;ingresso della successiva, una destra a 90 gradi, devo aver scalato una marcia di troppo. Volai via e mi risvegliai in ospedale&raquo;. Saltasti le prime gare dell&rsquo;anno.  &ldquo;Rientrato in Italia, sentivo dei formicolii al braccio destro e alla mano. Mi operarono al gomito otto giorni prima del GP di Imola, che corsi dolorante".  Cosa ti spingeva?  "La voglia di vincere. Volevo mettermi in luce con una moto privata per puntare a una ufficiale. Ero determinato: i giorni nell&rsquo;ospedale giapponese mi avevano caricato ancora di pi&ugrave;&rdquo;.  &Egrave; vero che in 500 non ci volevi nemmeno correre?  &ldquo;Bisogna andare indietro, a fine 1984. Vinto il campionato italiano TT2 su una Ducati quattro tempi ebbi l&rsquo;opportunit&agrave; di guidare una Suzuki 500 da GP, scoprendo un mostro: 130 cavalli difficili da gestire, sia fisicamente che mentalmente. Per il cervello era complicato reagire a quelle velocit&agrave;. Pensavo fosse un po&rsquo; troppo, per me&rdquo;.  Cosa ti convinse?  &ldquo;Le parole di Giacomo Agostini. volevo fare l&rsquo;Europeo 250, ma il Team Italia, coordinato dalla nostra Federazione e con il quale ero in contatto, non aveva spazio nella quarto di litro. Idem nella 125. L&rsquo;unica opzione era la 500. Ago mi disse: &lsquo;Se hai questa occasione, sfruttala. Alla peggio, cambierai categoria l&rsquo;anno dopo&rsquo;. All&rsquo;inizio andavo meglio del previsto, e vinsi a Jerez e Assen&rdquo;.  Avevi dei segreti?  &ldquo;Mi impegnavo parecchio e su tutti i fronti. La mattina era dedicata agli sponsor, a pranzo seguivo la dieta di un preparatore, nel pomeriggio jogging o palestra, poi una visita in officina per parlare con i meccanici e capire se c&rsquo;erano ricambi da acquistare o altre questioni da affrontare. Perch&eacute; i team, anche se con i budget della Federazione oppure delle aziende che mi sostenevano, li ho quasi sempre gestiti da solo. Facevo tutto, anche la contabilit&agrave;. Ero cos&igrave; preso che trascuravo pure le ragazze. Il sabato sera volevano andare alle feste, la domenica a passeggio. Io invece le portavo in pista. Chiedevo una mano per far da mangiare nella roulotte, per esempio. Dopo un po&rsquo; mi dicevano: &lsquo;Questa vita non fa per me. Bye bye&rsquo;&rdquo;.  Come trovavi gli sponsor?  &ldquo;Mi presentavo vestito bene, con raccoglitori nei quali avevo ordinato i risultati, le foto e i ritagli delle interviste pubblicate dai quotidiani locali, come il Gazzettino di Venezia e la Tribuna di Treviso. Fra i primi a sponsorizzarmi ci furono una ditta di materassi e il gommista di mio padre. Cercavo sponsor dappertutto. Me la cavavo pure bene&raquo;. Torniamo al 1988: arrivarono un 10&deg; posto a Brno e un 11&deg; in Brasile, dove derapavi come un matto. &laquo;Riuscivo a lottare per essere il primo dei non ufficiali e credendo che le moto Factory venissero assegnate con un criterio meritocratico, pensavo di avere delle possibilit&agrave;. A contare invece erano i quattrini. Per correre l&rsquo;89 con Honda &lsquo;buone&rsquo; un team mi chiese 600 milioni, l&rsquo;equivalente di tre-quattro appartamenti. Li cercai, ma senza successo. Cos&igrave; passai in 250, dove l&rsquo;Aprilia mi aveva assicurato un trattamento di riguardo. I primi round per&ograve; furono un calvario: mille problemi, sia tecnici che di gestione&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Barchitta: l'incidente, le conseguenze  Il sesto appuntamento della stagione fu a Hockenheim.  &ldquo;Erano le fasi iniziali della gara e mi trovavo attorno alla settima posizione. Prima di arrivare alla sezione finale, il Motodrom, un pilota pi&ugrave; avanti rispetto a me gripp&ograve;. L&igrave; c&rsquo;&egrave; una curva a destra: lui era ancora in rettilineo, poteva andare dritto e ritirarsi. Invece rimase in traiettoria, con la frizione tirata, a motore spento. Venne centrato e accadde il finimondo. Cademmo in tanti. Moto a fuoco, un macello. Ivan Palazzese perse la vita&rdquo;.  Dopo l&rsquo;incidente cosa ricordi?  &ldquo;Mi ero rotto la prima vertebra lombare. I medici in Germania volevano operarmi, ma il dottor Claudio Costa della Clinica Mobile la pensava diversamente. Diedi retta a lui, perch&eacute; l&rsquo;intervento sarebbe stato rischioso. Trascorsi otto settimane completamente immobile, poi un lento recupero. Quando tornavo dalla riabilitazione trovavo sul materasso dell&rsquo;ospedale le lettere di amici e appassionati, che avevano letto l&rsquo;indirizzo su Motosprint e altre testate. Non ero solo, c&rsquo;era mia moglie con me. Ma era dura. I messaggi di incoraggiamento e affetto mi diedero la forza per andare avanti. In novembre mi mandarono a casa, nel gennaio 1990 ero gi&agrave; al lavoro, in stampelle, come coordinatore di alcuni team Aprilia. Oggi mi occupo di marketing sportivo con la mia azienda, Fastback. Ho messo a frutto le capacit&agrave; che avevo sviluppato da giovane quando coccolavo i miei sponsor&rdquo;.  Da addetto ai lavori, sei ancora nel paddock: nei piloti di oggi, rivedi qualcosa di te?  &ldquo;Mi capita di notare che alcuni hanno alti e bassi. Un giorno vanno forte, un altro sono indietro. Quando succedeva a me, era perch&eacute; non tutte le mattine mi svegliavo con la voglia di prendermi dei rischi a 300 km/h. Magari avevo dormito male, oppure c&rsquo;erano dei pensieri che mi frullavano per la testa. Salire in sella per fare una cosa che di norma amavo, ma forzatamente e con la pressione di dover andare al limite, era una piccola violenza. Se vedo un pilota con prestazioni altalenanti, lo capisco. Magari vive quello che ho vissuto io. Non siamo macchine&rdquo;.  Questo sport ti ha dato e ti ha tolto: ne &egrave; valsa la pena?  &ldquo;&Egrave; una domanda che mi faccio spesso. Dopo l&rsquo;incidente non posso pi&ugrave; correre a piedi. Vado in bici, nuoto, cammino ma dopo un po&rsquo; fatico. Ho sofferto tanto e ne vivo ancora le conseguenze. Certo, potevo morire. Ma se devo tirare le somme, direi di no. Non ne &egrave; valsa la pena&rdquo;.  MotoGP, Ducati spiega la scelta tra Marc Marquez e Jorge Martin       

"L&rsquo;incidente del 1989 a Hockenheim, in cui persela vita Ivan Palazzese, mise fine alla mia avventura di pilota. Ne pago ancora le conseguenze"

Fabio Barchitta racconta la sua carriera: "No, non ne è valsa la pena"

        Il Mondo va avanti e con lui il progresso. Cos&igrave;, in MotoGP, anche ci&ograve; che sembrava utopia pu&ograve; diventare reale. Come per esempio la comunicazione radio tra pilota, Direzione Gara e, soprattutto, box. Qualcosa che negli anni di Giacomo Agostini o Jarno Saarinen non era nemmeno immaginabile, ma se dalle prime tabelle rudimentali si &egrave; passati a quelle pi&ugrave; moderne e, soprattutto, alle comunicazioni sul cruscotto delle moto (celebre il &ldquo;Mappa 8&rdquo; della Ducati per chiedere invano a Jorge Lorenzo di lasciare strada ad Andrea Dovizioso a Sepang e Valencia nel 2017), &egrave; chiaro come la radio rappresenti il passo successivo nell&rsquo;evoluzione della specie. Non si tratta di un tema cos&igrave; &ldquo;nuovo&rdquo;, dato che non &egrave; emerso per la prima volta nel corso del 2024, tanto che la Dorna lo aveva posto sul tavolo gi&agrave; nel 2020, tornando alla carica ciclicamente per convincere squadre e soprattutto piloti (i pi&ugrave; scettici) a credere in questa innovazione.  Continua nella prossima pagina MotoGP, Ducati spiega la scelta tra Jorge Martin e Marc Marquez &nbsp; I team radio in MotoGP  Un&rsquo;idea che nasce per ragioni di sicurezza: del resto, poter avvisare immediatamente un pilota circa la presenza di un rivale a terra in mezzo alla pista o avvertirlo in merito a una grossa chiazza di olio da evitare sarebbe un passo in avanti. Tuttavia &egrave; breve il passo che porta alla spettacolarizzazione, soprattutto ora che la MotoGP si prepara a diventare &ldquo;hollywoodiana&rdquo; con Liberty Media. E quindi i team radio della Formula 1 potrebbero diventare un obiettivo verso cui indirizzarsi. Inutile nascondersi dietro a un dito: con la crescita esponenziale della F1 negli ultimi anni e il corrispondente calo &ndash; anche se con una successiva ripresa &ndash; della MotoGP post-Valentino Rossi, le due ruote hanno guardato con interesse alle novit&agrave; e alle scelte del paddock delle quattro (in primis le gare Sprint). Ed &egrave; innegabile come una delle fonti di interesse nelle gare di Formula 1 sia proprio la comunicazione tra il pilota e la squadra. Sia per i momenti concitati relativi alla strategia da adottare che per quelli pi&ugrave; &ldquo;di sfogo&rdquo; dei piloti, momenti a uso e consumo del pubblico, che negli anni ha imparato ad apprezzare il Circus anche per questo aspetto. Anche per questa ragione la Dorna ha guardato con interesse all&rsquo;implementazione della comunicazione radio tra piloti e squadre, e ora il percorso tracciato sembra davvero poter condurre verso un risultato tangibile, seppure non nel prossimo futuro. Dalle prime fasi del 2025 la comunicazione radio arriver&agrave; realmente in MotoGP, ma soltanto in forma unidirezionale tra Direzione Gara e piloti, con la prima in grado di inviare messaggi preregistrati a chi guida, in caso di situazioni di pericolo o affini. Un primo passo che al momento si scontra con l&rsquo;avversione di alcuni piloti, i quali rischiano per&ograve; di doversi arrendere alla novit&agrave;. Anche perch&eacute; le sperimentazioni sono andate avanti per tutto il 2024, pressoch&eacute; in ogni sessione di test svolta dalla MotoGP: a Misano, nel settembre scorso, era stato &ndash; insieme con Fabio Quartararo &ndash; Aleix Espargar&oacute; a portare avanti i collaudi. &ldquo;Stiamo cercando di migliorare il sistema, non soltanto in termini di comunicazione ma anche di sicurezza, in caso di caduta. Sono tra coloro i quali hanno spinto per l&rsquo;implementazione della radio ma non &egrave; facile. Dire che questo non &egrave; possibile &egrave; la strada pi&ugrave; facile, ma credo sia pi&ugrave; complicato attivare o disattivare l&rsquo;abbassatore a ogni curva: se cinque anni fa avessimo detto a un pilota che avrebbe dovuto schiacciare un tasto a ogni accelerazione non ci avrebbe creduto. Sar&agrave; divertente, credetemi&rdquo;. Opinione interessante, anche se i panni di promotore dell&rsquo;iniziativa li veste un pilota che non utilizzer&agrave; la novit&agrave; in gara, dato che si &egrave; ritirato. I test sono poi proseguiti a Barcellona, sia nell&rsquo;ultimo weekend di gara della stagione che nella successiva giornata di test. Nel warm up infatti Michele Pirro ha provato la radio con la comunicazione unidirezionale, ma il grande passo in avanti &egrave; stato compiuto nei test, quando il collaudatore Ducati ha provato la comunicazione bidirezionale, parlando durante la guida con Davide Tardozzi. &ldquo;Per quanto mi riguarda &egrave; questione di abitudine &ndash; il suo primo riscontro &ndash; ed &egrave; qualcosa di interessante. Ovviamente in una sessione di test abbiamo potuto parlare sempre, farlo in altre situazioni non sarebbe il massimo. &Egrave; comodo? Diciamo che servono ancora dei passi avanti, per arrivare al punto in cui i fili e tutto il resto non si avvertono&rdquo;. La strada intrapresa sembra quella corretta, e se nel 2025 appare chiaro come la comunicazione unidirezionale far&agrave; il suo ingresso in pista, per il 2026 &ndash; o forse anche prima? &ndash; &egrave; prevista l&rsquo;implementazione di quella bidirezionale. Come detto, per&ograve;, su questo punto lo schieramento dei piloti sembra tutt&rsquo;altro che unito sullo stesso fronte. A fare da contraltare ai pareri pi&ugrave; o meno positivi di Pirro ed Espargar&oacute; c&rsquo;&egrave; infatti il pensiero di un pilota il cui peso specifico potrebbe (e dovrebbe) essere importante, Pecco Bagnaia.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Team radio: Pecco Bagnaia &egrave; contrario  Sia nel settembre che nel novembre scorso, il ducatista si &egrave; detto contrario all&rsquo;implementazione della radio, tanto da sottolineare a Misano: &ldquo;Penso che prender&ograve; una multa in ogni gara, come Michael Jordan a inizio carriera quando utilizzava le scarpe rosse (mentre la NBA imponeva calzature principalmente bianche, nde). Abbiamo gi&agrave; tutto quello che serve per essere avvertiti, e sistemi del genere possono essere anche fonti di distrazione. E noi guidiamo dei mezzi che non consentono distrazioni&rdquo;. Una presa di posizione forte, quella del piemontese, che due mesi dopo &ndash; chiss&agrave; quanto spontaneamente &ndash; ha riprovato il sistema a Barcellona, rimanendo pi&ugrave; o meno della stessa opinione. "Il sistema non &egrave; ancora pronto &ndash; il giudizio lapidario di Bagnaia &ndash; &egrave; fastidioso e non mi piace neppure il modo in cui &egrave; montato, soprattutto perch&eacute; il cavo &egrave; molto ingombrante. Non ho cambiato il mio punto di vista: fino a quando il sistema non sar&agrave; pronto non lo user&ograve;". Per convincere tutta la griglia, o meglio per mettere tutti d&rsquo;accordo, potrebbe quindi servire tempo, ma d&rsquo;altronde tutte le novit&agrave; del recente passato hanno vissuto un percorso tormentato. Basti pensare alle Sprint, imposte dalla Dorna ai piloti e a dir poco bistrattate nei primi weekend di gara del 2023 &ndash; quando generarono caos e purtroppo infortuni &ndash; ma poi interiorizzate e quasi apprezzate da gran parte dei piloti, con Jorge Martin maestro nell&rsquo;utilizzarle per conquistare il primo titolo in MotoGP. Non sappiamo se la comunicazione radio vivr&agrave; la stessa evoluzione, ma sono noti sia il suo arrivo a breve che il risvolto positivo che potr&agrave; avere. Nel processo che porter&agrave; alla finalizzazione del progetto occorrer&agrave; per&ograve; tenere ben presente anche un ulteriore aspetto, ossia che il motociclismo non &egrave; l&rsquo;automobilismo, e questo non cambier&agrave; mai: come accennato anche da Bagnaia, su due ruote il margine di errore &egrave; ancora pi&ugrave; sottile che su quattro, e una possibile fonte di distrazione potrebbe soltanto complicare il lavoro dei piloti, i quali sono gi&agrave; con le mani piene. Ovviamente si &egrave; gi&agrave; pensato di aprire la comunicazione solamente in determinati momenti, come per esempio in rettilineo &ndash; &ldquo;Potrebbe essere complicato ascoltare un membro del team in un curvone veloce&rdquo; ha scherzato a riguardo Quartararo &ndash; ma il punto resta. Non resta che attendere le mosse della Dorna &ndash; e Liberty Media &ndash; impaziente di rendere ancora pi&ugrave; &ldquo;appetitoso&rdquo; il prodotto, anche a costo di sentire qualche mugugno in pi&ugrave; nelle prossime riunioni della Safety Commission, rese gi&agrave; incandescenti dall&rsquo;operato non certo ottimale dello Steward Panel. Ma almeno in questo aspetto, con l&rsquo;addio dell&rsquo;incomprensibile ed evanescente Freddie Spencer e l&rsquo;insediamento di Simon Crafar, si auspica un miglioramento senza riserve: sar&agrave; un modo per &ldquo;addolcire&rdquo; l&rsquo;arrivo della radio ai piloti pi&ugrave; refrattari?  MotoGP, cosa aspettarsi dalla pattuglia italiana       

L&rsquo;idea, per&ograve;, trova &ldquo;ribelli&rdquo; illustri come Bagnaia: "Finch&eacute; il sistema non sar&agrave; pronto, non lo utilizzer&ograve;, a costo di farmi multare"

MotoGP e team radio: l'inizio di una nuova era

        Esplosione o implosione. Vietato pensare a mezze misure, parlando del rinnovato Team Lenovo Ducati, in cui Pecco Bagnaia dovrebbe fungere da padrone di casa con Marc Marquez a recitare il ruolo dell&rsquo;ospite giunto (quasi) a sorpresa. O, come ha detto il catalano con un accostamento calcistico, uno &egrave; Vinicius, due volte vincitore della Champions League (la MotoGP del calcio) con quel Real Madrid che ha accolto anche Kylian Mbapp&eacute;, il fenomeno pi&ugrave; conteso del pallone. I critici dallo spirito propositivo la pronosticano quale &ldquo;squadra dei sogni&rdquo; &ndash; tesi appoggiata anche da Davide Tardozzi &ndash; mentre i negativi ne intravedono scenari da incubo. Chi avr&agrave; ragione lo sapremo nei prossimi mesi, di certo entrambe le fazioni escludono una via intermedia. Ovvero, come se l&rsquo;ipotesi di un pilota vincente e l&rsquo;altro no, e garage comunque contento, fosse da scartare a priori. Potrebbe succedere? Ovviamente s&igrave;, per&ograve; l&rsquo;attenzione &egrave; focalizzata sull&rsquo;insieme, sul gruppo, sul colore rosso. La tinta maggiormente in voga nella MotoGP, ambita ma non ottenibile da chiunque, ne uscir&agrave; ulteriormente esaltata, oppure sbiadita. A godere sar&agrave; uno dei due piloti. A soffrire sar&agrave; l&rsquo;altro. Senza vie intermedie o compromessi accettabili. Continua nella prossima pagina  &nbsp; Bagnaia e Marquez, dream team Ducati  Volete dire a Pecco di stare dietro a Marc? Follia. Bagnaia vorr&agrave; stare davanti. Volete dire a Marc di fare il gioco di Pecco? Roba da matti. Sar&agrave; duello vero, autentico, Ayrton Senna vs Alain Prost, con personalit&agrave; forti, polsi rapidi, cervelli fini. Fin qui qui ci siamo: chi avr&agrave; la meglio? Tralasciando la sfera di cristallo, &egrave; divertente provare a pronosticare gli esiti della prossima stagione: Pecco e Marc pongono valide ragioni nell&rsquo;obiettivo di prevalere, per l&rsquo;azienda vale lo stesso discorso. Perso il numero 1 e acquisito il 93, Borgo Panigale si trova &ndash; volente o nolente, poi stileremo i motivi &ndash; di fronte a un bivio storico: perfezionare i propri record, oppure rinunciare a qualcosa. Qualora trionfasse uno dei due, ce ne sarebbe sempre uno dei due a uscire sconfitto. Diciamo sul serio, ed eccovi 10 motivi. Il primo: provate a pensare a quale sarebbe l&rsquo;umore di Pecco, con un Marc costantemente pi&ugrave; veloce e competitivo. Perlomeno pessimo, nel crollo di un castello messo in piedi di stagione in stagione. Il secondo: immaginate come si sentirebbe Marquez qualora le prendesse sempre da Bagnaia. Frustrato, come a dire: hanno fatto di tutto per portarmi qui, e io fallisco. Il terzo: in caso di rendimenti equivalenti, ci penser&agrave; il box a impartire ordini e gerarchie? Possibile, ma da quale versante pender&agrave;? Il quarto: appunto, mediante quali modalit&agrave; queste gerarchie verranno stabilite? Bandiera, marketing o altro? Il quinto: indipendentemente dai risultati, verso chi verr&agrave; indirizzato lo sviluppo della Desmosedici? Verso chi viaggia pi&ugrave; forte, crediamo. Gi&agrave;, ma chi viagger&agrave; pi&ugrave; forte?  Il sesto: sia l&rsquo;italiano che lo spagnolo (quattro anni pi&ugrave; anziano) hanno contratti fino a tutto il 2026, &egrave; presto per parlare di rinnovo? Ricordiamo la rivoluzione tecnica programmata nel 2027 e l&rsquo;esigenza di scendere in pista con i prototipi gi&agrave; un anno prima. Il settimo: a seguito dei test del Montmel&oacute; e relative sensazioni, gli umori del campione uscente e dell&rsquo;otto volte iridato si rivelavano ancora abbacchiato ed esplosivo. L&rsquo;inverno &egrave; adesso &egrave; brevissimo, anche se tante cose possono accadere. L&rsquo;ottavo: la politica &ldquo;giovane&rdquo; nella trafila da satellite Pramac all&rsquo;investitura ufficiale &egrave; decaduta, assieme all&rsquo;uscita di tre piloti (il campione del Mondo Martin, pi&ugrave; Bastianini e Bezzecchi) ancora relativamente giovani, perci&ograve; quanto sarebbe conveniente per il marchio scommettere sul trentaduenne a febbraio nativo di Cervera? Il nono: Marc vuole il nono mondiale, a dispetto di Pecco, raggiungendo Valentino Rossi. Il decimo: dopo il nono, Marc vorr&agrave; anche il decimo ma, tornando al precedente punto, Bagnaia cercher&agrave; di seguito terzo e quarto. Si evince che, comunque andr&agrave;, viger&agrave; un compromesso, alla faccia del connubio. Mantenere nervi saldi e staff unito, senza esagerare, sar&agrave; la voce messa pi&ugrave; in alto tra le tante possibili.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Ducati: Bagnaia-Marquez, sfida per il numero 1  Eppure, durante il 2024 si sono sprecati parecchi commenti, non necessariamente fatalisti. Partiamo da lontano, quando il pi&ugrave; decorato rimasto in attivit&agrave;, anzich&eacute; farsi premiare, si faceva curare. A partire dall&rsquo;estate 2020, operazioni, rinunce e lunghe pause. Spesso si pensava che gli sfortunati episodi fossero addirittura l&rsquo;anticipo dell&rsquo;addio. Contestualmente, la Honda cominciava a crollare, raccogliendo delusioni a raffica. Tra l&rsquo;anno pandemico e il 2023, crescevano invece le quotazioni di Bagnaia e della Ducati, con il suo passaggio da Pramac a ufficiale tra il 2020 e il 2021. Un&rsquo;investitura Factory figlia di un percorso non privo di ostacoli e infortuni: polso destro e tibia sinistra fratturati, con quattro appuntamenti saltati. Desiderio di riscatto e senso di responsabilit&agrave; lo hanno accompagnato, partendo dal titolo 2021 perso contro Fabio Quartararo e la Yamaha: eccellente il successo in Aragona (contro Marquez con una dozzina di sorpassi scambiati&hellip;) ad aprire la striscia arrivata a quota 29 per il torinese di Chivasso, che si &egrave; costruito l&rsquo;effigie di Uomo Ducati a suon di immagine &amp; sostanza, elementi ben mixati in pista e ai microfoni. L&rsquo;impresa tutta tricolore 2022, a riprendere Giacomo Agostini e MV Agusta nel 1972, verr&agrave; dimenticata dalla Casa bolognese? Pecco spera di no ma, per ricordargliela, dovr&agrave; aggredire subito Marc. Il catalano risponder&agrave;. In teoria. Anche se ci viene in mente il duello di Jerez de la Frontera consumatosi lo scorso 28 aprile, ammirato da una folla oceanica e urlante. Marc, padrone di casa, ci ha provato in ogni modo a battere Pecco, nella volont&agrave; di onorare il pubblico nazionale, ma Bagnaia ha risposto almeno due volte a Marquez, nella sequenza di sorpasso e controsorpasso a far urlare fino a perdere le corde vocali. Segni di gomma sulle tute, carene graffiate, ali piegate: uno voleva piegare, segnare e marcare l&rsquo;altro, ha avuto la meglio il barbuto e snello Bagnaia, mentre il viso pulito di Marc ha chinato il capo. Ecco, esatto: Pecco voleva ricordare lo status di numero 1, lo aveva gi&agrave; fatto poche settimane prima, non arrendendosi al sorpasso di Marc, a Portimao, dove la gara dei due futuri compagni era finita nella ghiaia. Quel numero 1 &egrave; nuovamente attirato dalle mani del prossimo ventottenne, trasferitosi a Pesaro per acclimatarsi e rimanere a stretto contatto della VR46. Valentino Rossi, rivale per antonomasia di Marquez, spostatosi a Madrid per ragioni legate alle cure mediche, diventando cos&igrave; una sorta di &ldquo;capitalista&rdquo;. Proprio a 28 anni compiuti Marc visse in diretta l&rsquo;ultimo campionato di Valentino, assistendo all&rsquo;addio e al cambio di ambiente proposto dal paddock. Anche se non vinceva, Rossi era il pilota da sconfiggere. Adesso, anche se non (sempre) vince, Marquez &egrave; l&rsquo;avversario da battere. Durante l&rsquo;evento Campioni in Piazza, la Ducati ha celebrato un cammino d&rsquo;annata eccezionale, pressoch&eacute; unico. Certo, una &ldquo;macchia&rdquo; con la vittoria Aprilia firmata Maverick Vi&ntilde;ales ad Austin, e una festa &ldquo;guastata&rdquo; da Martinator e Pramac diretti in Aprilia e Yamaha (trasferimenti figli della promozione di Marquez a ufficiale) per&ograve; pensiamo al futuro: abbiamo qui Bagnaia, capace di segnare la classifica pi&ugrave; volte nell&rsquo;ultimo lustro, e Marquez, il profilo pi&ugrave; titolato del paddock. Comprensibilmente, l&rsquo;azienda prevede un bicchiere mezzo pieno, e non ci sta facendo bere un messaggio alterato: sempre che non arrivi un costruttore o un pilota in grado di sovvertire il trend, almeno un ducatista si giocher&agrave; il Mondiale 2025, nella considerazione concessaci da Mauro Grassilli: &ldquo;Premettiamo una cosa &ndash; le parole del direttore sportivo &ndash; perdere Pramac, Martin, Bastianini e Bezzecchi &egrave; per noi un aspetto dolente. Ci si creda o no, a noi dispiace tantissimo. Per ragioni puramente aziendali e interne, ci abbiamo pensato, optando per Marquez. Ci rendiamo conto di quanto forte sia la decisione, sapendo che Marc far&agrave; bene, Pecco altrettanto. Li faremo andare d&rsquo;accordo&rdquo;.  Che il box possieda capacit&agrave; valide all&rsquo;equilibrio, nessun dubbio. In causa sono chiamati professionisti di alto livello a livello gestionale, tecnico e agonistico. Ci si domanda se il susseguirsi degli episodi influir&agrave; o meno su clima e tensioni, spingendo il piatto della bilancia a destra o sinistra. Se pesi e misure saranno divisi equamente, bene, ma la divisione sar&agrave; spartita da cavalli che vogliono mangiare tutto, senza lasciare Briciole. L&rsquo;esperienza negativa messa in saccoccia da Pecco gli servir&agrave;: &ldquo;Ho capito dove &egrave; stato perso il titolo, ne trarr&ograve; insegnamento&rdquo;. L&rsquo;apprendistato di Marc anche: &ldquo;Il 2024 mi &egrave; servito, adesso mi sento pronto per competere costantemente ai vertici&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Bagnaia e Marquez, prove di convivenza in Ducati  Nella serata del 3 dicembre a Bologna, i due mastini si sono guardati il minimo sindacale, Pecco vestito di rosso ufficiale, Marc d&rsquo;azzurro Gresini. Giusto qualche battuta, niente di che. Erano probabilmente stanchi dai mille impegni promozionali e istituzionali, forse stavano pensando alle vacanze e alle Festivit&agrave; natalizie (o alla luna di miele, nel caso di Pecco), oppure pregustavano i test di Sepang e Buriram, nei quali impostare una sfida cominciata a precedere la ventura convivenza. O forse avevano in mente le frasi di osservatori pi&ugrave; o meno privilegiati: &ldquo;Noto l&rsquo;interesse a far vincere Marquez&rdquo; ha sottolineato Luca Marini, osservando anche gli occhi di Gigi Dall&rsquo;Igna che brillano di fronte al talento di Marc. &ldquo;Vedo favorito Pecco, &egrave; a un livello molto difficile da raggiungere, anche se poi osservando i dati di Marquez si resta impressionati&rdquo;. O forse Bagnaia pensava all&rsquo;esperienza del nuovo compagno di box, che ha ammesso di aver contribuito a &ldquo;sottrarre&rdquo; Jorge Lorenzo alla Ducati nel 2018 per portarlo al suo fianco, ad armi pari: &ldquo;Fui io a dire ad Alberto Puig di prendere Lorenzo per toglierlo alla Ducati, altrimenti avrebbe vinto&rdquo;. Diabolico. A Bologna, Bagnaia e Marquez si sono guardati negli occhi, furtivamente e rapidi, poi hanno cercato gli occhi di Martin. La nostra sensazione ci ha suggerito un pensiero: "Io e te siamo pronti a scannarci, per&ograve; il campione &egrave; Jorge. Potremmo contenderci la corona, ma il Re &egrave; lui, ora all&rsquo;Aprilia. Noi siamo ducatisti, dobbiamo fare l&rsquo;interesse di Borgo Panigale, non esclusivamente il nostro. Evitiamo di rovinare tutto". Esatto, tutto o niente.        

&Egrave; il tema alla vigilia del Mondiale: la Ducati ufficiale schiera otto titoli MotoGP, con Pecco simbolo dell&rsquo;azienda e Marc sogno proibito di Dall&rsquo;Igna

MotoGP, Pecco Bagnaia e Marc Marquez: la coppia scoppierà?

        Era il 1972, quando Giacomo Agostini e Alberto Pagani conquistarono una doppietta sull'Isola di Man, rimasta a lungo l'ultima firmata da due piloti italiani sul Mountain Course. Dopo oltre cinquant'anni, per&ograve;, nell'edizione 2024 del Manx Grand Prix abbiamo assistito ad una vera e propria impresa di due road racers tricolore che sono riusciti a replicare tale incredibile risultato. Stiamo chiaramente parlando di Andrea Majola e Maurizio Bottalico, che nella gara del Junior Manx GP (ovvero la classe Supertwin dell'evento che si svolge ad agosto sul tracciato stradale pi&ugrave; famoso al mondo) hanno concluso rispettivamente primo e secondo in quella che &egrave; stata una vera e propria corsa sprint in cui il meteo ha giocato un ruolo fondamentale rendendo il tutto ancora pi&ugrave; complicato. Un risultato a dir poco stellare, che verr&agrave; celebrato ai Caschi d'Oro di Motosprint. 130 km senza forcella: l'impresa di Arunas Gelazninkas alla Dakar 2025  Majola e Bottalico ai Caschi d'Oro, in attesa del debutto al TT  Andrea e Maurizio saliranno sul palco del BPER Forum di Modena il 31 gennaio in occasione degli &ldquo;Oscar del motociclismo&rdquo; firmati dall nostra testata per celebrare in maniera speciale questo fantastico traguardo, prima di focalizzarsi su una nuova sfida sempre sull'Isola di Man. Quest'anno, infatti, entrambi debutteranno al Tourist Trophy arrivando cos&igrave; a confrontarsi con leggende dell'Isola come John McGuinness e Michael Dunlop, puntando a mettersi in luce anche in quella che &egrave;, a tutti gli effetti, la corsa di moto per eccellenza. MotoGP come la Nascar: Trackhouse vuole un 2025 da protagonista       

Andrea e Maurizio, autori di una straordinaria e storica doppietta italiana nel Junior Manx Grand Prix 2024, saranno tra i protagonisti dell'evento modenese

Dall'Isola di Man... al palco: Majola e Bottalico premiati ai Caschi d'Oro

  L&rsquo;evento dei Caschi d&rsquo;Oro di Motosprint &egrave; sempre un appuntamento che lascia il segno, grazie ai personaggi che vengono premiati e alle emozioni che tutto questo comporta. Ma l&rsquo;edizione del 2022, se possibile, &egrave; stata ancora pi&ugrave; speciale delle altre. Si &egrave; tenuta il 31 gennaio 2023, al teatro Galli di Rimini, e si &egrave; svolta dal vivo dopo sei anni. Per questo i traguardi e i risultati da celebrare erano pi&ugrave; del solito.    Numeri da capogiro che hanno scaldato l&#39;atmosfera   Stiamo parlando di 50 anni di vittorie italiane e ben 60 titoli mondiali, con una platea gremita di ospiti illustri e un pubblico entusiasta. A presenziare c&rsquo;erano oltre 40 tra leggende, campioni del mondo e piloti capaci di mettersi in evidenza durante la stagione 2022 per una serata che &egrave; stata unica nel suo genere. C&rsquo;era il mitico Giacomo Agostini, a ritirare il suo premio alla carriera, cos&igrave; come Max Biaggi, passando poi per Loris Capirossi, Giovanni Sala, Michele Rinaldi, Tony Cairoli, Manuel Poggiali, Emilio Ostorero e David Philippaerts. Nomi importanti a cui sono associati grandi ricordi e profonde emozioni.    Continua l&#39;articolo nella prossima pagina  &nbsp;  I campioni del momento, con un ricordo per Fausto Gresini   Non poteva mancare Nadia Padovani, che aveva ritirato il premio speciale previsto alla memoria del marito Fausto Gresini, oggi impegnata saldamente in MotoGP. Fino ai Campioni di quell&rsquo;anno Francesco Bagnaia, in MotoGP, e Andrea Verona nell&rsquo;Enduro, e ai due italiani che si erano messi in mostra Enea Bastianini e Marco Bezzecchi. Per poi passare ai promettenti campioni del CIV, a coloro che avevano disputato il Nazioni Cross e la Sei Giorni Enduro. Insomma un evento indimenticabile... 

Ogni edizione che si rispetti &egrave; ricca di emozione e del fascino che ogni motociclista porta con s&eacute;, ma quell&rsquo;anno &egrave; stato amplificato&hellip;

Caschi d&rsquo;Oro 2022: un&rsquo;edizione straordinaria con il pieno di ospiti illustri

               Nel panorama globale della MotoGP e della classe regina, e pertanto nell'arco della sua lunghissima storia, sono state tantissime le corse epiche contraddistinde da sorpassi leggndari, bagarre indimenticabili e manovre entrate nella storia. Non &egrave; stato facile sceglierne cinque&nbsp;e sicuramente sia l'ordine quanto la mera scelta non metteranno tutti d'accordo, tuttavia alla fine quello che conta resta l'impatto emozionale che queste gare hanno suscitato, a prescindere da una classificazione che lascia il tempo in trova nel momento in cui si scontra con i filtri soggettivi di ogni appassionato. I parametri di scelta sono ricaduti in un mix di fattori tra cui sicuramente l'alto potenziale di "iconicit&agrave;", oltre al tasso tecnico che va da s&egrave; essere incredibilmente elevato.&nbsp; Crisi KTM: MotoGP a tempo determinato, pronti all&rsquo;uscita nel 2026  5. Loris Capirossi trionfa al Mugello nel 2000 I primi anni 2000 rappresentano senza dubbio uno dei periodi pi&ugrave; brillanti per il motociclismo italiano, un&rsquo;autentica "et&agrave; dell&rsquo;oro". Protagonisti indiscussi di questa era furono i piloti italiani, tra cui spiccavano Loris Capirossi, Max Biaggi e Valentino Rossi. Questi tre campioni dominarono la scena, incarnando lo spirito competitivo e il talento che hanno reso il motociclismo italiano un punto di riferimento a livello mondiale, specialmente nella classe regina. Nel 2000, il Gran Premio del Mugello fu uno degli apici di questo periodo, un momento che simboleggi&ograve; l&rsquo;italianit&agrave; non solo come sinonimo di successo sportivo, ma anche come espressione di orgoglio nazionale.&nbsp; La corsa si trasform&ograve; in una sorta di eliminazione naturale: Valentino Rossi, al suo debutto nella classe regina, fu il primo a cadere, vittima di un errore che lo estromise dalla contesa. Poco dopo, anche Max Biaggi si trov&ograve; costretto al ritiro, colpito dalla stessa sfortuna del suo eterno rivale. Alla fine, fu Loris Capirossi a trionfare, regalando al pubblico italiano uno dei momenti pi&ugrave; belli e significativi della sua carriera. La vittoria di Capirossi al Mugello rimane una delle pagine pi&ugrave; iconiche del motociclismo italiano, emblema di un periodo irripetibile nella storia dello sport. Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 4. Kevin Schwantz ed il soprasso leggendario su Waynw Rainey Il Gran Premio di Hockenheim del 1991 &egrave; ricordato come uno dei momenti pi&ugrave; emozionanti nella storia del motociclismo, un esempio perfetto di ci&ograve; che rendeva la 500cc degli anni &lsquo;90 una categoria leggendaria. Protagonisti di quella gara furono due autentici titani del motociclismo, Wayne Rainey e Kevin Schwantz, il cui duello epico sul veloce tracciato tedesco &egrave; entrato nella memoria collettiva degli appassionati come una delle battaglie pi&ugrave; spettacolari di sempre. Il circuito di Hockenheim, con i suoi lunghi rettilinei e staccate al limite, esaltava le caratteristiche delle moto e dei piloti pi&ugrave; audaci. Rainey, noto per la sua precisione chirurgica e il suo stile pulito, si trovava a fronteggiare Schwantz, il maestro dell&rsquo;imprevedibilit&agrave; e delle manovre impossibili. Per tutta la gara, i due si scambiarono pi&ugrave; volte la posizione, mantenendo un ritmo vertiginoso che rese ogni sorpasso un capolavoro di coraggio e tecnica. Il momento decisivo arriv&ograve; all&rsquo;ultimo giro, Rainey sembrava avere il controllo della situazione, ma Schwantz, fedele al suo stile, gioc&ograve; il tutto per tutto con una manovra audace e spettacolare, infilando all'interno il connazionale grazie ad una staccata alla penultima curva, al limite dell'impossibile, che gli consent&igrave; di aggiudicarsi la corsa. Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 3. Welkom 2004, Valentino Rossi vs Max Biaggi       Il Gran Premio di Welkom del 2004 rappresenta una pietra miliare nella storia del motociclismo e uno dei momenti pi&ugrave; iconici nella carriera di Valentino Rossi. Era il debutto di Rossi con Yamaha, una sfida tanto tecnica quanto personale, ovvero dimostrare al mondo che il suo talento era capace di vincere indipendentemente dalla moto. Dopo anni di dominio in sella alla Honda, il passaggio a Yamaha fu visto da molti come un rischio, una scelta coraggiosa che avrebbe potuto compromettere la sua posizione di assoluto protagonista nella classe regina. La gara si svolse sul circuito sudafricano di Welkom, e l'attesa era palpabile. Da subito, il GP si trasform&ograve; in un duello serrato tra Rossi ed il suo acerrimo rivale Max Biaggi, con continui sorpassi e una tensione crescente che tenne il pubblico con il fiato sospeso fino all&rsquo;ultima curva. Rossi non solo dovette confrontarsi con una moto ancora lontana dalla perfezione, ma anche con le aspettative enormi che gravavano sulle sue spalle. Alla fine Rossi trionf&ograve;, regalando al mondo una prestazione leggendaria ed una foto cult dopo lo sventolare della bandiera a scacchi, ovvero lui accanto la sua moto a bordo pista mentre ride di felicit&agrave;.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; 2. Mike Hailwood e Giacomo Agostini incantano al TT del 1967 Il Tourist Trophy dell'Isola di Man del 1967 fu teatro di uno dei duelli pi&ugrave; epici nella storia del motociclismo, con Giacomo Agostini e Mike Hailwood protagonisti di una battaglia mozzafiato al TT. La gara inizi&ograve; con Hailwood che, partito alla grande, infranse subito il record sul giro da fermo; Agostini, partito 30 secondi dopo, replic&ograve; subito riducendo il distacco a soli 18 secondi gi&agrave; alla fine del primo giro, nonostante la velocit&agrave; folle di Hailwood, che aveva portato il record a 175 km/h. Il duello si svilupp&ograve; a fasi alterne, con sorpassi virtuali e piccoli errori che spostavano l&rsquo;equilibrio tra i due. Hailwood, pur affrontando un problema alla manopola del gas, recuper&ograve; dopo una sosta complicata e al quinto giro si trov&ograve; a soli tre secondi da Agostini che poco prima aveva conquistato la leadership della corsa in virt&ugrave; di un ritmo gara incredibile. Poco prima della fine del penultimo giro, il distacco tra i due era inferiore ad un secondo, ma il colpo di scena avvenne nelle ultime curve: la catena della MV Agusta di Agostini si ruppe, costringendolo al ritiro. Hailwood conquist&ograve; cos&igrave; una vittoria leggendaria, simbolo di determinazione e maestria su uno dei circuiti pi&ugrave; impegnativi e pericolosi al mondo. Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp;      1. Valentino Rossi ed il sorpasso al Cavatappi a Laguna Seca 2008 Il nome di Valentino Rossi riemerge quasi sempre in ogni classifica che celebra i momenti pi&ugrave; iconici del motociclismo. Nel corso della sua lunghissima carriera, impreziosita da 9 titoli mondiali, ha saputo regalare autentiche perle destinate a rimanere nella storia. Basti pensare alla vittoria su Max Biaggi a Phillip Island nel 2001 oppure alla straordinaria battaglia con Jorge Lorenzo a Barcellona nel 2009, decisa all&rsquo;ultima curva dell&rsquo;ultimo giro, una delle sfide pi&ugrave; spettacolari mai viste. Parlando di gare entrate nel cuore dei tifosi e degli addetti ai lavori, alcune spiccano per il loro valore simbolico e tecnico, come Laguna Seca 2008, con il celebre sorpasso al Cavatappi contro Casey Stoner. Uno dei momenti pi&ugrave; iconici nella storia della MotoGP, avvenuto in una delle curve pi&ugrave; difficili e spettacolari del motociclismo mondiale. Rossi super&ograve; Stoner con una manovra audace e al limite, andando persino fuori pista per mantenere il controllo. Un sorpasso che non fu solo una questione tecnica, ma simbolica, una prova di forza da parte di un pilota che per tutto l'arco del week-end era stato pi&ugrave; lento del rivale anche di 6\7 decimi sul passo gare ma che in gara tir&ograve; fuori dal cilindro tutto ci&ograve; che aveva in un crocevia fondamentale per la stagione e per minare le certezze dell'avversario. Un confronto diretto che incise in maniera importante sul proseguo della stagione e sul raggiungimento del suo ottavo titolo.  MotoGP, dimenticare Ducati e Aprilia: cosa faranno Bastianini e Vinales con KTM?                

La scelta non &egrave; stata facile e l'imbarazzo della scelta ha spinto per una top five a dir poco leggendaria&nbsp;

MotoGP: ecco le 5 gare più iconiche della storia della classe regina

        Con l&rsquo;istituzione del Campionato Italiano della Montagna, nel 1959, le corse in Salita acquisirono ulteriore popolarit&agrave;: cominciarono cio&egrave; i veri anni d&rsquo;oro. Le gare sui circuiti stradali erano assai meno numerose in quanto pi&ugrave; complesse e costose da organizzare e anche per i piloti comportavano in genere spese maggiori. Le corse in Salita erano nettamente pi&ugrave; diffuse. Inizialmente nel campionato erano previste quattro cilindrate (50, 100, 125 e 175) con classifiche separate per le moto derivate da modelli di serie (&ldquo;Sport&rdquo;) e le F2, che comprendevano anche autentici prototipi. Gli organizzatori potevano anche ammettere moto di cilindrate diverse (tipicamente si trattava delle 500), che per&ograve; non prendevano punti per il campionato, ove non erano previste. Per molti piloti le trasferte non erano lunghe e le moto potevano essere trasportate agevolmente con un furgone o un piccolo rimorchio. Qualcuno addirittura smontava un paio di sedili e riusciva a trasportarle con la propria macchina. A questo proposito, pare che un pilota siciliano (del quale taccio il nome) arriv&ograve; a una gara in Toscana in treno, con la moto come bagaglio al seguito&hellip; Passa alla prossima pagina Quando la miscela &egrave; magra o ricca? | Officina &nbsp; Salita anni '60: le classi  La classe 100 usc&igrave; di scena alla fine del 1963. A partire dalla stagione successiva la 50 venne sostituita dalla 75 e fece la sua comparsa la 250. Venne inoltre abolita la suddivisione in Sport e F2. Nel 1967 la 75 venne sostituita dalla 60, a sua volta soppiantata dalla 50 a partire dal 1970. Nel 1969 venne aggiunta la categoria sidecar. Fin dall&rsquo;inizio fu chiaro come per le corse in Salita esistessero veri e propri specialisti. Il primo re della montagna fu Attilio Damiani, che con la sua Morini 175 bialbero ufficiale (nella foto di copertina) vinse cinque titoli italiani. La moto, appositamente allestita dalla Casa bolognese per questo tipo di impiego, era praticamente uguale alla favolosa 250 da Gran Premio primo tipo (ossia con lubrificazione a carter secco, cambio con presa diretta e telaio &ldquo;alto&rdquo;), eccezion fatta per l&rsquo;alesaggio che da 72 era stato ridotto a 60 millimetri. Uno straordinario specialista delle corse in Salita fu il comasco Angelo Tenconi, che domin&ograve; la scena per buona parte degli anni Sessanta legando indissolubilmente il suo nome all&rsquo;Aermacchi 250. In quanto a Giovanni Burlando, &egrave; sufficiente dire che conquist&ograve; ben 10 volte il titolo, tra il 1964 e il 1973. La sua classe era la 125 ma un campionato lo vinse anche nella 175. Tre volte si imposero Lucio Zaccanti, che correva con la DEMM (e del resto abitava a pochi chilometri dallo stabilimento bolognese di Porretta Terme) e Amilcare Ballestrieri, che andava molto forte anche in pista ma che rapidamente pass&ograve; alle auto da Rally, con le quali ottenne eccellenti risultati. Spettacolari furono poi i duelli nella classe 175 tra Angelo Bergamonti con la Morini Settebello e Silvano Bertarelli, alfiere della MotoBi, vincitori di due titoli a testa. Gli ultimi tre campionati della classe 175, abolita al termine della stagione 1973, vennero vinti da Ricca. Conquistarono un campionato a testa anche Roberto Gallina e Giacomo Agostini (nel 1963, quando vinse anche il titolo Juniores con la Morini Settebello, prima di passare Senior e iniziare la straordinaria carriera che tutti conosciamo). Con l&rsquo;eccezione delle F2 le moto, che erano prive di carenatura, erano le stesse impiegate nei campionati Juniores. Passa alla prossima pagina &nbsp; Salita anni '60: le Case  Tra le Case plurivincitrici spiccano l&rsquo;Aermacchi, impegnata nella 250 (nove titoli) e nella 125 (dalla fine degli anni Sessanta), la Morini e la MotoBi. Nelle cilindrate pi&ugrave; piccole (50, 75, e 60), che meritano di essere trattate separatamente e delle quali ci occuperemo in futuro, meritano di essere ricordate soprattutto la DEMM (con le sue meravigliose bialbero, che ovviamente gareggiavano nella categoria F2), la Laverda e la Itom. La Morini Settebello era di struttura semplicissima, direttamente derivata da una tranquilla 175 ad aste e bilancieri presentata al Salone di Milano del 1952. Inizialmente era la versione da corsa di tale modello (impiegabile anche su strada come supersportiva, essendo dotata di impianto di illuminazione, cavalletto e targa), apparsa dopo un anno. La Settebello incontr&ograve; rapidamente il favore degli appassionati e ottenne ottimi risultati nelle gare per le derivate dalla serie. Il suo sviluppo, protrattosi fino all&rsquo;inizio degli anni Sessanta, sfoci&ograve; nell&rsquo;ultima versione, la bellissima &ldquo;aste corte&rdquo;. Il motore aveva misure quasi perfettamente quadre (60 x 61 mm), due valvole in testa inclinate di 56&deg; e la trasmissione primaria a terna di ingranaggi (su quello intermedio era calettato l&rsquo;albero a camme), posta sul lato sinistro. Le molle delle valvole erano a spillo. Nel cambio spiccava la piastra con cave sagomate a scorrimento rettilineo impiegata al posto del consueto tamburo selettore per il comando delle forcelle di innesto delle marce. Nella prima versione la potenza era di circa 15 CV a 9000 giri/min ma nella versione aste corte superava i 20 cavalli. Il telaio aveva una semplicissima struttura a culla singola aperta.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Salita anni '60: la MotoBi  La MotoBi gareggiava in tre classi (125, 175 e 250) con moto dall&rsquo;identica struttura, dotate di un motore a cilindro orizzontale dal tipico disegno a uovo montato a sbalzo in un telaio monotrave, che nelle versioni da competizione veniva irrobustito posteriormente da alcuni tubi che formavano una struttura triangolata. I modelli stradali, inizialmente soltanto di 125 e 175 cm&sup3;, entrarono in produzione nella primavera del 1956 e ben presto dimostrarono di potersi prestare assai bene a un potenziamento per impiego agonistico. Il motore, progettato da Piero Prampolini, aveva due valvole in testa inclinate di circa 60&deg;. Ad azionarle provvedeva un albero a camme che attraversava la parte inferiore del basamento (comandando tramite un rinvio a vite senza fine anche la pompa dell&rsquo;olio immersa nella coppa) e agiva su punterie a piattello, che muovevano le aste e i bilancieri. Nella versione di 250 cm&sup3; spiccavano le misure caratteristiche estremamente radicali per i tempi (74 x 57 mm, con un corrispondente rapporto corsa/alesaggio di 0,77). La potenza era di circa 32 CV a 10.200 giri/min. Nella 175 l&rsquo;alesaggio era di 62 mm e la corsa di 57 mm e la potenza di circa 23 CV a 10.500 giri/min. La 125 aveva misure caratteristiche perfettamente quadre (54 x 54 mm) ed erogava circa diciassette cavalli a 11.000 giri/min.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Salita anni '60: Aermacchi  Come le MotoBi, anche le Aermacchi Ala d&rsquo;Oro vennero realizzate in tre cilindrate diverse (125, 250 e 350) derivate da modelli stradali. La pi&ugrave; famosa fu la 250, che tra il 1961 e il 1973 venne venduta in oltre 300 esemplari, in larga misura finiti all&rsquo;estero. Il suo motore a cilindro orizzontale aveva la distribuzione ad aste e bilancieri con albero a camme piazzato sul lato destro del basamento, ove si trovava anche la trasmissione primaria (a ingranaggi pure in questo caso). L&rsquo;angolo tra le valvole era di 67&deg;. Nei primi due anni di produzione venne impiegato un cilindro in ghisa, come quello delle 250 stradali Ala Azzurra e Ala Verde, delle quali venivano riprese anche le misure caratteristiche (66 x 72 mm). Nel 1963 fece la sua comparsa il cilindro in lega leggera con canna riportata in ghisa e il motore divenne superquadro, con un alesaggio di 72 mm e una corsa di 61 mm; la potenza pass&ograve; dai 26 cavalli della prima versione a circa 29. Nel 1965 venne adottata una frizione a secco in sostituzione della precedente in bagno d&rsquo;olio e l&rsquo;anno successivo il telaio originale (che da tempo aveva ricevuto due rinforzi nella zona posteriore) venne sostituito da uno nuovo, sempre con un tubo superiore di grande sezione ma con la parte posteriore totalmente riveduta. La potenza della moto, che ormai aveva poco in comune con la sportiva Ala Verde di serie, arriv&ograve; a 30 cavalli e, al termine dell&rsquo;evoluzione, addirittura super&ograve; i 32 a 10.000 giri/min. Queste tre moto, che possono ben sintetizzare un&rsquo;epoca, avevano la lubrificazione a carter umido con pompa a ingranaggi e il cambio del tipo con presa diretta (uscita coassiale all&rsquo;entrata del moto). L&rsquo;albero a gomiti, sempre composito, ruotava in avanti nella Morini e all&rsquo;indietro nella MotoBi e nell&rsquo;Aermacchi. Le potenze specifiche raggiunte dalle ultime 250 schierate da queste due Case erano dell&rsquo;ordine di 130 CV/litro.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Salita anni '60: Ducati  C&rsquo;erano anche le Ducati, come ovvio, ma come nel campionato Juniores, per la maggior parte degli anni Sessanta le 175 e le 250 non brillarono mai per davvero. MotoBi e Aermacchi disponevano di efficientissimi reparti corse nei quali si lavorava continuamente allo sviluppo delle moto per le Salite e per i piloti Juniores, e vendevano moto gi&agrave; pronte per l&rsquo;impiego in gara. La Ducati, che aveva sospeso l&rsquo;attivit&agrave; agonistica ufficiale, si limitava invece a produrre alcuni pezzi speciali per i clienti pi&ugrave; appassionati (albero a camme pi&ugrave; spinto, trombone di scarico, pistone ad alta compressione&hellip;). Chi voleva correre in salita con le moto di Borgo Panigale doveva prepararsele da s&eacute;. Questo non imped&igrave; ad alcuni piloti di ottenere ottimi risultati, anche se soltanto in certe gare e non in tutto il campionato.  Raffreddamento e alettature | Officina       

L&rsquo;ambito venne dominato da autentici specialisti come Tenconi, Burlando e Zaccanti, e fu caratterizzato da Aermacchi, MotoBi e Morini

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