        Diverse soluzioni tecniche si sono ormai da tempo standardizzate, lo abbiamo ripetuto spesso. Per esempio, per i motori di potenza specifica pi&ugrave; elevata sono da tempo d&rsquo;obbligo il raffreddamento ad acqua e la distribuzione bialbero. Perch&eacute; potesse avvenire questa selezione tra i vari schemi costruttivi possibili c&rsquo;&egrave; voluto un tempo che in certi casi &egrave; stato considerevole. Altre soluzioni si sono imposte rapidamente ma poi hanno dovuto subire un graduale lavoro di affinamento. &nbsp;&Egrave; il caso delle teste con camera di combustione a tetto e quattro valvole, nelle quali l&rsquo;angolo tra queste ultime &egrave; via via diminuito, fino ad arrivare ai valori odierni (sui quali &egrave; fermo ormai da una trentina d&rsquo;anni). Diamo quindi un&rsquo;occhiata a come si sono affermate ed evolute alcune di queste soluzioni. I dilemmi degli alberi a gomiti | Officina Distribuzioni: i comandi  Quando si iniziarono a impiegare le distribuzioni con albero a camme in testa, i tecnici dovettero decidere come azionarli. Apparve subito chiaro come si potesse scegliere tra tre possibili sistemi: a catena, a cascata di ingranaggi e ad alberello con due coppie di ingranaggi conici. Ognuno aveva i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. Tutti e tre comunque erano in grado di svolgere bene il loro compito. Il comando a catena ben presto si &egrave; rivelato meno adatto degli altri a essere impiegato sui motori da competizione. Era infatti meno rigoroso (per via delle oscillazioni della catena stessa e dell&rsquo;allungamento causato dall&rsquo;usura a livello delle articolazioni) e risentiva della forza centrifuga. Realizzare sistemi di tensionamento efficaci e affidabili non &egrave; stato facile. Le cascate di ingranaggi erano eccellenti ma costose: richiedevano lavorazioni molto accurate ed erano quasi sempre fonte di una non trascurabile rumorosit&agrave; meccanica (soltanto gli ingranaggi elastici avrebbero reso possibile un funzionamento silenzioso ma sarebbero apparsi molto tempo dopo). Il fatto &egrave; che il gioco tra i denti degli ingranaggi, corretto a temperatura ambiente, aumentava notevolmente a caldo. A causa della dilatazione termica delle pareti dell&rsquo;alloggiamento in cui erano piazzati, cresceva infatti la distanza tra i cuscinetti sui quali erano montati i loro assi. Un lieve gioco era comunque vantaggioso anche perch&eacute; consentiva di non risentire di eventuali lievi errori di allineamento (non penserete mica che la dilatazione in alto, ossia a livello della testa, sia proprio uguale a quella in basso?). La soluzione si &egrave; subito rivelata eccellente per i motori da corsa. Nella produzione di serie, vanno ricordate soltanto (o quasi) le splendide Benelli monocilindriche d&rsquo;anteguerra, le poche quadricilindriche MV Agusta stradali e le formidabili Honda della serie VFR. Nei motori monocilindrici, che fino a pochi anni fa erano tutti raffreddati ad aria, &egrave; sorto il problema dell&rsquo;alloggiamento della catena o della cascata di ingranaggi. Poteva essere integrale con il cilindro e la testa, ossia essere ricavato nelle loro stesse fusioni? E doveva esserci un passaggio per l&rsquo;aria tra esso e tali componenti? Con il tempo ha prevalso lo schema che non lo prevedeva. Un&rsquo;alettatura asimmetrica (meno sviluppata dal lato del passaggio catena o ingranaggi) non &egrave; mai una cosa buona. Per evitare deformazioni a caldo della canna sono stati adottati elevati spessori di parete. Da un certo punto in poi, grazie all&rsquo;uso di leghe di alluminio dall&rsquo;elevata conduttivit&agrave; termica e a un miglioramento del disegno, i problemi legati a questa soluzione sono stati eliminati. In passato l&rsquo;alloggiamento della catena o della cascata di ingranaggi &egrave; stato talvolta ricavato in una cartella separata, che veniva poi fissata per mezzo di viti alla testa, al cilindro e al basamento (o al suo coperchio laterale, con il quale era in diversi casi integrale). Poich&eacute; vi era un passaggio aria tra la parete laterale del cilindro e tale cartella, quest&rsquo;ultima per forza di cose tendeva a lavorare a una temperatura inferiore e quindi a dilatarsi in misura minore (con conseguente creazione di tensioni). Con il raffreddamento ad acqua e il vano per la catena (o gli ingranaggi) integrale, da tempo tutto questo appartiene al passato.  Distribuzioni e comandi  I comandi ad alberello e coppie coniche ebbero notevole diffusione fino agli anni Cinquanta, sia sui motori da competizione (basta ricordare il loro impiego da parte di Case come Bianchi, Norton, Mondial, NSU e BMW) che su quelli di serie. In seguito, sono diventati praticamente esclusiva della Ducati, che sui modelli di serie li ha adottati addirittura fino a met&agrave; anni Ottanta. I principali problemi in questo caso erano il costo elevato (per la grande precisione necessaria nelle impegnative lavorazioni e la complessit&agrave; dell&rsquo;assemblaggio) e la difficolt&agrave; di silenziamento. La dilatazione in senso verticale fa aumentare la distanza tra l&rsquo;albero a gomiti e quello a camme. Inoltre la testa, ove &egrave; installata la coppia conica superiore, si dilata anche in senso trasversale. L&rsquo;alberello doveva quindi essere in due pezzi, uniti con un giunto adatto. La Norton ha fatto a lungo ricorso a un giunto Oldham, che consente leggeri allontanamenti dal parallelismo tra le due parti dell&rsquo;alberello, oltre a una variazione della loro distanza in senso verticale. Nelle ultime Manx &egrave; per&ograve; passata a un accoppiamento scanalato, soluzione preferita dai costruttori tedeschi. La Ducati ha utilizzato invece un giunto a baionetta, con l&rsquo;estremit&agrave; dell&rsquo;alberello ove si trova l&rsquo;ingranaggio conico superiore inserita in un cuscinetto a sfere orientabile. &Egrave; interessante ricordare che nelle sue monocilindriche da corsa degli anni Cinquanta la Ducati impiegava alberelli con differenti diametri (da 11 a 15 millimetri), che venivano scelti a seconda dei circuiti. Quelli con diametro minore torcevano maggiormente durante il funzionamento in gara e ci&ograve; determinava una variazione nella fasatura di distribuzione! Nel presente il sistema ad alberello e coppie coniche &egrave; impiegato soltanto su un bicilindrico Kawasaki.  Se i pistoni girano troppo velocemente | Officina       

Come azionare l&rsquo;albero a camme in testa? Catena, cascata oppure alberello con due coppie di ingranaggi conici

Distribuzioni e comandi: le opzioni | Officina

        Per tutti &egrave; &ldquo;Slammin&rsquo; Sammy&rdquo;, uno dei piloti pi&ugrave; quotati e carismatici del panorama del Flat Track. Lo statunitense, che spegner&agrave; 38 candeline a settembre, ha arricchito la sua bacheca con il titolo mondiale, dopo il successo del 2009 nel Grand National Championship in patria e la medaglia d&rsquo;oro agli X Games del 2017. Dopo un 2023 che lo aveva visto chiudere al settimo posto in classifica generale, il fuoriclasse ha centrato l&rsquo;obiettivo di vincere il Mondiale, andando a podio in tutte e sei le gare del calendario iridato 2024. Di recente, Halbert ha preso parte anche alla 100 Km dei Campioni al Ranch di Valentino Rossi, ritrovando il team manager, Fabrizio Vesprini, con cui ha condiviso gli ultimi due anni di gare in Europa. Partendo proprio da Tavullia, abbiamo chiesto al sempre disponibile e sorridente Sammy di raccontarci la gara, chiusa al settimo posto, in coppia con il connazionale JD Beach, altro pilota di assoluto livello nel panorama internazionale del Flat Track, oltre che della Velocit&agrave;: &ldquo;Io e JD eravamo gi&agrave; stati compagni di team al Ranch nel 2019, quando arrivammo terzi. L&rsquo;inizio della gara &egrave; stato promettente, sono stato molto pi&ugrave; veloce che in passato, in alcune delle graduatorie dei tempi intermedi ero nelle prime posizioni. Ero sempre pi&ugrave; a mio agio nelle curve a destra, molto impegnative per chi, come me, abitualmente corre negli ovali con curve soltanto a sinistra. A met&agrave; gara eravamo in quinta posizione, ma in una curva lenta un pilota si &egrave; quasi fermato e sono stato colpito da dietro da un altro concorrente. La moto si &egrave; spenta e ci &egrave; voluto un po&rsquo; di tempo per farla ripartire. JD, verso fine gara, ha avuto problemi di freni e siamo scesi in classifica fino al settimo posto finale&rdquo;.  SBK, Rea salta anche Portimao Halbert: l'intervista  Qual &egrave; stata l&rsquo;emozione della partecipazione alla gara non titolata &ldquo;meglio frequentata&rdquo; del Mondo?  &ldquo;Quella del Ranch &egrave; una gara speciale, una maratona delle due ruote in cui, senza i problemi descritti, potevamo andare a podio. La vittoria di Thomas Chareyre e Diogo Moreira mi ha indubbiamente sorpreso, ma sono stati avvantaggiati, da esperti di Motard, dal fatto che la pista nell&rsquo;ultima parte di gara fosse molto asciutta e con poco materiale, comunque sono andati davvero forte&rdquo;.  La stagione 2024 rester&agrave; indimenticabile, con la vittoria nel Mondiale, dopo un 2023 poco fortunato, con due squalifiche che ti avevano estromesso dalla lotta per il titolo: hai utilizzato alcuni accorgimenti e modificato il tuo stile di guida?  &ldquo;&Egrave; stata davvero una buona stagione, finire sul podio ogni round &egrave; stato molto importante. La moto fornita da Vesprini era molto competitiva, ho vinto due gare consecutive, poi sono arrivati tre terzi posti. Mi sarebbe piaciuto vincere un po&rsquo; di pi&ugrave;, ma nelle ultime gare &egrave; cresciuto tantissimo il livello di Ervin Krajcovic, detentore del titolo. &Egrave; stata comunque un&rsquo;ulteriore esperienza di apprendimento per quanto riguarda il mio approccio alle piste europee, dovevo azzeccare la scelta giusta per i pneumatici e altri aspetti del set up&rdquo;.  L&rsquo;ultima gara stagionale ha visto un bel duello tra te e Krajcovic prima del passaggio del testimone.  &ldquo;Nell&rsquo;ultima finale ho spinto molto nei primi giri andando al comando, poi Krajcovic mi ha superato e da quel momento ho gestito la seconda posizione, senza rischi, certo della conquista del titolo. Peccato soltanto per la bandiera rossa che ha interrotto la manche per una caduta, l&rsquo;arbitro ha decretato la fine della gara e non mi sono potuto godere l&rsquo;ultima bandiera a scacchi&rdquo;.  Quanto &egrave; stato determinante il supporto del Team VFR, in particolare del team manager Fabrizio Vesprini?  &ldquo;La sua esperienza in questa disciplina, dopo aver corso per anni a grandi livelli, e la conoscenza diretta di buona parte dei tracciati del Mondiale ci hanno consentito di avere nelle varie gare fin dall&rsquo;inizio set up ben collaudati. Inoltre, i suggerimenti sulle linee da tenere, sia per quando ero in testa che per quando dovevo inseguire, sono stati preziosi. Sono migliorato nelle partenze, momento decisivo soprattutto nello Speedway, specialit&agrave; nella quale Fabrizio ha corso per tantissimi anni, ma oggi &egrave; una fase determinante anche nel Flat Track&rdquo;.  Per la stagione 2025 hai gi&agrave; definito la partecipazione alle gare in America e in Europa?  &ldquo;Proprio in queste settimane sto decidendo se confermare o meno la partecipazione al Mondiale. Volevo prendermi un anno sabbatico, per poi rientrare nel 2026, ma alla 100 Km dei Campioni ho ritrovato Vesprini: ci siamo parlati, e diciamo che sono a met&agrave; strada tra le due opzioni. &Egrave; una decisione difficile, perch&eacute; spostarsi dall&rsquo;America all&rsquo;Europa per prendere parte alle tappe iridate &egrave; un grande impegno. Potrei partecipare ad almeno una gara come wild card, ma ora &egrave; troppo presto per confermare o meno la mia decisione&rdquo;.  Quali sono i primi impegni certi?  &ldquo;Sicuramente in America parteciper&ograve; ad alcune gare, penso a Daytona a marzo, e Sturgis, dove c&rsquo;&egrave; un tracciato TT, nella settimana della Bike Week. Ma sto anche valutando di disputare alcune gare di Velocit&agrave; su asfalto e nell&rsquo;Adventures Trackers, dove si corre con moto bicilindriche con motori a partire dai 1000 di cilindrata&rdquo;.        

L'INTERVISTA: "Il Mondiale &egrave; stato un grande traguardo, ma muoversi dagli States all&rsquo;Europa &egrave; sempre un grande impegno"

Flat Track: Halbert, difesa mondiale o anno sabbatico?

        La classe regina del Motomondiale da qualche anno &egrave; dominata dai motori con quattro cilindri a V. A difendere l&rsquo;architettura in linea &egrave; rimasta soltanto la Yamaha. Quando &egrave; stata istituita la MotoGP non c&rsquo;era l&rsquo;obbligo di adottare quattro cilindri, e in effetti si sono visti anche il tricilindrico in linea della Aprilia e il V5 della Honda. Poi &egrave; intervenuto il regolamento e i motori sono diventati tutti quadricilindrici. Il vantaggio di un elevato frazionamento ai fini della potenza che si pu&ograve; ottenere sono indiscutibili, e ne abbiamo parlato pi&ugrave; volte in queste stesse pagine. Pi&ugrave; cilindri, a parit&agrave; di rapporto corsa/alesaggio, significano maggiore superficie dei pistoni e la possibilit&agrave; di raggiungere regimi di rotazione pi&ugrave; elevati. Ovvero avere potenze superiori, ferma restando la cilindrata. Cilindri in linea o a V: le differenti filosofie | Officina Motori 4 cilindri a V: la Storia  Non parleremo delle ragioni che spingono a scegliere un&rsquo;architettura a V piuttosto che in linea e di quale angolo tra i cilindri sia preferibile, ma ci limiteremo a una panoramica tecnico-storica. Il primo quadricilindrico per moto del quale si ha notizia risale al 1902. Si tratta del francese Cl&eacute;ment, dall&rsquo;architettura a V piuttosto stretta. Con un alesaggio di 75 mm e una corsa di 85 mm, aveva una cilindrata di 1501 cm&sup3; e una potenza di 12 cavalli. Questa moto, che per quanto se ne sa &egrave; stata la prima a superare i 100 km/h, ha corso per circa un anno, per lo pi&ugrave; all&rsquo;interno dei velodromi. In seguito sono stati prodotti svariati motori di serie a quattro cilindri in linea longitudinale. Erano raffreddati ad aria e si pu&ograve; immaginare in quali condizioni lavorassero i cilindri posteriori&hellip; Per trovare un altro quadricilindrico a V &egrave; stato necessario attendere il 1930, anno al termine del quale la Matchless ha presentato la Silver Hawk di 600 cm&sup3; (alesaggio e corsa = 50,8 x 63 mm). I cilindri erano in un unico blocco, dato che l&rsquo;angolo tra essi era di soli 26&deg;. La distribuzione monoalbero era comandata da un alberello e due coppie coniche, con valvole parallele e non inclinate. L&rsquo;albero a gomiti, dotato di due perni di manovella, poggiava su tre supporti di banco. Tra 1931 e 1935 ne sono stati costruiti circa 500 esemplari. Verso la fine degli anni Trenta la risposta dell&rsquo;industria inglese alle Gilera e BMW sovralimentate che ormai dominavano nel campionato europeo (il Mondiale dell&rsquo;epoca) &egrave; stata con l&rsquo;AJS 500 quattro cilindri a V di 50&deg;, distribuzione monoalbero con comando a catena e compressore a palette. Nato con il raffreddamento ad aria nel 1938, il motore &egrave; stato ben presto modificato adottando quello ad acqua. L&rsquo;alesaggio di 50 millimetri era abbinato a una corsa di 63 mm. Per quanto riguarda la potenza, si parlava di un&rsquo;ottantina di cavalli. Il quattro cilindri a V &egrave; tornato a far parlare di s&eacute; nella prima met&agrave; degli anni Ottanta con la mastodontica Ducati Apollo che, dopo essere stata provata a lungo, &egrave; rimasta purtroppo allo stadio di prototipo. Il suo motore aveva un alesaggio di 84,5 mm e una corsa di 56 mm per una cilindrata totale di 1260 cm&sup3;. Il raffreddamento era ad aria e la distribuzione ad aste e bilancieri. La V era di 90&deg;, il che consente di ottenere un&rsquo;equilibratura assai buona e quindi di fare a meno di un albero ausiliario di bilanciatura (necessario invece per angoli minori, come quello di 65&deg; della Aprilia RSV4). Poich&eacute; i due cilindri anteriori sono orizzontali, questo schema costruttivo viene anche definito a L. Analoga architettura aveva la CZ 350 da Gran Premio apparsa nel 1969, nella quale i quattro alberi a camme (due per ogni bancata) erano comandati da due cascate di ingranaggi. Il motore aveva un alesaggio di 50 mm e una corsa di 44 ed erogava oltre 50 cavalli a 13.000 giri/min.  4 cilindri a V: il boom Honda, poi l'Aprilia  Il vero boom dei motori con quattro cilindri a V &egrave; iniziato con le Honda della serie VF/VFR, costituita da una nutrita famiglia di modelli stradali di grande diffusione con cilindrate comprese tra 400 e 1000 e infine anche 1200. I pi&ugrave; famosi sono stati quelli di 750 cm&sup3;, dai quali sono derivate anche moto da competizione che hanno ottenuto importanti risultati negli anni Ottanta e Novanta. Spiccano i due mondiali Superbike conquistati dalla RC 30 (1988 e 1989) e quello della RC 45 (1997). La V era di 90&deg; e il raffreddamento ad acqua. Questi motori avevano quattro valvole per cilindro e una distribuzione bialbero con comando inizialmente a catena e in seguito (dal 1985) a ingranaggi. Nei modelli apparsi prima del 1990 l&rsquo;angolo tra le valvole era di 38&deg;, poi &egrave; sceso a 32&deg; e in seguito a 26&deg; (RC 45, entrata in scena nel 1994). Nella VFR 1200 del 2010 l&rsquo;angolo tra i cilindri &egrave; sceso a 76&deg;. La Honda ha prodotto anche un quadricilindrico a V con asse di rotazione dell&rsquo;albero a gomiti disposto longitudinalmente. Si tratta della Pan European, realizzata in versioni di 1100 e 1300 cm&sup3;. Per i modelli della serie Venture, ovvero VMax, entrata in scena nel 1985, la Yamaha ha optato per un&rsquo;architettura a V di 70&deg;. La cilindrata era inizialmente di 1200 cm&sup3; e poi &egrave; salita a 1300 grazie a un aumento dell&rsquo;alesaggio, che &egrave; passato da 76 a 79 millimetri (mentre la corsa di 66 mm &egrave; rimasta invariata). La distribuzione era bialbero a quattro valvole disposte su due piani inclinati tra loro di 36&deg;. Un nuovo motore di 1680 cm&sup3; (90 x 66 mm) ha fatto la sua comparsa nel 2009, questa volta con un angolo tra le due bancate leggermente ridotto (65&deg;); pure quello tra le valvole &egrave; diminuito, passando a 29&deg;. Per alcuni modelli di grossa cilindrata, come la LV 1200 e la Cavalcade 1400, la Suzuki ha scelto di impiegare motori con quattro cilindri a V di 82&deg;. Un angolo ancora pi&ugrave; stretto (65&deg;) &egrave; stato adottato dall&rsquo;Aprilia per la sua RSV4 che tanti successi ha ottenuto nelle competizioni delle Superbike (tre titoli mondiali piloti tra il 2010 e il 2014). Il suo motore di 1000 cm&sup3; ha un alesaggio di 78 mm e una corsa di 52,3 mm ed &egrave; dotato di un albero ausiliario di equilibratura. Nella versione da gara la potenza &egrave; arrivata a circa 230 cavalli. All&rsquo;angolo di 90&deg; &egrave; invece rimasta fedele la Ducati per le sue recentissime V4 stradali.  L'angolo tra le valvole | Officina       

Dalla francese Cl&eacute;ment, prima moto a superare i 100 km/h, all&rsquo;era moderna, iniziata con le innovazioni della Honda

Motori 4 cilindri a V: 120 anni di Storia | Officina

        Del rapporto corsa/alesaggio, della velocit&agrave; media del pistone e della potenza specifica si parla abbastanza diffusamente nel mondo degli appassionati di motori. Su di essi e su altri parametri non &egrave; difficile trovare informazioni sui libri e, talvolta, negli articoli di alcune riviste. Saranno anche sintetiche e superficiali, ma ci sono. MotoGP, sinonimo di precisione | Officina L'angolo tra le valvole  Per l&rsquo;angolo tra le valvole, per&ograve;, la questione &egrave; differente. Su di esso &egrave; ben difficile documentarsi. Soltanto qualche volta viene menzionato nelle descrizioni tecniche e comunque finisce l&igrave;. Al massimo si trova un commento stringato e sbrigativo, che magari chiama in causa, soltanto marginalmente, le dimensioni delle valvole e/o la compattezza della camera. Ovvio, un forte angolo consente di installare valvole pi&ugrave; grandi mentre un angolo ridotto permette di avere camere di combustione pi&ugrave; compatte. Le considerazioni in genere sono troppo semplicistiche ma l&rsquo;argomento ha una notevole importanza ai fini delle prestazioni (e non soltanto) e merita quindi un certo approfondimento. Cominciamo dicendo che sotto gli aspetti dei quali ci stiamo occupando, ossia l&rsquo;angolo tra le valvole e la forma della camera, esistono sensibili differenze tra i motori a due valvole per cilindro e quelli a quattro. Nei primi la geometria ideale delle camere &egrave; emisferica, nei secondi quella pi&ugrave; razionale &egrave; a tetto, con le valvole disposte, due da un lato e due dall&rsquo;altro, su due piani inclinati tra loro. Sono state realizzate anche teste a quattro valvole con camere emisferiche (o quasi) ma la razionalit&agrave; si &egrave; imposta ed esse sono scomparse dalla scena (anche perch&eacute; non generavano vantaggi in termini prestazionali). Oggi ci sono soltanto alcuni motori con valvole leggermente radiali (qualche grado soltanto) ma la geometria delle loro camere si scosta soltanto in misura praticamente trascurabile da quella a tetto e non si avvicina certo a quella emisferica. Che tra l&rsquo;angolo tra le valvole e la forma della camera esista un legame diretto &egrave; evidente. Per lungo tempo i motori a due valvole hanno dominato la scena. E in quasi tutti quelli di prestazioni pi&ugrave; elevate l&rsquo;angolo in questione era molto grande. Come detto, al suo crescere si possono installare valvole pi&ugrave; grandi. Un angolo molto elevato inoltre rende possibile, nei motori raffreddati ad aria, una considerevole asportazione di calore della testa dalla parete esterna della camera di combustione, molto sollecitata termicamente; essa pu&ograve; infatti essere agevolmente lambita dall&rsquo;aria stessa. D&rsquo;altro canto per&ograve;, nei motori di alte prestazioni per raggiungere un elevato rapporto di compressione (indispensabile ai fini della potenza ottenibile) &egrave; necessario che il cielo del pistone venga dotato di una forte bombatura. In questo modo per&ograve; la camera di combustione assume una forma che si discosta profondamente da quella emisferica, diventando quasi a &ldquo;scorza d&rsquo;arancia&rdquo;. Di conseguenza il percorso del fronte di fiamma diventa pi&ugrave; lungo e meno lineare, e la combustione risulta pi&ugrave; lenta. Ci&ograve; obbliga ad adottare anticipi di accensione considerevoli svantaggiosi ai fini del rendimento. Diventa conveniente in molti casi adottare la doppia accensione, in modo da ridurre l&rsquo;anticipo. Inoltre il pistone &egrave; pi&ugrave; pesante (con conseguente aumento dei carichi inerziali) e risulta pi&ugrave; sollecitato termicamente. A causa del maggiore rapporto superficie/ volume, il rendimento della camera peggiora: &egrave; superiore la quantit&agrave; di calore che viene assorbita dalle pareti, che sono quindi interessate da un maggiore carico termico. Nei motori da competizione italiani degli anni Cinquanta e Sessanta gli angoli tra le valvole erano considerevoli (dai 100&deg; della Gilera 500 quattro cilindri agli 80&deg; di Mondial e Ducati).  Passa alla prossima pagina &nbsp; I vantaggi della quattro valvole per cilindro  Con quattro valvole per cilindro si hanno notevoli vantaggi. Le singole masse mobili sono minori (cosa che rende possibile il raggiungimento di regimi di rotazione pi&ugrave; elevati), le valvole di scarico sono meno sollecitate termicamente e la candela &egrave; piazzata nella posizione pi&ugrave; favorevole, ovvero quella centrale. Fondamentale &egrave; il fatto che le sezioni di passaggio a disposizione dei gas, a parit&agrave; di alesaggio, sono maggiori. Inoltre, e la cosa &egrave; di importanza analoga se non addirittura maggiore, la massima sezione geometrica utile, ovvero quella in corrispondenza della quale l&rsquo;area del passaggio tra fungo e sede valvola eguaglia quella minima del condotto, viene raggiunta con un&rsquo;alzata minore (per forza, la valvola &egrave; pi&ugrave; piccola) e pertanto con maggiore rapidit&agrave;. Questo consente di adottare fasature pi&ugrave; &ldquo;strette&rdquo; (e quindi favorevoli ai fini dell&rsquo;erogazione) a parit&agrave; di time-area. Quella che conta &egrave; l&rsquo;alzata considerata non in assoluto ma in rapporto al diametro della valvola! Nei moderni motori di alte prestazioni, spesso tale rapporto &egrave; superiore a 0,30 e nelle MotoGP tutto fa pensare che possa essere addirittura dalle parti di 0,35 (o anche qualcosina di pi&ugrave;). Nelle Honda da GP degli anni Sessanta, che erano raffreddate ad aria, l&rsquo;angolo tra i due piani sui quali giacevano le quattro valvole erano dell&rsquo;ordine di 75-76&deg; (soltanto in un paio delle ultime moto &egrave; sceso a 58&deg;). Nelle MV Agusta a quattro valvole &egrave; sceso dai 45&deg; circa della tricilindrica ai 35&deg; dell&rsquo;ultima quadricilindrica. Nei primi anni Ottanta nei motori di alte prestazioni si &egrave; generalizzato l&rsquo;impiego di quattro valvole per cilindro, nonch&eacute; del raffreddamento ad acqua (con l&rsquo;eccezione della Suzuki, che ha continuato con il suo sistema misto fino all&rsquo;inizio del decennio successivo) e gli angoli tra le valvole sono progressivamente diminuiti. Un esempio eccellente &egrave; costituito dalla Honda che, nelle quadricilindriche a V della serie VF/VFR, &egrave; passata dagli iniziali 38&deg; a 32&deg; e poi a 26&deg;. Quando &egrave; passata al raffreddamento ad acqua, la Suzuki ha portato l&rsquo;angolo da 40&deg; a 32&deg;, poi a 29&deg; e infine a 25&deg;. Oggi nei motori di prestazioni pi&ugrave; elevate (e quindi anche in quelli delle MotoGP) l&rsquo;angolo tra le valvole &egrave; generalmente compreso tra 20&deg; e 25&deg;.  Le soluzioni non standardizzate | Officina       

Esistono pochi approfondimenti ma si tratta di un aspetto importante, legato direttamente anche alla forma della camera

Il peso dell'angolo tra le valvole | Officina

        Le Honda RC 30 e RC 45 sono state formidabili moto da competizione destinate non ai Gran Premi ma alle gare delle Superbike e di Endurance, nelle quali si correva (e si corre tuttora) con modelli derivati da quelli di serie. Tecnica: i segreti della Yamaha M1 Campione del Mondo Lontane parenti  Per descriverne la tecnica e la storia &egrave; quindi opportuno parlare anche delle moto stradali con le quali esse erano imparentate (sempre mantenendo l&rsquo;attenzione focalizzata su quelle da corsa). Nelle une e nelle altre spiccava immediatamente l&rsquo;architettura del motore, dotato di quattro cilindri a V in anni nei quali tutti gli altri preferivano la soluzione in linea (della quale peraltro la stessa Honda era stata pioniera).&nbsp; A rigore, i primi motori a quattro cilindri a V della Casa giapponese sono stati quelli della NR 500, la celebre moto-laboratorio ricca di soluzioni tecniche audaci e innovative, a cominciare dai pistoni ovali, che ha corso con scarsa fortuna (ma destando un grande interesse) tra il 1980 e il 1982. Nella prima versione l&rsquo;angolo tra le due bancate dei cilindri era di 100&deg; ma nelle successive &egrave; stato portato ai canonici 90&deg;. Per&nbsp;le sue supersportive degli anni Ottanta e seguenti la Honda ha puntato con decisione sullo schema V4, con raffreddamento ad acqua, distribuzione a quattro valvole per cilindro e angolo di 90&deg; tra le due bancate (incorporate nel basamento). Per la verit&agrave; i primi modelli con motori di questo tipo erano destinati al granturismo e al normale impiego di tutti i giorni. Nel 1982 &egrave; entrata in produzione la VF 750 S, con trasmissione finale ad albero e una potenza di 81 CV a 9500 giri/min. L&rsquo;anno successivo &egrave; stata la volta della VF 750 F, di impostazione decisamente pi&ugrave; sportiva, che ha ottenuto una diffusione ben maggiore. Il suo V4 era di disegno assolutamente analogo al precedente. La distribuzione era comandata da due catene collocate centralmente e gli eccentrici comandavano le 16 valvole (disposte su due piani che formavano un angolo di 38&deg;) per mezzo di 8 bilancieri a dito di tipo &ldquo;sdoppiato&rdquo;. L&rsquo;albero a gomiti monolitico poggiava su quattro supporti di banco e aveva i due perni di manovella (su ciascuno dei quali erano montate due bielle) disposti a 360&deg;. Le misure di alesaggio e corsa, alle quali la Honda si &egrave; mantenuta in seguito fedele per le sue V4 di 750 cm3 (eccezion fatta per la RC 45), erano 70 x 48,6 mm e i cavalli erogati erano 90 a 10.000 giri/min. Il telaio era a doppia culla in tubi di acciaio a sezione quadrata. Nel 1986 &egrave; entrata in scena la VFR 750 F con motore di analoga architettura ma profondamente rivisitato rispetto a quello della precedente VF 750 F. Per il comando della distribuzione si &egrave; passati a due cascate di ingranaggi, e i perni di manovella dell&rsquo;albero sono stati disposti a 180&deg;. Entrambe queste soluzioni sono state mantenute sulle successive Honda V4 di 750 cm3. Inoltre i bilancieri a dito sono diventati singoli (uno per ogni valvola). La potenza era di 105 CV a 10500 giri/min. Nella parte ciclistica spiccava il nuovo telaio a doppia trave superiore in lega di alluminio.&nbsp;&nbsp;&nbsp; &nbsp; L'arrivo della RC 30   Quando&nbsp;&egrave; iniziato il mondiale Superbike la Honda ha schierato la RC 30, moto che poteva essere considerata uno sviluppo del modello di serie VFR 750 F; ne riprendeva infatti lo schema, pur scostandosi notevolmente sotto diversi aspetti. Si trattava di una vera moto da corsa costruita in serie (ne sono stati prodotti 2500 esemplari), versione stradale della RVF 750 ufficiale; dotata di sistema di illuminazione, di lampeggiatori e di avvisatore acustico, era targata e quindi abilitata per la normale circolazione. In effetti la Honda era gi&agrave; pronta da tempo, prima ancora che esso cominciasse, per il nuovo campionato mondiale. Nel 1984 una RS 750 R, con motore derivato da quello della VF 750 F ma dotato di comando della distribuzione a ingranaggi, aveva vinto il Bol d&rsquo;Or. L&rsquo;anno successivo la RVF 750 si era imposta tanto alla 8 ore di Suzuka quanto nel mondiale di Endurance. Questa moto nel 1986 era stata dotata di un nuovo motore, strettamente imparentato con quello della VFR 750 F. La RC 30 ha fatto la sua comparsa nel 1987 e si &egrave; subito imposta per le sue eccellenti prestazioni. Tra i suoi risultati agonistici di maggiore importanza vi sono le vittorie nei primi due mondiali superbike (1988 e 1989). Nella parte ciclistica spiccava la sospensione posteriore monobraccio. Questa soluzione era apparsa sulla RVF 750 a met&agrave; del 1985 ed era stata adottata non tanto per ragioni squisitamente tecniche quanto perch&eacute; presentava vantaggi quando la moto veniva impiegate nelle gare di Endurance (sostituzione della ruota pi&ugrave; rapida e agevole). Il motore era una sintesi di quanto di meglio disponibile nel settore quattrotempistico. Era dotato di bielle in lega di titanio, pistoni forgiati (con due segmenti ciascuno) e punterie a bicchiere; l&rsquo;albero a gomiti aveva i perni di manovella disposti a 360&deg;. Le valvole di aspirazione avevano un diametro di 28 mm e quelle di scarico di 24 mm; l&rsquo;alzata era di 9,5 mm. Per questo V4 venivano dichiarati 112 CV a 11000 giri/min, regime al quale la velocit&agrave; media del pistone era di 17,8 metri al secondo. La potenza specifica era di 167 CV/litro. Nel 1990 ha fatto la sua comparsa la nuova VFR 750 F, completamente riprogettata e profondamente influenzata dalla RC 30. Era munita di un singolo braccio oscillante posteriore ma le novit&agrave; pi&ugrave; importanti riguardavano il motore, con angolo tra le valvole portato a 32&deg; e ora dotato di punterie a bicchiere. &nbsp; La RC45   Nei primi anni Novanta contro le bicilindriche Ducati, oggetto di una continua evoluzione, e contro le Kawasaki ben presto la &ldquo;vecchia&rdquo; RC 30 non &egrave; pi&ugrave; risultata in grado di competere vittoriosamente. La Honda ha cos&igrave; deciso di sviluppare una nuova 750 in grado di farle riconquistare la supremazia tra le superbike. Nel 1994 &egrave; cos&igrave; entrata in scena la RC 45, dotata di un motore completamente nuovo. Il motore, sempre a 4 cilindri a V di 90&deg;, aveva le due cascate di ingranaggi di comando della distribuzione collocate lateralmente e non pi&ugrave; in posizione centrale. L&rsquo;albero a gomiti, che aveva i perni di manovella disposti a 360&deg; ed era adesso dotato di tre perni di banco (e non pi&ugrave; di quattro, come nei precedenti modelli con comando della distribuzione centrale). L&rsquo;angolo tra le valvole, che le camme azionavano agendo su punterie a bicchiere, &egrave; sceso a 26&deg; e le misure caratteristiche del motore sono diventate 72 x 46 mm. Una novit&agrave; di grande portata &egrave; stata il passaggio dai carburatori alla alimentazione a iniezione. Questa moto ha avuto uno sviluppo laborioso, culminato con la conquista del Mondiale Superbike nel 1997.&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp; &nbsp;Tecnica: Gilera 500, la Regina degli anni Cinquanta       

Dotate di motori V4 negli anni in cui tutti preferivano l&rsquo;architettura in linea, i modelli di serie erano e restano delle perle di tecnologia, ricercate dagli appassionati

Tecnica: dalla Honda RC30 alla RC45, nate per la Superbike

        Nel panorama italiano del Flat Track sta prepotentemente emergendo la figura di Matteo Boncinelli, per tutti &ldquo;Bonci&rdquo;, vincitore delle prime due gare del campionato italiano e medaglia di bronzo nella passata stagione. Manubri Larghi: Covatti KO, che guaio per l'Italia dello Speedway La carriera  La carriera agonistica di Matteo &egrave; iniziata nel 2011, a sette anni, nel 2014 &egrave; arrivato il primo risultato importante: la vittoria nel campionato italiano Minimoto Junior A. Due anni dopo, altro successo nell&rsquo;italiano MiniGP 50, poi il passaggio alla PreMoto3 del CIV, dove si &egrave; piazzato secondo nel 2017 nella classe 125 due tempi, quindi &egrave; stato quarto nel 2018 nella quattro tempi. L&rsquo;anno successivo &egrave; entrato a far parte del Team RMU Sky VR46 Junior Team, con cui ha corso due stagioni in Moto3 (16&deg; il primo anno, nono nel secondo) prima di prendersi un periodo sabbatico, durante il quale ha iniziato ad allenarsi con le moto da Flat Track. La sua guida, fluida e molto redditizia, non &egrave; passata inosservata agli occhi di Fabrizio Vesprini, ex pilota di Flat Track e Speedway, e che da pi&ugrave; di un decennio scruta e forma giovani piloti che poi si affermano ai massimi livelli, gli esempi pi&ugrave; noti sono Francesco Cecchini e Kevin Corradetti. Boncinelli &egrave; cos&igrave; entrato a far parte del Team VFR nel 2021, con risultati lusinghieri che hanno confermato la grande capacit&agrave; di Vesprini di scovare talenti del traverso. Boncinelli &egrave; un ragazzo di poche parole, preferisce far parlare i risultati in pista. Si definisce timido, ma diventa socievole man mano che inizia a conoscere e a riporre fiducia nelle persone. Nel 2019 ha preso parte a un allenamento di Flat Track all&rsquo;interno del Misano World Circuit, nel tracciato sterrato dedicato alla guida di traverso. Sono seguiti poi altri allenamenti nei quali ha conosciuto Corradetti, campione italiano in carica, e Vesprini, il suo attuale team manager, che ha parole di elogio per il pilota toscano: &ldquo;Matteo &egrave; un ragazzo di indubbio talento, guida molto con la testa, nonostante abbia soltanto diciotto anni. Tecnicamente e mentalmente lo ritengo il pilota pi&ugrave; forte che abbia mai avuto. Sono davvero felice di lavorare con lui, e lui altrettanto &egrave; contento di me. Ha saputo sempre recuperare le posizioni nelle due gare inaugurali della stagione in Italia, chiudendo poi sul traguardo, nelle due finali, con un notevole vantaggio sul secondo classificato. Da ex pilota dico che non &egrave; affatto facile vincere in questo modo contro avversari di prim&rsquo;ordine, come Corradetti, Moschini e Borgiotti. Sono molto fiducioso per le prossime gare, soprattutto per la prima del Mondiale a met&agrave; luglio&rdquo;. Boncinelli: "A mio agio con GASGAS"  Parlando con Matteo, gli abbiamo chiesto dei due successi ottenuti nelle gare del campionato italiano disputate a fine maggio a Terenzano: &ldquo;Sono arrivato alla prima gara stagionale con tanti allenamenti alle spalle, mi sono trovato subito bene con la nuova moto, una GASGAS. Sono molto soddisfatto delle mie prestazioni, devo sicuramente migliorare nella fase di partenza e su questo aspetto stiamo duramente lavorando con il team&rdquo;. Boncinelli &egrave; stato inserito quest&rsquo;anno nel progetto Pata Talenti Azzurri della FMI, assieme a Cecchini e Corradetti, e saranno tutti e tre al via nel Mondiale di specialit&agrave;, assieme anche a Daniele Moschini e Marco Troiano. La chiamata azzurra &egrave; stata inaspettata per Boncinelli, che aveva gi&agrave; esordito nel 2021 in qualit&agrave; di wild card nella tappa italiana del circuito iridato a Boves: &ldquo;&Egrave; stata una cosa strana la convocazione per il Mondiale&rdquo; ha proseguito. &ldquo;Ovviamente mi fa molto piacere poter correre per l&rsquo;Italia, lo scorso anno a Boves ho accumulato esperienza al cospetto dei migliori piloti al Mondo&rdquo;. C&rsquo;&egrave; il desiderio realizzabile, cio&egrave; vincere il titolo iridato nel Flat Track, ma c&rsquo;&egrave; anche un sogno che si sta per realizzare: &ldquo;Ho sempre sognato di andare in America, e tra pochi giorni finalmente parto per gli States. Vi trascorrer&ograve; due settimane, poi rientrer&ograve; a fine giugno per continuare ad allenarmi in vista del primo appuntamento del Mondiale e delle due gare del campionato italiano di fine luglio&rdquo;. Manubri Larghi: ecco le innovazioni del Trial       

Manubri Larghi: Boncinelli, l'astro nascente del Flat Track

        Le distribuzioni con uno o due alberi a camme in testa sono nettamente superiori a quelle ad aste e bilancieri sotto praticamente tutti gli aspetti. Le minori masse in moto alterno rendono possibile l&rsquo;adozione di leggi delle alzate pi&ugrave; radicali e il raggiungimento di regimi di rotazione pi&ugrave; elevati e la maggiore rigidezza del sistema di comando &egrave; essa pure vantaggiosa ai fini delle prestazioni. Tutto questo i tecnici lo sapevano fin dagli albori del motorismo. E infatti nel corso degli anni Venti le distribuzioni mono e bialbero hanno iniziato ad essere impiegate sempre pi&ugrave; diffusamente sui motori da competizione. Per le moto di serie per&ograve; le cose sono andate a lungo diversamente. A ostacolare la diffusione delle distribuzioni di questo genere sono stati fondamentalmente la maggiore complessit&agrave; realizzativa e il costo notevolmente superiore. Officina: come sono cambiati i motori Dagli anni Cinquanta...  Nonostante questo negli anni Trenta non erano poi tanto pochi i costruttori che alla clientela pi&ugrave; sportiva offrivano modelli stradali con distribuzione ad albero a camme in testa (spicca qui la Benelli). Negli anni Cinquanta, quando il motociclismo ha vissuto una autentica epoca d&rsquo;oro e sono comparse molte moto moderne e di nuova progettazione, specialmente per le loro 175 diverse case hanno pensato di adottare una distribuzione monoalbero. In genere questi modelli sono rimasti in produzione per poco tempo. Alcuni di essi (Mondial, Bianchi, Guzzi Lodola) sono stati sostituiti da altri con distribuzione ad aste e bilancieri, di realizzazione pi&ugrave; semplice ed economica. Alla met&agrave; degli anni Sessanta di 175/250 con distribuzione monoalbero in Italia rimaneva soltanto la Ducati. Il problema che aveva ostacolato la diffusione delle distribuzioni di questo tipo era legato fondamentalmente al sistema di comando dell&rsquo;albero a camme. Quello ad alberello e coppie coniche era costoso e non facile da silenziare. Affidabilissimo e longevo, veniva usato diffusamente sulle moto da competizione. Su quelle di serie erano soltanto la Demm e la Ducati a utilizzarlo. La Casa di Borgo Panigale ha continuato assai a lungo a impiegare questo sistema di comando Dopo i monocilindrici della serie a carter larghi (ovvero quelli degli Scrambler, dei Desmo e dei Mark 3) gli ultimi modelli a impiegare gli alberelli e le coppie coniche sono stati i bicilindrici di 750 e 860 cm3 (pi&ugrave; la versione di 970 cm3, costruita in un numero molto limitato di esemplari per la Mille Mike Hailwood Replica e per la Mille S2 nel 1984-86). Il comando a cascata di ingranaggi, raffinato, rigoroso, affidabilissimo e costoso, &egrave; tuttora tipico dei motori da competizione (F1, MotoGP). Ben pochi modelli stradali lo hanno impiegato, ma sono stati tutti significativi. Nell&rsquo;anteguerra va ricordata la Benelli e negli anni recenti la Honda con i suoi V4 della serie VFR. A caldo, in seguito alla dilatazione termica, gli assi degli ingranaggi si allontanano. Per questo motivo i sistemi di comando di questo tipo sono difficili da silenziare e possono accusare problemi vibratori. Per ovviare al problema vengono impiegati ingranaggi elastici &ldquo;sdoppiati&rdquo;, ciascuno dei quali &egrave; costituito da due parti leggermente sfalsate tra le quali sono poste alcune molle. In questo modo il gioco tra i suoi denti e quelli dell&rsquo;ingranaggio con il quale esso &egrave; in presa &egrave; zero e rimane tale anche a caldo. ...Ai nostri giorni  Il sistema di gran lunga pi&ugrave; utilizzato per comandare gli alberi a camme in testa &egrave; quello a catena. Per lungo tempo sono state utilizzate soltanto quelle a rulli ma negli anni Settanta hanno iniziato ad essere impiegate anche quelle silenziose (Morse, ovvero Hy-Vo), che nel corso del tempo hanno subito una considerevole evoluzione, con la comparsa di versioni via via migliorate a livello di emissioni acustiche e/o di rendimento. Va anche ricordato l&rsquo;impiego di catene a bussole da parte della Ducati sui bicilindrici &ldquo;Superquadro&rdquo; delle Panigale 1199 e 1299. Il grosso problema dei comandi a catena &egrave; a lungo stato il sistema di tensionamento. Negli anni Cinquanta talvolta era addirittura assente mentre altre volte era semplicemente costituito da una lamina metallica arcuata. In questi casi era inutile parlare di funzionamento silenzioso&hellip; Giova comunque ricordare che fin dai primi anni Sessanta sui suoi bicilindrici con distribuzione ad albero a camme in testa la Honda ha impiegato un comando a catena, con un efficace tenditore. Con il passare dei chilometri il gioco tra i perni e le bussole aumenta inevitabilmente e questo porta a una variazione del passo; la catena si allunga e la rumorosit&agrave; inevitabilmente cresce. Le emissioni acustiche dovute alle catene sono dovute a pi&ugrave; cause. Importantissima &egrave; la rumorosit&agrave; da imbocco, che nasce quando il rullo o i denti della piastrina penetrano nei vani della ruota dentata con la quale entrano in presa. Poi ci sono il gioco nelle articolazioni e lo sbattimento dovuto alle oscillazioni della catena (con particolare riferimento al ramo opposto a quello &ldquo;in tiro&rdquo;). Queste ultime sono inevitabili e risultano tanto pi&ugrave; accentuate quanto minore &egrave; il numero dei cilindri. A originarle &egrave; la rotazione non uniforme dell&rsquo;albero a camme, la cui velocit&agrave; tende a subire alternativamente una serie di rallentamenti e una serie di accelerazioni, derivanti dalla resistenza offerta dalle molle delle valvole e dalla successiva restituzione dell&rsquo;energia da esse incamerata. Le catene silenziose non hanno rulli ma denti ricavati nelle loro piastre che si vanno ad inserire nei vani della ruota dentata sulla quale si avvolgono. Il profilo dei denti &egrave; quindi critico ai fini della dolcezza e della silenziosit&agrave; dell&rsquo;innesto. In seguito all&rsquo;usura che ha luogo nelle articolazioni il passo aumenta; i denti delle piastre allora vanno semplicemente a lavorare pi&ugrave; all&rsquo;esterno nei vani della ruota dentata, ma a parte questo le modalit&agrave; della entrata in presa non cambiano. La rumorosit&agrave; in questo modo non aumenta, almeno in misura degna di nota. Ci&ograve; costituisce uno dei punti di forza delle catene di questo tipo. Officina: la rigidezza non &egrave; mai perfetta       

La seconda soluzione permette l&rsquo;adozione di leggi delle alzate pi&ugrave; radicali, sinonimo di pi&ugrave; prestazioni

Offficina: aste e bilancieri o camme in testa?

Alla fine degli anni Sessanta, le moto sono tornate alla ribalta dopo un periodo di grave crisi. Sono apparsi nuovi modelli di grande interesse tecnico destinati allo svago e all&rsquo;impiego sportivo e non soltanto alla mobilit&agrave; urbana di basso costo, per la quale c&rsquo;erano i ciclomotori e gli scooter. E il mercato &egrave; anche diventato pi&ugrave; globale. Stava iniziando l&rsquo;era delle maximoto e, per i pi&ugrave; giovani, delle 125 da regolarit&agrave;, utilizzabili su strada e con motori a due tempi via via pi&ugrave; performanti. I modelli pi&ugrave; importanti erano quasi tutti di nuova progettazione e stavano contribuendo non poco all&rsquo;avanzamento della tecnica. Si sono affermati definitivamente schemi costruttivi pi&ugrave; evoluti e diversi costruttori hanno abbracciato con decisione la strada dei motori con pi&ugrave; di due cilindri, aperta dalla famosa Honda CB 750 Four.  Officina: le sollecitazioni sono anche termiche  L&#39;evoluzione&nbsp;   Lo sviluppo successivo, per&ograve;, non &egrave; stato rapido come forse ci si poteva aspettare. I parametri motoristici si sono modificati lentamente e alcune soluzioni di importanza fondamentale, come le quattro valvole per cilindro e il raffreddamento ad acqua, hanno tardato a imporsi. Cautela e magari conservatorismo da parte dei tecnici, esigenze di contenere i costi di fabbricazione e influenza del marketing hanno avuto un peso determinante in questo contesto. Il rapporto corsa/alesaggio (C/D) della gi&agrave; citata CB 750 Four era 1,03 e quello della CB 900 F Bol d&rsquo;Or era 1,06. Dunque le due quadricilindriche di punta con le quali la pi&ugrave; grande casa del mondo ha iniziato e ha terminato gli anni Settanta erano entrambe a corsa lunga, anche se di poco! Stupisce che nella seconda met&agrave; del decennio la Honda abbia messo in produzione la turistica CX 500, nella quale il rapporto C/D aveva il valore record di 0,66.  Chiaramente la moto era stata progettata da altro gruppo di lavoro; nel suo motore c&rsquo;erano soluzioni avanzatissime, come il raffreddamento ad acqua e le quattro valvole per cilindro, ma al tempo stesso spiccava anche, in senso opposto, la distribuzione ad aste e bilancieri! Nel decennio in questione, che ha visto l&rsquo;ingresso nel settore delle grosse 4T bialbero della Kawasaki e della Suzuki, il rapporto corsa/alesaggio nei quadricilindrici di 750 e di 1000 cm3 indicativamente andava da 0,87 a 1,08. Decisamente significativa &egrave; stata l&rsquo;entrata in produzione (nel 1979) della Ducati Pantah, nella quale questo rapporto era nettamente pi&ugrave; basso (0,784, come in tutti i mono 250 costruiti in precedenza dalla casa bolognese); si trattava per&ograve; di una bicilindrica. Gli anni Ottanta hanno visto l&rsquo;affermazione definitiva delle quattro valvole per cilindro e non soltanto nei modelli di prestazioni pi&ugrave; elevate.  Anche il rapporto C/D &egrave; diminuito nettamente, raggiungendo valori compresi tra 0,69 e 0,78. Si &egrave; trattato di un passo in avanti molto significativo, reso possibile dalla adozione del raffreddamento ad acqua, che consentiva di diminuire molto lo spessore delle pareti tra le canne dei cilindri. Senza aumentare la larghezza del motore e ferma restando la cilindrata, grazie ad esso era possibile adottare alesaggi maggiori. I motori Honda a V di 90&deg; (VF e VFR), nei quali non c&rsquo;erano problemi di larghezza, sono stati i primi quadricilindrici nei quali il rapporto in questione &egrave; sceso leggermente al di sotto di 0,7. Pure le Suzuki GSX-R con raffreddamento misto sono arrivate a un valore analogo, ma per loro il passaggio alla refrigerazione ad acqua &egrave; ben presto diventato inevitabile.  Negli anni Novanta la corsa alla riduzione del rapporto C/D &egrave; continuata, anche se in maniera meno evidente. Nella celebre CBR 900 esso era 0,828, valore tutt&rsquo;altro che spinto. All&rsquo;altro estremo del campo troviamo la Kawasaki ZX-7R di met&agrave; decennio con il suo 0,612. Gli anni Duemila hanno visto un ulteriore avvicinamento ai valori odierni. I quadricilindrici 1000 sono diventati protagonisti dei mondiali Superbike (andandosi ad aggiungere ai bicilindrici Ducati, dapprima di 1000 e quindi di 1200 cm3 ) e di conseguenza &egrave; su di essi che si &egrave; concentrato principalmente lo sforzo dei costruttori teso all&rsquo;incremento delle prestazioni. I 1000 giapponesi hanno sub&igrave;to a pi&ugrave; riprese rivisitazioni, che hanno interessato anche il rapporto C/D. Oltre un dato valore non si &egrave; potuti andare per via del regolamento, che a un certo punto ha posto un limite al massimo alesaggio impiegabile. Anche senza di esso, per&ograve;, con una architettura in linea non sembrava esserci un ulteriore margine di sviluppo in tale senso. Oggi i 1000 quadricilindrici di serie di prestazioni pi&ugrave; elevate hanno rapporti C/D compresi tra 0,725 e 0,598.  Valore limite   Quest&rsquo;ultimo valore &egrave; anche quello adottato dalle MotoGP, il cui regolamento indica in 81 mm, il valore massimo consentito per l&rsquo;alesaggio, indipendentemente dalla disposizione dei quattro cilindri. Senza questa norma i motori sarebbero tutti a V, dato che con tale architettura l&rsquo;ingombro trasversale dei singoli cilindri non risulta limitato come nei quadricilindrici in linea. In questi ultimi, infatti, aumentando l&rsquo;alesaggio cresce inevitabilmente anche la larghezza del motore. Oltre un certo valore non ci si pu&ograve; spingere perch&eacute; sarebbe penalizzata l&rsquo;aerodinamica (eccessiva sezione frontale) e verrebbe ridotta la possibilit&agrave; di inclinazione in curva. Nei quadricilindrici a V si impiegano tre soli supporti di banco e non cinque, come in quelli in linea. Le perdite per attrito sono quindi leggermente minori e perci&ograve; &egrave; un poco migliore il rendimento meccanico.  D&rsquo;altro canto, mentre un motore a V pu&ograve; consentire una eccellente centralizzazione delle masse, uno in linea pu&ograve; permettere di spostare pi&ugrave; in avanti il baricentro. E di sfruttare l&rsquo;effetto bilanciere per ottimizzare il comportamento in curva. Insomma sui circuiti con lunghi rettilinei sembrerebbero essere leggermente avvantaggiati i motori a V mentre quelli pi&ugrave; &ldquo;guidati&rdquo; ovvero con molte curve sembrerebbero esserlo quelli in linea. La differenza &egrave; comunque molto ridotta. Per terminare, ricordiamo che nelle auto di F1 nei primi anni Duemila il rapporto C/D &egrave; arrivato addirittura a 0,41.  Officina: la lubrificazione e la riduzione degli attriti 

Negli anni, &egrave; diminuita la corsa ed &egrave; aumentato l&rsquo;alesaggio, per incrementare le prestazioni

Officina: com&#39;&egrave; cambiato il rapporto corsa/alesaggio

Mix quasi poetico di design, tecnica e prestazioni, la RC 30 &egrave; ancora oggi oggetto di desiderio per molti. Esclusiva, nata per le corse, fu dimostrazione della potenza Honda tra le moto sportive di serie (di William Toscani)

Rewind, Honda VFR 750 R (RC30): la perla del Sol Levante

Regina dal passato. Era il 1987 quando la Honda introdusse sul mercato delle sportive di serie la VFR 750 R o, come inmolti la ricordano, RC 30. La SBK della Casa dell&#39;Ala che metteva in campo una potenza di fuoco in fatto di tecnica e design, da farsi rimpiangere da molti ancora ogi. Compatta nelle forme, grazie anche al suo motore V4 con cilindri ricavati in blocco nella parte superiore del basamento, raffinata quanto grintosa nelle linee della carena con un caratteristico doppio faro di derivazione Endurance, e dotata del meglio che al periodo la tecnica poteva offrire nel campo delle due ruote: telaio perimetrale in alluminio con travi estruse saldate a piastre laterali fuse, forcellone monobraccio, bielle in titanio per il motore dotato, tra l&#39;altro, di distribuzione a cascata di ingranaggi, e potenza di 112 cavalli a 11.000 giri e possibilit&agrave; di allungare fino ai 130 CV, con kit racing.    La RC 30 derivava dalla VFR 750 F ma era pensata per imporsi nel nascente Mondiale SBK e ci riusc&igrave;. Grazie a Fred Merkel ed al Team Rumi, la RC 30 mise a segno una doppietta nelle prime due edizioni del mondiale delle derivate. Questa V4 Honda vantava un eccezionale equilibrio ciclistico, merito anche del peso ridotto per il periodo (197 Kg), e dell&#39;ottimo rendimento dell&#39;impianto frenante Nissin con dischi da 310 mm. Era, ed &egrave; ancora oggi, bellissima. La Honda dichiarava un peso a secco di 185 Kg, circa 200 Kg in ordine di marcia, pi&ugrave; o meno quanto le attuali sportive.  Ecco un estratto dalla prova su Motosprint di Claudio Braglia nella prima presa di contatto nel 1987:   &nbsp;&Egrave; una macchina che si sente subito la VFR 750 R, che comunica senza incertezze al fortunato pilota di trovarsi alla guida del massimo attendibile da una moto sportiva. Ed &egrave; quasi superfluo parlare delle eccellenti possibilit&agrave; di piega e della sicurezza con la quale percorre la traiettoria impostata.    Honda RC 30 equilibrio magico   L&#39;equilibrio fra le caratteristiche di maneggevolezza e stabilit&agrave;, si traducono in omogenei inserimenti in curva che restano estremamente controllati anche se si entra troppo forte e con i freni ancora in mano. E&#39; indescrivibile la capacit&agrave; di digerire senza alcuno scompenso le imperfezioni ed ondulazioni del fondo anche quando si viaggia a manetta spalancata. L&#39;assetto e perfettamente centrato dunque, tanto che nel corso della nostra prima intensa giornata in pista con la VFR non sono emersi limiti che non siano quelli delle coperture, che nonostante le avverse condizioni ambientali hanno raggiunto temperature elevatissime, cucendosi letteralmente sulla spalla sinistra.    Semplicemente eccitanti i freni per i quali potremmo gi&agrave; sottoscrivere il record in fatto di spazi d&#39;arresto, con la sicurezza che non verremo sconfessati. L&#39;azione decelerante e infatti talmente potente che d&agrave; un gusto impagabile (proprio come le GP in frenata la ruota posteriore si alza da terra anche a 120 km/h), ma soprattutto la sensibilit&agrave; del comando e tale da permettere una sicura sfruttabilit&agrave; anche in condizioni di scarsa aderenza, il tutto confortato da un disco posteriore altrettanto sensibile e da un assetto qualitativamente impeccabile.  Honda RC 30: che motore il V4!   Caratterizzato da un &quot;latrare&quot; di tonalit&agrave; bassa e sorda nelle sgassate sotto coppia, il raffinato V4 Honda al vaglio della prova in pista ha fornito rendimenti veramente superiori, che sembrano confermare le fantascientifiche prestazioni dichiarate: una punta velocistica superiore ai 260 km/h! Si pensi che tirando a 13.000 giri si raggiungono i 130 km/h in prima, 170 in seconda e di 205 in terza di strumento, e ci sono ancora tre marce da spremere!!! La rapportatura &egrave; decisamente pistaiola e permette un totale sfruttabilit&agrave; del motore sul misto, ove viene in aiuto anche l&#39;eccellenza della curva di erogazione, estremamente regolare in basso, e semplicemente esaltante (ed analoga quasi ad un 2 tempi spinto) dai 6500 a poco pi&ugrave; di 13.000 giri di intervento dell&#39;imitatore.  &nbsp;  Tutto questo si traduce in un eccezionale feeling quando nelle curve lunghe e guidate si pela appena l&#39;acceleratore a regime di coppia giusta, pregustando la prontissima risposta quando successivamente si apre la manetta.  &Egrave; proprio come la sognavamo e forse anche qualcosa di pi&ugrave;, la VFR 750 R, assecondata da una frazione morbida molto sensibile e da un cambio cortissimo nella azione ma un pelo ruvido negli innesti: le uniche pecche, ma da verificare tutte su lunga distanza, di questa brillantissima perla naturalmente coltivata del Sol Levante.  (foto dal test sul tracciato di Adria)  Scatto Sprint, Honda: con Merkel e la RC30 inizia la leggenda della SBK 

Mix quasi poetico di design, tecnica e prestazioni, la VFR 750 R &egrave; ancora oggi oggetto di desiderio per molti. Esclusiva, nata per le corse, fu dimostrazione della potenza Honda tra le moto sportive di serie

Rewind, Honda RC30: leggenda SBK

Il tetto dell&rsquo;Ala moderna del Museo della Citt&agrave; si trasforma in una &ldquo;officina meccanica&rdquo;: dall&rsquo;incontro con Aldo Drudi, designer romagnolo di fama internazionale, &egrave; nato il progetto&nbsp; Rimini motor soul,&nbsp; che vede la Citt&agrave; di Rimini come promotore dell&rsquo;eccellenza motoristica a Expo 2015.  Ad accendere il motore dell&rsquo;intero progetto &egrave; stato D-Perf Air Garage: Honda, la casa motoristica giapponese tra le pi&ugrave; importanti a livello mondiale, ha affidato ad Aldo Drudi il compito di dare un&rsquo;anima ad una Honda VFR 1200, moto che servir&agrave; come piattaforma tecnica per la realizzazione di un prototipo che verr&agrave; presentato nei primi mesi del 2015. Per dare forma a questo sogno &egrave; stato scelto un luogo dove arte e tecnica si fondono: l&rsquo;Ala moderna del Museo della Citt&agrave;. Sul tetto dell&rsquo;edificio, dunque a trenta metri di altezza, &egrave; stato posizionato un Air Garage, una struttura di 60 mq posizionata grazie ad una gru su un&rsquo;area di 600, che da settimane ospita Drudi, il suo team e l&rsquo;officina meccanica.  Qui il video dell'iniziativa.   Nell&rsquo;Air Garage si &egrave; pian piano costruita anche l&rsquo;idea di sviluppare e far crescere iniziative per valorizzare il rapporto tra Rimini e i motori, che ogni anno si rinnova con il Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini. Cos&igrave;, dall&rsquo;incontro con Aldo Drudi sono nate le due speciali mostre dedicate ai motori e che verranno inaugurate sabato 6 settembre: &ldquo;Il colore del motomondiale&rdquo; con in esposizione le moto dei big della MotoGp e oltre sessanta caschi ideati da Aldo Drudi. In &ldquo;Racing shot&rdquo; i migliori scatti realizzati dai pi&ugrave; importanti fotografi del mondo del settore selezionati da Gigi Soldano.  &ldquo;Tutte le iniziative che si sono messe in moto nascono dal progetto Air Garage &ndash; sottolinea Aldo Drudi &ndash; Non si tratta solo di dare un&rsquo;anima ad un prototipo Honda, che per me rappresenta un esercizio di stile, ma di riportare al centro il motorismo e il motociclismo, al di l&agrave; delle gare e delle manifestazioni sportive. Questa terra, dall&rsquo;Emilia alla Romagna, &egrave; davvero la motor valley, &egrave; davvero un terreno fertile dove sono germogliati grandi talenti, sia piloti sia tecnici. Mi sono sentito in dover di ripagare a modo mio questa terra che mi ha fatto un dono immenso: mi ha regalato una passione. Crescere e poter coltivare negli anni una passione trasformandola in un lavoro &egrave; un privilegio che, soprattutto di questi tempi, in pochi possono permettersi&rdquo;.  Il programma di iniziative propone anche la proiezione, gioved&igrave; 11 settembre al Teatro degli Atti di Rimini, del documentario &ldquo;Morbidelli&nbsp;storie di uomini e di moto veloci&rdquo;, film del giornalista sammarinese Jeffrey Zani, che celebra la storia della Morbidelli, casa di Pesaro che negli anni Settanta vinse 4 titoli mondiali contro i colossi del motociclismo giapponese. Una storia che vide protagonista anche un riminese, Pier Paolo Bianchi, vincitore di due titoli iridati nel 1976 e 1977, nella classe 125 e che sar&agrave; presente alla proiezione.  Le iniziative sono state organizzate con la partecipazione di Moto Club Renzo Pasolini, Neon Rimini e Nikon.  

Da un&rsquo;officina meccanica sul tetto del Museo nasce la nuova Honda: &egrave; il progetto D-Perf Air Garage. Sabato 6 settembre si inaugurano due mostre fotografiche

L'officina secondo Drudi

  Interpretazione moderna della sport touring. La base tecnica &egrave; quella della VFR 800 V-Tech: il gusto di guida non cambia, ma il comfort &egrave; nettamente superiore. Il "becco" frontale e le carene sinuose si congiungono col serbatoio ed il codino basso, per ridurre il dislivello tra sella passeggero e quella pilota. Insomma, soluzioni fantasiose, ma anche pratiche.  &nbsp;  &nbsp;  &nbsp;            La Prova                      Transformer                                        PALMA DI MAIORCA - Versatilit&agrave;, prestazioni a misura d&rsquo;uomo, aspetto imponente ma compatto e, soprattutto, un prezzo contenuto. Oggi, una moto con queste caratteristiche ha buone possibilit&agrave; di riuscire a fare breccia nel cuore dei motociclisti e di coloro che vorrebbero diventare tali. La Honda l&rsquo;ha finalmente capito ed in tempi record ha progettato, realizzato, collaudato e commercializzato la Crossrunner, che, oltre a soddisfare tutte le richieste sopra citate, &egrave; anche in grado di emozionare. Perch&eacute; &egrave; dotata di un motore V4 V-Tech contraddistinto da un sound inconfondibile, da una ciclistica sopraffina e da un impianto frenante in grado di togliere le castagne dal fuoco anche al conducente pi&ugrave; distratto. Insomma, la Crossrunner &egrave; nata bene. Anzi nacque bene tanti anni fa, quando alcuni tra i migliori ingegneri della Honda realizzarono la VFR 800 V-Tech, la moto nascosta sotto il vestito della Crossrunner. Gi&agrave;, perch&eacute; la vera storia della nuova V4 Honda inizi&ograve; quando il mercato decise che le sport touring vecchio stile, quelle adatte sia all&rsquo;uso su strada, sia a quello in pista, erano obsolete e fuori moda. In realt&agrave; la VFR 800 V-Tech, la sport touring per eccellenza, aveva ancora molto da dire, anzi era una delle migliori moto della sua categoria, e non solo. Mandare in pensione una base tecnica cos&igrave; evoluta e pluricollaudata sarebbe stato un vero peccato, pertanto la Honda ha deciso che da quel &ldquo;pacchetto&rdquo; sarebbe nata la rappresentante della nuova categoria sport touring, ovvero la Crossrunner. Per una volta, per fortuna, il buon senso ha prevalso ed ancora per diversi anni avremmo la possibilit&agrave; di acquistare (senza spendere un capitale) e guidare un&rsquo;ottima V4, l&rsquo;anello di congiunzione tra il regno dei quattro cilindri in linea e quello dei bicilindrici a V.                          LA POSIZIONE di guida rispecchia la doppia anima (met&agrave; sportiva, met&agrave; turistica) della Crossrunner. La sella non &egrave; n&eacute; eccessivamente alta, n&eacute; troppo larga, pertanto chiunque riuscir&agrave; a poggiare agevolmente entrambi i piedi a terra ed a stringere bene il serbatoio tra le gambe. I semimanubri particolarmente rialzati agevolano il controllo del veicolo alle basse velocit&agrave; e nelle manovre e consentono di guidare a lungo senza accusare affaticamenti ai muscoli degli avambracci. In questo contesto stona un po&rsquo; la posizione delle pedane: sono molto arretrate, quindi quando si passeggia bisogna restare seduti al centro della sella per mantenere le ginocchia in una posizione comoda. Quando si inizia a spingere, invece, le pedane diventano un valido punto di appoggio: pi&ugrave; si aumenta il ritmo, pi&ugrave; ci si rende conto che la Crossrunner si pu&ograve;, anzi, si deve guidare lavorando con le gambe e lasciando rilassati i muscoli delle braccia, ovvero la tecnica che dovrebbe essere usata con tutte le moto. La protezione aerodinamica offerta dal plexiglass del cupolino di serie non &egrave; eccezionale, per&ograve; le forme muscolose delle carene riescono a deviare bene l&rsquo;aria, che non rappresenta un grosso problema, neppure a velocit&agrave; abbastanza sostenute. C&rsquo;&egrave; anche da dire che in questa prima presa di contatto con la Crossrunner non siamo stati messi in condizione di percorrere lunghi tratti rettilinei a velocit&agrave; costante (l&rsquo;itinerario scelto dalla Honda era molto tortuoso), pertanto non abbiamo potuto approfondire l&rsquo;argomento &ldquo;protezione aerodinamica&rdquo;. IN GENERALE i compiti di una sport touring sono due: garantire un buon livello di comfort ed anche emozioni, che possono avere diverse declinazioni. La Crossrunner &egrave; in grado di soddisfare ampiamente tutte queste richieste, perch&eacute;, come detto, &egrave; accogliente e comoda, ma soprattutto perch&eacute; ha un motore eccezionale, caratterizzato da un sound unico: cupo e corposo, ma per nulla fastidioso, ai bassi e medi regimi; prepotente e cristallino ai regimi pi&ugrave; elevati. Il merito &egrave; dell&rsquo;ormai noto sistema V-Tech (distribuzione a fasatura variabile), che conferisce al motore una doppio carattere: tranquillo sotto i 6000 giri; aggressivo, ma non brutale, sopra i 7000 giri. Le prime versioni dei V4 V-Tech erano caratterizzate da brusche entrate in coppia e da un tiro in basso non certo da riferimento. Quella della Crossrunner &egrave; piuttosto diversa, infatti ora si pu&ograve; tranquillamente viaggiare mantenendo l&rsquo;ago del contagiri tra 4000 e 6000 giri, range nel quale ci sono gi&agrave; la coppia e la potenza sufficienti per togliersi delle belle soddisfazioni. Poi, poco prima di quota 7000 giri, il cambio della fasatura di distribuzione &egrave; accompagnato da un radicale mutamento delle sonorit&agrave; di scarico e di aspirazione, che per&ograve; non sono pi&ugrave; abbinate, come un tempo, ad un&rsquo;entrata in coppia stile due tempi. Questa scelta ha smussato il carattere racing del propulsore, che per&ograve; ora &egrave; pi&ugrave; adatto all&rsquo;uso turistico, grazie alla sua erogazione molto pi&ugrave; regolare e progressiva. Inoltre, anche se oggi la moda impone un&rsquo;elettronica da MotoGP (centraline multi mappa, traction control anti impennamento e chi pi&ugrave; ne ha pi&ugrave; ne metta), la Honda, come spesso accade negli ultimi tempi, ha scelto una soluzione pi&ugrave; conservativa: sulla Crossrunner, infatti, c&rsquo;&egrave; una sola mappatura della centralina (che funziona benissimo) ed il controllo di trazione si gestisce attraverso il polso destro del pilota, che quindi &egrave; responsabile del suo destino. Il rendimento della trasmissione raggiunge livelli di eccellenza. Effettuare una cambiata &egrave; un vero piacere, perch&eacute; gli innesti sono molto morbidi e precisi, sia quando si passeggia, sia quando si aumenta il ritmo, ed il comando della frizione &egrave; modulabile. Per questi motivi, in citt&agrave; la Crossrunner &egrave; facile da gestire come uno scooter, mentre sulle strade extraurbane il piacere di guida &egrave; assicurato, indipendentemente dall&rsquo;andatura scelta. Va infine segnalato che il livello medio delle vibrazioni &egrave; molto contenuto, sia in accelerazione, sia a velocit&agrave; costante, e che questo V4, pur non avendo l&rsquo;elasticit&agrave; di un quattro cilindri in linea a scoppi regolari, con le marce lunghe consente di scendere di poco sotto i 3000 giri senza protestare pi&ugrave; di tanto.                          LA CICLISTICA della Crossrunner rispecchia in pieno i canoni della Honda. In rettilineo la stabilit&agrave; non manca mai, nei tratti particolarmente sconnessi non si avvertono reazioni anomale dell&rsquo;avantreno, neppure in fase di decelerazione, e pi&ugrave; in generale la moto &egrave; caratterizzata da un ottimo equilibrio, che, sin dai primi chilometri, consente di instaurare un buon feeling con il veicolo. Insomma, la Crossrunner, nonostante un aspetto minaccioso e sportivo ed una base tecnica che deriva da quella della VFR, resta un prodotto a misura d&rsquo;uomo, non certo pensato per l&rsquo;uso al limite, ma comunque in grado di soddisfare le esigenze di chi ama guidare in modo sportivo. &Egrave; adatta a molti, esattamente come tutte le Honda, e come al solito questo pu&ograve; essere considerato un punto di forza, ma, per quei pochi utenti che si aspettavano una moto pi&ugrave; estrema, potrebbe essere un limite. C&rsquo;&egrave; da dire che viaggiando di buon passo si riescono a raggiungere velocit&agrave; degne di nota, per&ograve; non &egrave; questo il punto. La Crossrunner d&agrave; il suo meglio quando viene guidata in maniera progressiva. Cos&igrave; facendo non si apprezza il funzionamento delle sospensioni, sufficientemente morbide da garantire un buon comfort, ma rigide quanto basta da evitare bruschi trasferimenti di carico, e dell&rsquo;impianto frenante con ABS, che sia a bassa che ad alta velocit&agrave; entra in funzione con efficacia e discrezione (il ritorno di forza sulla leve &egrave; appena percettibile). Solo discreto il rendimento dei pneumatici di primo equipaggiamento (Pirelli Scorpion Trail): quando l&rsquo;asfalto non &egrave; in perfette condizioni, si sente la mancanza di grip, fatto normale, considerando che queste gomme devono anche garantire una buona resa chilometrica. Non ci ha per&ograve; convinto l&rsquo;accoppiata tra il profilo del pneumatico anteriore (molto bombato) e quello del pneumatico posteriore (piuttosto piatto). All&rsquo;atto pratico, la moto raggiunge velocemente il punto di corda, ma, nelle curve dove bisogna restare a lungo piegati, si ha sempre la sensazione di essere costretti a correggere la traiettoria.                  La tecnica              SOTTO IL VESTITO C&rsquo;&Egrave; LA VFR 800 &nbsp;                          IL DESIGN della Crossrunner &egrave; nato in parte per soddisfare esigenze aerodinamiche, in parte per assecondare la fantasia del designer (Teofilo Plaza) che ha dichiarato di essersi ispirato al famoso Roadrunner (personaggio creato da Chuck Jones per la Warner Bros), ai SUV ed allo scafo delle grosse moto d&rsquo;acqua! Un mix a dir poco strano, che ha dato vita ad una moto imponente, ma non grossa, e caratterizzata da un vistoso becco frontale, soluzione stilistica che oggi va molto di moda (non a caso &egrave; utilizzata anche sulla BMW R 1200 GS e sulla Ducati Multistrada, tanto per fare due esempi). Il livello medio delle finiture &egrave; ottimo: saldature ben fatte, componenti fusi poco porosi, cavi e cablaggi ben occultati, eccezion fatta per la zona sotto la strumentazione. Rispetto alla VFR 800 V-Tech, i semimanubri sono stati alzati ed avvicinati al conducente, che pu&ograve; quindi guidare mantenendo il busto meno inclinato verso l&rsquo;avantreno. Ora, inoltre, l&rsquo;impianto di scarico termina in basso, sul lato destro del veicolo (sulla VFR 800 V-Tech i tubi passavano sotto la sella), scelta che ha consentito di contenere molto il dislivello tra la sella del passeggero e quella del pilota. Il motore &egrave; sostanzialmente identico a quello della VFR 800 V-Tech, anche se gli ingegneri hanno lavorato molto (e con ottimi risultati) sulla distribuzione a fasatura variabile e sull&rsquo;aspirazione (dove sono stati adottati condotti di aspirazione pi&ugrave; lunghi) per migliorare il tiro in basso e rendere l&rsquo;entrata in coppia meno brusca. Infine, per garantire una buona autonomia, &egrave; stato adottato un serbatoio carburante da 21,5 litri. Il telaio a doppio trave &egrave; in alluminio, esattamente come il forcellone monobraccio. La forcella non &egrave; regolabile, mentre sull&rsquo;ammortizzatore si possono variare il precarico molla ed il freno idraulico in estensione. Sulla Crossrunner l&rsquo;ABS ed il sistema di frenata integrale sono di serie. Utilizzando il freno anteriore non si mette in funzione quello posteriore. Azionando quest&rsquo;ultimo, invece, entra in azione anche la pinza anteriore destra.        &nbsp;            Identikit              &nbsp;                                  Motore        Quattro cilindri a V di 90&deg;, quattro tempi, raffreddato a liquido. Cilindrata 782 cm3. Alesaggio e corsa 72 x 48 mm. Rapporto di compressione 11,6:1. Distribuzione DOHC, VTech, sedici valvole. Alimentazione ad iniezione elettronica PGM-FI. Lubrificazione forzata a carter umido. Avviamento elettrico.                    Trasmissione        Primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco in bagno d&rsquo;olio con comando idraulico. Cambio a sei marce.                    Ciclistica        Telaio a doppio trave in alluminio. Sospensioni: anteriore forcella telescopica con steli di 43 mm &Oslash;, corsa ruota 108 mm; posteriore progressiva, forcellone monobraccio in alluminio ed un ammortizzatore regolabile nel precarico molla e nel freno idraulico in estensione, corsa ruota 119 mm. Freni con C-ABS: anteriore due dischi da 296 mm &Oslash;, pinze flottanti a tre pistoncini; posteriore un disco 245 mm &Oslash;, pinza flottante a due pistoncini. Pneumatici: anteriore 120/70 R17 M/C 58V TL; posteriore 180/55 R17 M/C 73V TL.                    Dimensioni        Interasse: 1464 mm. Lunghezza: 2130 mm. Larghezza: 799. Altezza: 1243 mm. Altezza sella: 816 mm. Inclinazione del cannotto di sterzo: 25&deg;45&rsquo;. Avancorsa: 96 mm. Capacit&agrave; del serbatoio carburante: 21,5 litri.            

Honda Crossrunner: Prova novit&agrave; 

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Da Aprilia a .... Yamaha i test verit&agrave; e su strada

Prove moto e scooter by Motosprint.it

  All&rsquo;Eicma Honda ha svelato un prototipo di nome NM Concept. Si tratta di uno scooter, o meglio una moto &ldquo;fatta&rdquo; a scooter. Visto a Milano in forma prototipale, l&rsquo;NM Concept &egrave; spinto da un propulsore bicilindrico di 800 cc di tipo motociclistico, equipaggiato con la trasmissione DCT (Dual Clutch Transmission), ovvero quella gi&agrave; vista sulla VFR 1200 (infatti la trasmissione finale &egrave; a cartena).  Altro particolare che accomuna questo scooter ad una moto, sono le ruote da 17&rsquo;&rsquo;, sulle quali sono montati pneumatici da 120/70all&rsquo;anteriore e 160/60 al posteriore e il forcellone bibraccio.  Guarda le foto      Guarda il video delle novit&agrave; Honda 2011             Vota la moto pi&ugrave; bella dell&rsquo;EICMA 2010  

&Egrave; un prototipo di moto&hellip; fatta a scooter

Anteprima Honda NM Concept

  Bisogner&agrave; aspettare ancora poco pi&ugrave; di un anno per vedere dai concessionari la nuova Honda Crosstourer. Il prototipo visto all&rsquo;Ecima, infatti, sar&agrave; presentato in versione definitiva a fine 2011 e arriver&agrave; dai concessionari nel 2012 e prender&agrave; il posto della Varadero. La nuova Crosstourer sar&agrave; l&rsquo;unica maxi enduro ad essere equipaggiata con un propulsore V4, che potr&agrave; anche essere abbinato alla trasmissione automatica DCT.  La base tecnica &egrave; quella della nuova VFR 1200 F, con sospensioni differenti e dotate di maggior escursione e ruote a raggi (da 19&rsquo;&rsquo; l&rsquo;anteriore e da 17&rsquo;&rsquo; al posteriore). Il prototipo esposto a Milano &egrave; chiaramente una competitor della BMW R 1200 GS: stessa impostazione, protezioni laterali, fare fendinebbia e borse laterali in alluminio. Tecnicamente, quindi, sar&agrave; lecito aspettarsi delle sorprese dell&rsquo;ultima ora ed &egrave; anche per questo motivo che la Corsstourer sar&agrave; senza dubbio un modello premium, costoso, ma ricco di contenuti tecnologici.      Guarda il video delle novit&agrave; Honda 2011        Vota la moto pi&ugrave; bella dell'EICMA&nbsp;2010  

Arriver&agrave; solo nel 2012 la moto che prender&agrave; il posto della Varadero

Nuova Honda Crosstourer

  Tutti sanno che la sigla VFR rappresenta la massima espressione tecnologica della Honda. Che la vecchia VFR 600 V-Tech &egrave; andata in pensione e sostituita dalla versione 1200 cc, una moto radicalmente diversa per prestazioni, peso e tipo di utilizzo. In in pochi per&ograve; sapevano che in Honda pensavano di rispolverare l&rsquo;eccellente meccanica VFR 800 V-Tech, abbinandola a delle sospensioni ad ampia escursione (165 mm di corsa anteriore , 145 mm al posteriore) e ad un design tutto nuovo che si pone esattamente a met&agrave; strada tra una stradale ed una maxi enduro. Una sorta di SUV con ruote da 17&rsquo;&rsquo; (120/70 all&rsquo;avantreno e 180/55 al posteriore), che, stando a quanto dichiarato dal costruttore, sar&agrave; in grado di erogare 101,8 CV a 10.000 giri/minuto e garantire un&rsquo;autonomia di oltre 300 km, grazie alla capacit&agrave; del serbatoio di 21,5 litri. L&rsquo;impianto frenante con ABS &egrave; abbinato ad un sistema di frenata combinata.      Guarda il video delle novit&agrave; Honda 2011        Vota la moto pi&ugrave; bella dell'EICMA&nbsp;2010  

Il motore V-Tech che garantisce un&rsquo;autonomia di 300 km

Nuova Honda Crossrunner

  La Honda presenta la sua idea di "trasmissione del futuro" sulla sua moto con il Dual Clutch Transmission, con un occhio per&ograve; ai nostalgici            La Prova              Cambio vita      Erlensee (Germania) -Per la maggior parte dei motociclisti le parole &ldquo;tecnologia&rdquo; e &ldquo;progresso&rdquo; spesso si scontrano con una mentalit&agrave; tradizionalista: sistemi come ABS, sospensioni elettroniche, controllo di trazione e cambio automatico vengono visti con scetticismo. Ma per fortuna il progresso avanza lo stesso, e con l&rsquo;occhio al futuro la Honda ha presentato la sua idea di &ldquo;trasmissione del futuro&rdquo; applicata al modello che considera la massima espressione della tecnologia, la VFR1200F. Si chiama DCT (Dual Clutch Transmission) e non &egrave; una trasmissione automatica ma un cambio vero e proprio, a gestione elettronica, con doppia frizione e possibilit&agrave; di essere usato in maniera automatica con due logiche di funzionamento: D per bassi consumi e guida in relax, S per una guida pi&ugrave; sportiva e aggressiva; per i nostalgici c&rsquo;&egrave; anche la modalit&agrave; manuale, con due pulsanti al manubrio per gestire la cambiata.      Esteticamente la versione con l&rsquo;innovativo cambio elettronico non &egrave; molto diversa da quella normale, cambia il carter della frizione e compare una nuova pinza sul disco posteriore, per la necessit&agrave; di un freno di stazionamento; e poi &ldquo;naturalmente&rdquo; mancano le leve del cambio e della frizione, cosa che pu&ograve; lasciare interdetti i tradizionalisti. In sella nulla di nuovo, &egrave; una Honda e questo dice tutto: ci si trova subito a proprio agio, la posizione di guida &egrave; ben studiata e non affatica la schiena e le spalle nemmeno dopo molti chilometri, grazie alla corretta postura del busto e delle gambe e all&rsquo;imbottitura della sella poco cedevole, che sui lunghi tragitti si rivela molto comoda. Le pedane sono abbastanza centrate e solo il peso non propriamente da ballerina pu&ograve; disturbare un po&rsquo; nelle manovre a moto ferma o a bassissima velocit&agrave;.                          Certo, l&rsquo;istinto spesso prevale e per partire si cercano il pedale del cambio e la leva della frizione, ma &egrave; solo questione di ri-tarare il cervello: quelle &ldquo;cose&rdquo; preistoriche non ci sono ed &egrave; inutile cercarle, quindi un tocco sul deviatore di destra e dalla modalit&agrave; &ldquo;folle&rdquo; si passa alla &ldquo;D&rdquo; mentre un clack familiare indica che la marcia &egrave; stata inserita, con la relativa indicazione sul cruscotto, ed &egrave; possibile partire. Tutto avviene naturalmente, basta sfiorare il gas e si incomincia a prendere velocit&agrave; senza differenze rispetto ad una trasmissione normale.      Non &egrave; difficile entrare in sintonia con questa novit&agrave;, basta cambiare l&rsquo;approccio e capire il sistema e tutto diventa normale e divertente. In modalit&agrave; automatico, con il selettore posizionato in D le marce entrano una dopo l&rsquo;altra come una sventagliata di mitragliatrice e questo nella marcia a bassa velocit&agrave; pu&ograve; risultare fastidioso, in citt&agrave; spesso ci si ritrova in quarta o quinta marcia procedendo a 40 all&rsquo;ora con un filo di gas, perch&eacute; il sistema infila e toglie le marce con rapidit&agrave; a cavallo dei 2.500-3.000 giri e sicuramente &egrave; un beneficio per i consumi ma non altrettanto per il piacere di guida. Con la modalit&agrave; S le cose migliorano notevolmente, i cambi marcia avvengono verso i 5.000 giri; a volte pu&ograve; succedere che il sistema decida di mantenere il rapporto pi&ugrave; a lungo o che la scalata avvenga con un po&rsquo; di ritardo semplicemente perch&eacute; i numerosi sensori sparsi nella moto riconoscono lo stile di guida e attraverso complicati algoritmi viene deciso l&rsquo;intervento pi&ugrave; appropriato. In modalit&agrave; manuale il comportamente &egrave; sovrapponibile a quello di un cambio tradizionale, gestito da pulsanti al manubrio invece che dalla leva.      Abbandonata la citt&agrave; si pu&ograve; apprezzare molto di pi&ugrave; questa trasmissione, in autostrada la modalit&agrave; D consente di viaggiare in relax con un filo di gas e consumi contenuti, mentre appena iniziano le curve la S prende nettamente il sopravvento con un funzionamento influenzato dal modo di aprire il gas e agire sui freni: accelerando in progressione i cambi di marcia avvengono in un range compreso tra i 5.000 e i 6.000 giri in maniera da trovarsi sempre con una spinta brillante ma facilmente gestibile, a tutto vantaggio della guida; spalancando con decisione i cambi marcia avvengono un attimo prima dell&rsquo;intervento del limitatore. In scalata, agendo con calma sui freni e sul gas il motore scende fino a 4.000 giri prima di togliere una marcia senza strappi, mentre usando la mano pesante il regime di scalata si posiziona tra i 5.000 e i 6.000 giri. Con la modalit&agrave; manuale &egrave; permesso quasi tutto, togliere e mettere marce a piacimento arrivando fino al limitatore anche in scalata; nell&rsquo;enfasi della guida sportiva a volte ci si pu&ograve; confondere con i bilancieri, con conseguente brivido per aver aggiunto o tolto una marcia dove non era appropriato: con 170 CV non &egrave; il caso di scherzare. Anche il clacson pu&ograve; essere suonato per caso, sempre per una questione di confusione mentale; bisogna solo adattarsi ad un nuovo modo di guidare, e pi&ugrave; chilometri si fanno pi&ugrave; si entra in sintonia e ci si ritrova a giocare con le leve a seconda di quello che si vuole fare; da automatico in D a manuale per un sorpasso o una svolta lenta, per poi con un tocco ritornare all&rsquo;automatico nella modalit&agrave; che si era lasciato, poi S e cos&igrave; via. La nuova trasmissione e l&rsquo;aggravio di circa 10 kg che comporta influenzano anche la dinamica del mezzo: nella guida &ldquo;allegra&rdquo; non emergono problemi, l&rsquo;inserimento in curva e i cambi di direzione avvengono con naturalezza e senza grosso sforzo, con un limitato beccheggio grazie a cambi di marcia senza scossoni. Le cose sono un po&rsquo; diverse nella guida sportiva, perch&eacute; i cavalli si sentono e le dimensioni abbondanti - soprattutto l&rsquo;interasse -non aiutano, bisogna usare le gambe e il corpo per l&rsquo;inserimento e i cambi di direzione, e cos&igrave; facendo la forcella accusa, non trasmettendo un feeling ottimale, lavorando spesso vicino al fondocorsa ed innescando fastidiosi saltellamenti che sporcano il gusto della guida, specialmente nelle staccate pi&ugrave; decise. Il motore ha due facce ben distinte: una spinta discretamente corposa ma pulita e regolare fino a 6.000 giri, limite oltre il quale la grinta sale cattiva e rabbiosa; in un baleno l&rsquo;ago del contagiri raggiunge la zona rossa, &egrave; un&rsquo;erogazione adatta pi&ugrave; a una supersportiva che a una sport touring.                          Il sistema di frenata combinata e l&rsquo;ABS funzionano benissimo a patto di agire su entrambi i comandi simultaneamente e con un po&rsquo; di decisione, mentre la modulabilit&agrave; &egrave; intonata alla tipologia di moto. La carena protegge bene la persone di statura media mentre i pi&ugrave; alti si troveranno con le spalle e parte del casco in bal&igrave;a degli elementi, ottimo invece il lavoro fatto per evitare la trasmissione di calore del motore al pilota: un punto in pi&ugrave; alla voce &ldquo;comfort&rdquo; nella stagione calda. Buoni le finiture e i comandi, con la strumentazione che risulta leggibile in ogni condizione di luminosit&agrave; e con tutte le informazioni necessarie.                  La tecnica              Trasmissione del pensiero      &nbsp;                          Per il motore &egrave; stata scelta un&rsquo;architettura quattro cilindri a V con un angolo tra le bancate di 76-: viene da s&eacute; che la fasatura degli scoppi sia irregolare, cosa che rende pi&ugrave; vigorosa la coppia ai regimi pi&ugrave; bassi. La cilindrata totale &egrave; 1.237 cm3, la potenza 127 kW a 10.000 giri e la coppia massima 129 Nm a 8.750 giri. Per contenere le dimensioni del propulsore si &egrave; fatto ricorso alla distribuzione monoalbero UNICAM gi&agrave; utilizzata sulla serie CRF: quattro valvole per cilindro, un&rsquo;unica camma agisce direttamente su una valvola di aspirazione, e tramite un lungo bilanciere su una di scarico. Quattro corpi farfallati con doppio iniettore provvedono all&rsquo;alimentazione e vengono gestiti tramite un comando ride-by-wire. Il sistema di trasmissione &egrave; inedito, ma simile ad una trasmissione manuale: ci sono gli ingranaggi delle marce e condividono lo stesso albero, un motore elettrico guida il tamburo e le forcelle di selezione delle marce, il tutto gestito da una centralina elettronica che raccoglie le informazioni sul tipo di guida, il modo in cui si frena e si apre il gas, la velocit&agrave; e il regime di rotazione da numerosi sensori sparsi nella moto, per avere una velocit&agrave; di cambiata rapidissima e il pi&ugrave; possibile esente da scossoni e strappi. Le frizioni sono due, disposte sullo stesso asse e posizionate una di fronte all&rsquo;altra con il controllo idraulico che agisce sulla faccia interna di entrambe; una gestisce gli ingranaggi della prima marcia, della terza e della quinta, mentre la seconda sovrintende al funzionamento della seconda, della quarta e della sesta. Con questo sistema mentre una frizione lavora su una marcia l&rsquo;altra &egrave; pronta ad entrare in azione con una velocit&agrave; di intervento da Formula 1 non appena il sistema lo ritiene necessario; il funzionamento &egrave; idraulico, controllato da due valvole a solenoide.                          La ciclistica &egrave; incentrata su un telaio in elementi di alluminio fusi ed estrusi che avvolge il propulsore, la forcella &egrave; una Showa a steli rovesciati di 43 mm &Oslash; regolabile nel precarico molla mentre al posteriore lavora un ammortizzatore a gas regolabile nel precarico e nel freno in estensione. Nel forcellone monobraccio &egrave; alloggiato l&rsquo;albero di trasmissione. Di serie l&rsquo;impianto frenante &egrave; dotato di ABS e sistema di intervento combinato; davanti un doppio disco di 320 mm &Oslash; con pinze a sei pistoncini, dei quali quattro comandati dalla leva anteriore e due dal pedale, assieme ai due della pinza che serra il disco posteriore di 276 mm &Oslash;; una seconda pinza sullo stesso disco serve per il freno di stazionamento. Le ruote sono in alluminio e montano pneumatici 120/70 ZR 17&rdquo; all&acute;anteriore e 190/55 ZR 17&rdquo; al posteriore.                  Identikit              &nbsp;                                  Motore        Quattro cilindri a V di 76-, 4T, raffreddato a liquido. Cilindrata 1.236,7 cm3. Alesaggio e corsa 81 x 60 mm. Rapporto di compressione 12:1. Distribuzione UNICAM monoalbero a camme in testa, quattro valvole per cilindro. Alimentazione a iniezione elettronica PGM- FI. Accensione digitale transistorizzata. Lubrificazione forzata a carter umido. Avviamento elettrico.                    Trasmissione        Primaria a ingranaggi, finale ad albero con giunto cardanico. Doppia frizione multidisco in bagno d&rsquo;olio a comando idraulico. Cambio a sei marce automatico e manuale.                    Ciclistica        Telaio a doppio trave perimetrale in alluminio. Sospensioni: anteriore forcella HMAS a cartuccia con regolazione del precarico a steli rovesciati di 43 mm &Oslash;, corsa 120 mm; posteriore Pro-Link con un ammortizzatore a gas HMAS regolabile nel precarico e nel freno in estensione, corsa ruota 130 mm. Freni a intervento combinato con ABS: anteriore due dischi flottanti di 320 mm &Oslash;, pinze a sei pistoncini contrapposti; posteriore un disco di 276 mm &Oslash;, pinza a due pistoncini. Pneumatici: anteriore 120/70 ZR17 M/C (58W); posteriore 190/55 ZR17 M/C (75W).                    Dimensioni        Interasse 1.545 mm, lunghezza 2.250 mm, larghezza 740 mm, altezza 1.220 mm, sella 815 mm, luce a terra 125 mm. Cannotto 25,5-, avancorsa 101 mm. Serbatoio 9,2 l.            

Con il cambio automatico &egrave; diverso il modo di guidare. Una moto a due facce

Prova novit&agrave; Honda VFR 1200F DTC

  Di stirpe gloriosa. Potente, versatile con una spiccata personalit&agrave;. Molto accogliente, generosa, diventa aggressiva se si apre davvero. &Egrave; la Honda VTR1200F. Niente a che vedere con la &ldquo;vecchia&rdquo;. &Egrave; stata trasformata in una vera sport tourer, degna erede di un&rsquo;altra pietra miliare: la CBR 1100 XX. La VFR &egrave; la maturazione &ldquo;stilosa&rdquo; dell&rsquo;indimenticabile Blackbird, una potente e sfruttabile granturismo per affrontare con brio qualunque montagna, senza temere i trasferimenti autostradali o i cordoli di un circuito. La VFR &egrave; diventata molto pi&ugrave; versatile e, considerando la sua stazza importante, ha l&rsquo;unico limite nel buon senso di chi la usa. Le esagerazioni velocistiche di una Blackbird sono acqua passata, oggi anche una moto autolimitata a &ldquo;solo&rdquo; 250 chilometri orari &egrave; gi&agrave; molto pi&ugrave; di quanto serva per ridurre la patente a coriandoli.            La prova completa, su Motosprint in edicola      

&Egrave; stata trasformata in una vera sport tourer

Honda VFR1200F provata per voi

            La Prova              Ora &egrave; una vera GT, che sfida le BMW      &Egrave; senza dubbio una delle novit&agrave; di cui pi&ugrave; si &egrave; parlato, da un anno a questa parte. Si chiama&nbsp;VFR, sigla che ha sempre identificato le ammiraglie tecnologiche del pi&ugrave; grosso costruttore di moto del mondo, la&nbsp;Honda. La VFR nacque nel 1986 per diventare un riferimento tra le sportive, poi, dopo il 1992, anno in cui venne presentata la prima&nbsp;CBR, inizi&ograve; la sua lenta ma inesorabile mutazione genetica, trasformandosi pian piano in una sport touring. Oggi, con l&rsquo;arrivo della versione 1200F, questa trasformazione &egrave; stata completata, e la VFR &egrave; entrata dalla porta principale nel segmento delle moto turistiche di grossa cilindrata, dove fino a oggi BMW ha avuto ben poche rivali. Sicuramente da gennaio, quando la nuova V4 Honda arriver&agrave; nei concessionari, qualcosa cambier&agrave;. Gli utenti della VFR, infatti, non saranno pi&ugrave; gli ex smanettoni che hanno deciso di abbandonare i circuiti per dedicarsi alla guida su strada, ma gli amanti dei viaggi, del comfort, delle prestazioni elevate, della guidabilit&agrave; e del design, quello riconoscibile al primo colpo d&rsquo;occhio, non oggettivamente bello ma affascinante, diverso. Insomma, Honda ha avuto tanto coraggio: ha stravolto la VFR per cercare di entrare in un mercato fino a oggi dominato da BMW. Sar&agrave; una sfida entusiasmante, che si combatter&agrave; a suon di tecnologia. Honda lo sa e per presentarsi preparata sul ring ha messo a punto un innovativo cambio automatico- sequenziale a doppia frizione, che per&ograve;, molto probabilmente sar&agrave; disponibile solo dalla seconda met&agrave; del 2010. A livello di elettronica, invece, la Casa tedesca &egrave; ancora un gradino avanti, perch&eacute;, pur non avendo una trasmissione automatica, ha gi&agrave; in produzione sospensioni a controllo elettronico ( ESA) e controllo di trazione (ASC), soluzioni sulle quali Honda sta ancora lavorando nei reparti di ricerca e sviluppo.                          Battaglia ad armi pari anche sul fronte del prezzo. Proprio come le BMW, la nuova VFR non coster&agrave; poco: i prezzi non sono stati definiti, ma si parla di poco meno di 16.000 euro per la versione standard e di circa 17.000 per la versione dotata di&nbsp;DCT (Dual Clutch Trasmission). LA PRIMAcaratteristica che colpisce in positivo della VFR1200F &egrave; la posizione di guida. La sella &egrave; stretta, longitudinalmente spaziosa e caratterizzata da un&rsquo;imbottitura morbida ma non cedevole. Le pedane sono distanziate dal piano di seduta in modo tale da garantire spazio anche ai pi&ugrave; alti e, non essendo montate in posizione troppo avanzata, non creano fastidi neppure quando si vuole guidare in maniera sportiva, anche se assicurano una luce a terra da moto turistica, sfregando presto sull&rsquo;asfalto nelle pieghe pi&ugrave; estreme. I semimanubri, piuttosto rialzati, non eccessivamente spioventi ma&nbsp;abbastanza chiusi, consentono di mantenere i polsi in una posizione naturale, che non provoca indolenzimenti neppure nella guida in circuito, dove gestire questa bestiona da oltre 260 chili risulta pi&ugrave; facile di quanto si possa immaginare, anche con i pneumatici di primo equipaggiamento! Il serbatoio, infine, ha una forma che favorisce gli spostamenti laterali del corpo. Buona la protezione dall&rsquo;aria: il plexiglass del cupolino non &egrave; particolarmente protettivo ma l&rsquo;eccellente aerodinamica della moto evita il generarsi di fastidiosi vortici e fruscii sulle spalle e ai lati del casco, a tutto vantaggio del comfort. Ci&ograve; che pi&ugrave; stupisce, comunque, &egrave; il propulsore, un capolavoro di messa a punto, in grado di erogare la potenza massima di una maxisportiva pur essendo sfruttabile come un bicilindrico di media cilindrata. Chiave di accensione sulla posizione &ldquo;ON&rdquo;, un tocco al bottone che aziona il motorino di avviamento e questo V4 inizia subito a cantare. &Egrave; il rombo la prima caratteristica che fa innamorare: cupo, pieno, accompagnato da numerosissime sfumature di scarico e di aspirazione, che lo rendono facilmente riconoscibile.                          In sella, agli alti regimi, l&rsquo;orecchio percepisce un suono prepotente ma cristallino, mentre da bordo pista la VFR sembra una macchina di grossa cilindrata e incute timore. Una volta inserita la prima, invece, si ha l&rsquo;impressione di essere comodamente seduti sul divano di casa. Nonostante la mancanza del contralbero di bilanciamento, questo V4 vibra pochissimo e ai bassi e medi regimi sfoggia una coppia impressionante. Anche in quinta e in sesta marcia, a soli 3.000 giri, c&rsquo;&egrave; gi&agrave; una discreta spinta e spalancando il gas non si avvertono strappi. Incredibile! Tutto sembra facile e non serve tenere l&rsquo;ago del contagiri nei pressi della zona rossa per divertirsi, perch&eacute; tra 5.000 e 7.000 giri c&rsquo;&egrave; gi&agrave; tutto quello che serve &hellip; e anche di pi&ugrave;. L&rsquo;erogazione &egrave; talmente fluida che inizialmente si ha addirittura l&rsquo;impressione che il propulsore non abbia la potenza dichiarata. Bastano pochi giri in pista per capire che non &egrave; cos&igrave;. Perch&eacute; il V4 della VFR ha la forza di un toro e aprendo un po&rsquo; troppo il gas in accelerazione la ruota posteriore alza bandiera bianca, iniziando a scivolare sull&rsquo;asfalto. Meglio non esagerare, quindi, soprattutto con la seconda marcia inserita: infatti, a causa della rapida apertura della valvola di scarico, tra 5.000 e 6.000 giri si avverte una decisa entrata in coppia, che innesca facilmente il pattinamento della ruota motrice.                          Va segnalato problema non si verifica. Il cardano... non sembra neppure un cardano. In circuito bastano tre tornate e sembra di essere alla guida di una moto con la trasmissione a catena: in piega, anche aprendo e chiudendo rapidamente il gas, non si avvertono la tipica rumorosit&agrave; e la risposta brusca del cardano. La frizione attacca in maniera molto progressiva e definire precisi gli innesti del cambio &egrave; addirittura riduttivo. Cosa volere di pi&ugrave;, quindi? Una bella trasmissione automatica-sequenziale in grado di facilitare il compito di chi guida, senza nulla togliere al gusto della guida. Ecco, &egrave; proprio questo il nocciolo della questione: il DCT &egrave; il primo cambio automaticosequenziale che non fa rimpiangere le trasmissioni tradizionali e che ha senso usare anche in manuale. Noi lo abbiamo testato addirittura in pista, terreno in teoria a lui poco idoneo. Inizialmente bisogna fare l&rsquo;abitudine alla mancanza delle leve di frizione cambio, poi per&ograve;, una volta messo a punto l&rsquo;automatismo della cambiata (i pulsanti per aumentare e scalare i rapporti si trovano sul blocchetto sinistro e vanno rispettivamente azionati con il pollice e con l&rsquo;indice) tutto sembra fin troppo semplice. Le marce entrano velocemente e il sistema usa la frizione in modo tale da evitare una risposta brusca della trasmissione in accelerazione, mentre in staccata l&rsquo;inserimento del rapporto viene accompagnato da una leggera accelerata. Il tutto, ovviamente, avviene in maniera totalmente automatica! Portando la moto al limite, in scalata il cambio tradizionale risulta ancora pi&ugrave; efficace perch&eacute; con l&rsquo;automatico non &egrave; possibile innestare velocemente un rapporto dopo l&rsquo;altro, per&ograve; dovrebbe essere solo una questione di taratura del software che gestisce la cambiata, non sviluppato per l&rsquo;utilizzo in circuito. L&rsquo;unico vero difetto del DCT &egrave; la mancanza di una mappatura per l&rsquo;uso turistico. Utilizzando la modalit&agrave; automatica, infatti, si possono scegliere solo due tarature, la &ldquo;D&rdquo;, che tiene inserite troppo a lungo le marce alte, e la &ldquo;S&rdquo;, con la quale invece, il propulsore lavora sempre agli alti regimi.      &nbsp;                          Una moto con un motore del genere non poteva non avere una ciclistica all&rsquo;altezza della situazione. Va detto che la nuova VFR non &egrave; leggera e sia durante le manovre che alle basse velocit&agrave; la sua massa causa un po&rsquo; di imbarazzo. All&rsquo;aumentare della velocit&agrave;, per&ograve;, la musica cambia notevolmente e fin quando non si esagera in accelerazione e in staccata, questa V4 risulta talmente equilibrata da stuzzicare la voglia di andare alla ricerca del limite, di ritardare le staccate, accentuare le pieghe, anticipare l&rsquo;apertura del gas. Il segreto sta nella azzeccata distribuzione dei pesi. Proprio come sulle CBR, il maniacale lavoro svolto per centralizzare le masse ha sortito effetti sorprendenti. Nei cambi di direzione sembra che tutto il peso del veicolo si trovi sotto il serbatoio e anche quando l&rsquo;avantreno e il retrotreno iniziano a ondeggiare la situazione rimane sotto controllo. Portare al limite un veicolo da oltre 260 chili con una potenza e una coppia da supersportiva non &egrave; il compito pi&ugrave; facile del mondo, per&ograve; in sella a questa Honda sembra possibile. Non &egrave; comunque nell&rsquo;uso al limite che la VFR garantisce le massime soddisfazioni. &Egrave; quando la si usa al 70% del suo potenziale che ci si diverte davvero. In queste condizioni, infatti, si apprezzano la straordinaria capacit&agrave; dell&rsquo;avantreno di raggiungere velocemente il punto di corda, il solido appoggio offerto a centro curva, le reazioni neutre nei cambi di direzione. In poche parole, ci si diverte, perch&eacute; &egrave; possibile guidare senza essere dei domatori      &nbsp;                          In questo meraviglioso contesto, la frenata &egrave; l&rsquo;unica nota stonata. Nonostante meritino un buono in pagella, dai freni ci saremmo aspettati qualcosa in pi&ugrave;, soprattutto considerando il livello di eccellenza raggiunto dal motore e dalla ciclistica. Va subito detto che l&rsquo;impianto della VFR &egrave; potente e, come quelli della maggior parte delle Honda, &egrave; molto modulabile. Quello che manca &egrave; il feeling nell&rsquo;uso al limite e sulle strade dove non si conoscono le curve. Per modulare al meglio le decelerazioni, infatti, bisogna usare sia il comando al manubrio che quello a pedale. Addirittura, alle basse velocit&agrave;, &egrave; conveniente utilizzare solo quest&rsquo;ultimo, che comunque mette parzialmente in funzione anche l&rsquo;impianto anteriore. Su strada i sistemi ABS e CBS, aiutati dalla frizione antisaltellamento, svolgono egregiamente il loro dovere, evitando che la moto si intraversi, anche nelle frenate pi&ugrave; decise. In queste condizioni si avverte un leggero ritorno di forza sulle leve, tipico dei tradizionali impianti ABS. Ma Honda ne ha sviluppato uno elettronico che elimina questo problema e che trasmette un maggior feeling in qualsiasi situazione. Perch&eacute; non montarlo su una moto da circa 16.000 euro e oltre 170 cavalli?                  La tecnica              Ha un V4 di 76&deg; tutto nuovo      Il cuore della nuova VFR resta un V4, che per&ograve; &egrave; stato completamente riprogettato e ora non ha pi&ugrave; nulla in comune con la precedente unit&agrave; V-Tech che, nonostante la minore cilindrata ( 800 cm3 contro 1.237 cm3) era pi&ugrave; alto e ingombrante a livello longitudinale. Molto diversi anche i caratteri. Il propulsore V-Tech, infatti, dava il suo meglio agli alti regimi, aveva un&rsquo;entrata in coppia decisa e per questo era senza dubbio pi&ugrave; adatto a essere montato su una sportiva che su una gran turismo. Il nuovo V4, invece, &egrave; stato pensato per raggiungere obiettivi opposti: tanta coppia disponibile da subito, erogazione fluida e vibrazioni contenute. Per ottimizzare la centralizzazione delle masse, gli ingegneri giapponesi hanno scelto di ridurre l&rsquo;angolo compreso tra i cilindri a 76- e partendo da questa base hanno poi utilizzato la tecnologia a loro disposizione per incrementare il tiro in basso e ottenere una risposta al gas pi&ugrave; pronta. &Egrave; per questo che sulla VFR &egrave; stata adottata la distribuzione Unicam (un solo albero a camme che aziona quattro valvole per cilindro), fino a ora montata solo sulle monocilindriche da cross, che ha anche consentito di contenere le dimensioni delle testate. Sulla VFR, inoltre, debutta l&rsquo;acceleratore elettronico, che gestisce sia l&rsquo;apertura che la chiusura delle farfalle, tenendo ovviamente conto delle richieste di coppia fatte dal pilota e dei parametri di funzionamento motore in quel determinato momento. Un&rsquo;altra particolarit&agrave; di questo V4 &egrave; la configurazione degli scoppi, studiata sia per ottenere un sound caratteristico che per eliminare il contralbero di bilanciamento, risparmiando cos&igrave; peso e riducendo le dimensioni del carter motore. Sulla VFR1200F c&rsquo;&egrave; la trasmissione finale a cardano (sulla vecchia VFR c&rsquo;era quella a catena), studiata in modo tale da assecondare anche le esigenze degli utenti sportivi.                          Per ridurre la rumorosit&agrave; e rendere meno brusca la risposta all&rsquo;acceleratore quando si passa da una condizione di gas completamente chiuso a una di gas parzialmente aperto, i tecnici giapponesi hanno progettato con attenzione il sistema dei parastrappi; inoltre, per realizzare un forcellone lungo contenendo l&rsquo;interasse, l&rsquo;albero di trasmissione principale &egrave; stato montato in posizione molto avanzata, impresa non facile considerando il poco spazio a disposizione, ma possibile grazie alle ridotte dimensioni del basamento. COMEvuole la tradizione giapponese, il telaio della VFR1200F &egrave; a doppio trave in alluminio (struttura a diamante). Osservando con attenzione la moto smontata questo telaio sembra pi&ugrave; simile a quello di una sportiva che a quello di una gran turismo, perch&eacute; i travi, stretti e alti, hanno un aspetto molto robusto e sono molto rifiniti, nonostante le voluminose carene li lascino poco in vista. &Egrave; proprio sulla carrozzeria che Honda ha investito molto tempo in fase di progettazione, realizzando quella che viene definita una carenatura a strati (brevettata), in grado di migliorare l&rsquo;aerodinamica e quindi il comfort alle alte velocit&agrave;. Davvero ben fatte le verniciature metalizzate, caratterizzate dalla totale assenza dell&rsquo;effetto buccia d&rsquo;arancia. Sulla VFR ci sono sia la frenata combinata (CBS) che l&rsquo;ABS (non di tipo elettronico, come sulle CBR). Le pinze freno anteriori a sei pistoncini contrapposti arrivano dalla Nissin e sono accoppiate a dischi freno di 320 millimetri di diametro, mentre la pinza freno posteriore a due pistoncini, sempre fornita dalla Nissin, &egrave; abbinata a un disco di 276 millimetri di diametro. Numerosi gli optional dedicati: le valigie rigide laterali da 35 litri, il bauletto posteriore di 31 litri, la borsa serbatoio da 13 litri e le manopole riscaldabili. Questi, come tutti gli altri accessori disponibili, sono stati sviluppati da un team che non si &egrave; occupato di altro.                  Identikit                      Motore        Quattro cilindri a V di 76-, quattro tempi, raffreddato a liquido. Cilindrata 1.237 cm3. Alesaggio e corsa 81 x 60 mm. Rapporto di compressione 12:1. Distribuzione Unicam, quattro valvole per cilindro. Alimentazione a iniezione elettronica PGM-FI. Lubrificazione forzata a carter umido. Avviamento elettrico.                    Trasmissione        Primaria a ingranaggi, finale a cardano. Frizione multidisco in bagno d&rsquo;olio (doppia frizione) con dispositivo antisaltellamento e comando idraulico. Cambio a sei rapporti (automatico-sequenziale).                    Ciclistica        Telaio a doppio trave in alluminio. Sospensioni: anteriore forcella Showa a steli rovesciati di 43 mm &Oslash; regolabile nel precarico molla, corsa ruota 120 mm; posteriore Pro-Link con forcellone monobraccio e un ammortizzatore Showa regolabile nel precarico molla ( 25 posizioni) e nel freno idraulico in estensione, corsa ruota 130 mm. Freni con ABS/ CBS: anteriore due dischi semi-flottanti di 320 mm &Oslash; con pinze radiali Nissin a sei pistoncini e quattro pastiglie; posteriore un disco di 267 mm &Oslash; con pinza Nissin a due pistoncini. Pneumatici: anteriore 120/70 ZR17M/C (58W); posteriore 190/55 ZR17M/C (75W).                    Dimensioni        Interasse 1.545 mm, lunghezza 2.250 mm, larghezza 755 mm, altezza 1.220 mm, altezza sella 815 mm. Inclinazione del cannotto di sterzo 25- 30&rsquo;. Avancorsa 101 mm. Capacit&agrave; del serbatoio carburante 18,5 litri.            

E' tanta. Coppia, potenza, comfort, volumi e prezzo sono aumentati

Prova Novit&agrave; - Honda VFR 1200F/DCT

      SUGO &ndash; Ci sono due domande a cui non vedevamo l'ora di dare risposte: la nuova VFR1200F ha caratteristiche simili a quelle di una gran turismo o somiglia di pi&ugrave; a una sportiva? E ancora: l'innovativo cambio automatico-sequenziale a doppia frizione funziona davvero cos&igrave; bene come Honda promette.  Dopo l'esclusivo test svoltosi a Sugo (Giappone), dove abbiamo avuto modo di provare sia la VFR1200F che la sua sorella gemella con DCT (Dual Clutch Trasmission), ci siamo resi conto che la nuova V4 Honda &egrave; una gran turismo con i fiocchi, meno adatta della vecchia VFR all'uso in pista, ma fantastica nell'utilizzo su strada, dove il cambio a doppia frizione ci ha favorevolmente impressionati: gli innesti sono rapidi e precisi, sia in accelerazione che in scalata, e in partenza la frizione attacca con decisione ma non strappa.  Questa &egrave; solo la punta dell'iceberg. La nuova VFR1200F si &egrave; dimostrata una moto sorprendente, ricca di contenuti. La sua storia &egrave; interessantissima e ricca di colpi di scena. Il resoconto completo del test, con le impressioni di guida, le interviste alle persone che hanno lavorato a questa V4 e tutti i dettagli del progetto li troverete sul numero di Motosprint che sar&agrave; nelle edicole dal 3 novembre.  Il prezzo, indicativo, &egrave; tra i 15.000 ed i 16.000 euro, mentre la moto, nella versione con cambio "classico", arriver&agrave; in Italia a gennaio.      Riccardo Piergentili        Guarda le foto        Guarda il video  

Una moto sorprendente e anche il cambio DCT funziona a puntino

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