Maurizio Vitali: "Scelsi la Garelli. C'era più poesia, ma pagai quella scelta"

"Vinsi due gare in carriera: poche se penso ai numerosi guai meccanici, ma tante se rifletto sui mezzi a disposizione e sulla mia conoscenza tecnica, non certo infnita"

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02.04.2025 09:17

Venerdì 29 giugno 1984, quando si presentò in pista per le qualifiche del GP Olanda classe 125, Maurizio Vitali s’era ripromesso una cosa: evitare a tutti i costi di fare la pole. Così, pensava, avrebbe verificato se la maledizione di cui si sentiva vittima era realtà o fantasia.

Durante quella stagione era partito al palo già in tre occasioni, finendo sempre nei guai, per un motivo o per l’altro. L’obiettivo, poi riuscito, era la prima fila ma senza aver siglato il miglior crono, per capire se così la sfortuna l’avrebbe ignorato. Il giorno della gara, dopo le schermaglie iniziali, la strategia sembrava funzionare: il romagnolo, 27 anni, guidava la corsa e gli veniva tutto facile. L’indicatore della temperatura dell’acqua, sullo zero, non lo preoccupava: si sarà rotto lo strumento, pensò. Invece, funzionava eccome. Era al massimo, non al minimo: il calore aveva fatto fare il giro alla lancetta! Il bicilindrico due tempi della sua MBA alzò bandiera bianca, smentendo la tesi della pole stregata e confermando una teoria più datata: quando la vittoria sembrava lì, a un passo, ne succedeva sempre una. Il caso più eclatante un paio d’anni prima a Misano, con una rottura a meno di un giro dalla bandiera a scacchi mentre si preparava per un finale di fuoco contro nientemeno che il futuro 12+1 volte campione del Mondo Angel Nieto. In qualche modo ai forfeit tecnici Vitali imparò a farci l’abitudine, mentre le luci della ribalta non l’hanno mai visto a suo agio.

Nel 1983 a Imola, circondato da tifosi e curiosi dopo il primo successo nel Motomondiale, ignorò tutti e rientrò a casa senza tante cerimonie. Di vittorie ne colse due, ma potevano essere di più. Innamorato della guida ma poco attratto dall’aspetto tecnico dei mezzi con cui ha corso, compensò con l’istinto ciò che mancava sul fronte della conoscenza. Uno stile improntato sulla forza, che conobbe una svolta nel 1983 quando il romagnolo ricevette una rivelazione: in un contesto sacro, avrebbe visto un paio d’angeli avvolti in un fascio di luce e ascoltato un coro di voci bianche. Si trovava invece a bordo pista durante un turno di prove della classe 500: furono Freddie Spencer e Kenny Roberts a “confidargli” il segreto.

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Cosa accadde?

“A Jarama, ero in compagnia del mio futuro cognato, che voleva scattare qualche foto. C’era una doppia curva a sinistra: i primi a passare frenarono tardi e forte, entrarono con la forcella schiacciata, abbastanza ‘impiccati’, poi via in accelerazione. A un certo punto, ecco Spencer e Roberts: toccarono i freni prima degli altri e con maggiore delicatezza. Così le moto si scomposero meno e quando andarono a piegare l’assetto non era in crisi. Avevano molta più velocità, una cosa impressionante. Più tardi, quando scesi in pista per il mio turno, replicai quel modo di guidare. Non fu una cosa elaborata mentalmente, era come se l’avessi assorbita in modo naturale. Fui rapidissimo: feci la mia prima pole. Fu una svolta”.

E in gara?

“Andai in testa, ma il motore iniziò a calare. Eugenio Lazzarini mi riprese e mi superò. A quel punto, secondo le mie impressioni, rallentò. Forse voleva agevolare il rientro del suo compagno di squadra, Nieto, che correva in casa ed era attardato. In uscita da una curva stretta esitò nell’aprire il gas. Nel giro successivo fece la stessa cosa e mi spazientii. Nella sinistra successiva, da quarta marcia, feci una manovra da matto: lo passai all’esterno prendendomi un bel rischio, perché oltre l’asfalto c’erano appena venti centimetri d’erba e un guard-rail. In uscita allargai il gomito per scansarlo. Non ricordo se ci toccammo”.

Eri uno aggressivo?

“Se serviva, mi facevo rispettare. Gli equilibri si stabilivano così. Sempre in quella gara, poco dopo venni raggiunto da Nieto. Visto il mio motore, fiacco, mi affiancò sul rettilineo e iniziò a stringermi contro il muretto dei box. Tutt’altro che intimorito, semmai arrabbiato perché senza problemi tecnici forse avrei vinto con 20 secondi di vantaggio, praticamente gli lanciai la moto addosso. Lui se ne accorse in tempo e mi evitò”.

Come finì?

“Pensavo che una volta al parco chiuso ci saremmo messi le mani addosso. Che lui fosse arrabbiato. Invece, non mi disse nulla. Da quel giorno, non mi ha più ostacolato”.

L’anno prima, a Misano, tu e Nieto avevate battagliato fino all’ultimo giro.

“Eravamo disposti a tutto. Per quanto mi riguarda, anche a combinare dei danni. Come da copione, il mio bicilindrico calò e sul dritto ero penalizzato. Nonostante tutto, nel giro decisivo ero davanti: prevedevo un attacco di Nieto all’ultima curva, ma non ci arrivai, perché la moto mi mollò prima. Colpa di una vite larga tre millimetri e lunga 1,5”.

Lo spagnolo, tagliato il traguardo da vincitore, si fermò a bordo pista e venne caricato su un’ambulanza: era acciaccato, reduce da una caduta la settimana prima mentre correva con una Honda 500. Fu Nieto il tuo rivale più tosto?

“Sì, senza dubbio. Veloce, grintoso, intelligente, ambizioso, determinatissimo. Anche generoso. Penso all’ultima gara del 1984. Anche se aveva già vinto il titolo della 125, corse al Mugello perché la Garelli, per la quale era ufficiale, voleva monopolizzare il podio. Oltre a lui e Lazzarini, schierava Fausto Gresini. Ero il più veloce, ma Nieto ci provò comunque. Poteva accontentarsi, invece cadde e si fece pure male”.

Quella fu la tua seconda vittoria nel Motomondiale, la prima era arrivata un anno prima a Imola: un’emozione particolare?

“Nemmeno tanto. Finita la corsa, attorno alla mia tenda si radunò un sacco di gente. Ma io non vedevo l’ora che se ne andassero via tutti. Praticamente li ignorai, continuando a sistemare la mia roba. Raccolsi la tenda canadese, caricai tutto sul furgone e me ne andai. Non mi interessava apparire, anzi, ero piuttosto solitario, nel paddock. Pensavo a correre e basta. Nemmeno vincere era una priorità. Una volta fui contentissimo per un 10° posto dopo una bagarre esaltante”.

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