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Ron Haslam: "Persi due fratelli in gara, ma io non vedevo il pericolo"

L'intervista per "Storie Sprint": "Vi racconto tutto. Honda, Suzuki, Schwantz, la Elf con il forcellone anteriore, le partenze a spinta"

Ron Haslam: "Persi due fratelli in gara, ma io non vedevo il pericolo"
© Archivio Motosprint

Jeffrey ZaniJeffrey Zani

22 ago 2024

Ron Haslam, Schwantz, i fratelli


Nel 1989 andasti alla Suzuki accanto a Schwantz, che quell’anno era in gran spolvero: ottenne sei vittorie in 15 gare, mai peggio di secondo quando vide la bandiera a scacchi.

“Dopo aver corso con una moto unica come la Elf, avevo bisogno di tempo per adattarmi. La RGV era fatta su misura per Kevin, cucita attorno a lui, per valorizzarne le caratteristiche di guida. Voleva una moto con cui tenersi stretto in inserimento, voltare secco e accelerare forte. Le traiettorie normali, che idealmente ti vedrebbero entrare largo, poi stringere cercando la corda e uscire, non rendevano. Impiegai tutta la stagione per capirlo. Con la Suzuki dovevo entrare stretto e sfruttare la capacità della RGV di girare di colpo, in poco spazio. Ne ebbi la conferma nelle fasi iniziali di una delle ultime gare, quando superai quattro piloti in una curva sola. Il primo all’esterno, il secondo all’interno, il terzo all’esterno e l’ultimo ancora all’interno. In vista del 1990, galvanizzato perché mi ero parecchio avvicinato a Kevin, pensavo di poter fare bene. Ma non mi rinnovarono”.

In questo caso hai fornito una spiegazione puntuale e ragionata: davvero quando le cose andavano bene non cercavi il motivo?

“È così. Ma attenzione: non voglio dire che guidavo come al solito e non c’erano ragioni. Quella era soltanto la mia impressione. In realtà, quando sei estremamente a tuo agio probabilmente ti comporti in modo diverso. Ma non te ne accorgi. È lì il punto”.

Hai perso due fratelli nelle competizioni, uno in moto e l’altro con il sidecar. Hai anche gareggiato e vinto al Tourist Trophy, la corsa stradale più celebrata, ma anche fra le più rischiose. Il motociclismo era uno sport pieno di insidie ai tuoi tempi: questo aspetto ti influenzava?

“Agli alti livelli, non credo che i piloti sentano il pericolo. Per quanto mi riguarda, credevo così tanto in me stesso, cioè nell’essere capace di non commettere errori, che pensavo di avere effettivamente questa abilità. Ripensandoci adesso, le cose stavano diversamente. Ma il lato pericoloso delle corse, semplicemente, io non lo vedevo. Era una questione di fiducia. Credi in te stesso e pensi che non sbaglierai mai”.

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