Luca Cadalora: il pilota che ha sempre seguito il cuore | Storie Sprint

La storia del pilota emiliano, raccontata in questa intervista esclusiva

Luca Cadalora: il pilota che ha sempre seguito il cuore | Storie Sprint

Jeffrey ZaniJeffrey Zani

23 mar 2023

Luca Cadalora: cuore e coraggio


Cosa intendi con “dare una mano”?

“Assistenza. Magari a livello di sospensioni, come quella che avevo avuto nei test”.

Quindi, dopo la tua vittoria qualcuno si era indispettito.

“Non ci fu più alcuna forma di supporto. Anzi, fu guerra. Ma noi reagimmo spiazzando di nuovo tutti. Prima del GP di Jerez, il quarto di una stagione che ne contava 15, chiedemmo all’HRC di montare forcelle Öhlins, che si trovavano sul mercato. Noi avevamo le moto in leasing, eravamo tenuti a chiedere l’autorizzazione alla Honda, che fra l’altro era legatissima alla Showa, della quale avevamo declinato quell’offerta economicamente così impegnativa. Ero convinto che prendendo le Öhlins, che saranno costate 9000 dollari e non 150.000, e lavorandoci noi, io ed Erv, saremmo andati meglio che con il materiale che ci avrebbe preparato la Showa”.

La Honda vi sbatté la porta in faccia?

“Tutt’altro: a sorpresa ci autorizzò. Andammo a Jerez e la gara fu una grande lotta fra me, Alex Criville e Doohan, che vinse. Lo spagnolo cadde (avvenne all’ultima curva del GP ricordato per l’incredibile invasione del pubblico negli ultimi due giri, nde) e io arrivai secondo con questa soluzione ibrida, la forcella Öhlins davanti e l’ammortizzatore Showa dietro. Ero il primo dei privati: questo sollevò l’attenzione degli altri team satellite. Alex Barros chiese subito le Öhlins. Insomma, avevo creato un altro problema”.

Quell’anno vincesti anche in Germania, in volata proprio su Doohan. Negli ultimi giri sorpassavate i doppiati come birilli: vi prendevate dei rischi, eh?

“Fa parte delle corse. Erano battaglie all’ultimo sangue, le nostre. Anche con Wayne Rainey, di cui sono stato compagno di squadra in Yamaha. Oppure Kevin Schwantz. Non sapevi mai cosa aspettarti, da loro. Era sempre una sorpresa. Dov’era il limite, non si sapeva”.

A proposito di bagarre: il tuo arrivo in volata con Helmut Bradl a Misano nel 1991 è storia. Sulle 250, usciste dall’ultima curva appaiati e vi appoggiaste l’uno all’altro, a gomiti larghi. Cosa si prova in momenti come quello?

“Diventi quasi un animale. Una belva. Non vale soltanto per me, ma per tutti i piloti. Quando i confronti sono così accesi sei disposto a qualsiasi cosa. Fa anche un certo effetto dirlo. Ma sai com’è...”.

È appagante vincere così?

“Il massimo della libidine, della trance agonistica. Adrenalina pura, ti dà una scossa incredibile. Sei riuscito a restare in piedi quando non c’era più margine”.

Tu, però, non eri uno che guidava sopra i problemi.

“Se non sentivo la moto come piaceva a me, non riuscivo a dare il 100%. Ce l’avevo dentro, era automatico. Andavo al 95%. L’avevo imparato cadendo parecchio ai tempi della 125, ai miei inizi. Avevo fatto dei bei voli”.

Cosa chiedevi a livello di sospensioni?

“Ci sono piloti che sfruttano la dinamica di movimento della moto, per guidare. Altri invece la contrastano: vogliono un mezzo che si muove meno, più rigido, per usare la forza nei movimenti. La mia guida era meno fisica, assecondava le inerzie, gli spostamenti, i cambiamenti di baricentro, di peso”.

Come ti sentivi, quando eri a posto con la messa a punto?

“Dava un gusto incredibile. Era come se la moto fosse un prolungamento del mio corpo. La sella diventava il mio sedere, collegato alla gomma posteriore. Le braccia un tutt’uno con la forcella, fino alla ruota. Una sensazione davvero bellissima”.

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