ESCLUSIVA, Uncini: “I segreti Suzuki? Guidabilità e armonia”

Come oggi, anche ai miei tempi la Suzuki era forte in staccata e a inizio curva,  e il lavoro con il team fu eccellente. Per questo battemmo Spencer e Roberts

ESCLUSIVA, Uncini: “I segreti Suzuki? Guidabilità e armonia”

Mirko ColombiMirko Colombi

13 gen 2020 (Aggiornato il 14 gen 2020 alle 18:49)

L’impresa di Franco Uncini fu notevole, perché realizzata contro rivali di lignaggio assoluto; nel 1982, il marchigiano vinse il titolo della classe 500 battendo avversari quali Graeme Crosby, Freddie Spencer, Kenny Roberts e Barry Sheene, in ordine di classifica di quell’annata. 

Fu l’ultimo italiano campione della classe regina prima di Valentino Rossi: l’allora ventisettenne pilota Suzuki ricevette il testimone da Marco Lucchinelli (dopo aver ereditato la sua moto) al vertice della categoria regina e Franco, oggi impegnato nel ruolo di Responsabile della sicurezza nell’ambito dei Gran Premi per conto della FIM (sopra è sulla moto del titolo), ricorda: "La mia squadra godeva di un appoggio diretto dalla Suzuki, il collegamento tra il Team Gallina e Hamamatsu era stretto e al 100%. Io avevo un meccanico personale, che mi seguiva al meglio. La RG 500 funzionava alla grande e io trovai il modo giusto per sfruttarne pienamente il potenziale. Il punto forte consisteva nell’efficacia in staccata e nella prima fase della curva; il feeling con l’anteriore era totale, merito di un equilibrio raggiunto grazie al lavoro compiuto assieme ai ragazzi dello staff". Una moto eccellente per guidabilità e armonia nel box: quasi quarant’anni dopo, lo scenario in casa Suzuki sembra tornato simile a quello descritto da Uncini.

Tu guidavi la moto, senza “spezzarla”.  
"A centro curva eravamo veloci quanto gli altri piloti, soffrivamo, ma non sempre, in alcune accelerazioni, dove Honda e Yamaha ne avevano di più. Il mio problema era in partenza, che era a spinta: soffrivo in quella fase, perdendo posizioni. Però, dato che ero molto a mio agio in sella, riuscivo a recuperare il tempo perduto. Essendo bilanciata, la mia Gamma 500 quattro cilindri mi consentiva di poter forzare senza stressare troppo le gomme nei duelli con Roberts, Sheene e Spencer. Freddie si avvantaggiava nei primi passaggi di gara, io recuperavo".

Tra il tuo titolo e quello di Kevin Schwantz sono passati undici anni, poi ha vinto Kenny Roberts Jr dopo altri sette. Perché così tanto tempo?

"È nella storia della Suzuki avere alti e bassi del genere. A parte la doppietta di Sheene, e poi le vittorie di Lucchinelli nel 1981 e la mia nella stagione successiva, sono serviti tanti anni prima della replica. Secondo me è avvenuto perché in azienda hanno avuto un po’ la mania di rivoluzionare tutto. Quando hanno avuto progetti vincenti, e una buona base, anziché migliorare tutto, hanno stravolto ogni cosa, a volte sbagliando. In certi casi, invece, sono riusciti ad azzeccare l’idea vincente, ma queste fasi vincenti sono state distanti l’una dall’altra".

Con il numero 1 sulla carena, non ti riuscì la replica, complice il terribile incidente di Assen.

"Nel 1982 apportammo piccoli ma importanti cambiamenti alla mia moto, seguendo una logica di piccoli e sensati passi. Questo metodo premiò me e la squadra. Il problema avveniva da un anno all’altro. Ricordo il collaudatore Suzuki, curiosamente si chiamava Kawasaki: era veloce e sensibile, i suoi suggerimenti erano precisi e la sua velocità era da pilota ufficiale. Con il reparto corse riusciva a indicare le migliorie da apportare e tutto funzionava".

E poi?

"Capitò una cosa: la Yamaha era in difficoltà, così ingaggiò proprio Kawasaki. Perdendo lui e con l’arrivo della versione 1983 ci trovammo con una Suzuki totalmente inedita. Eravamo a Kyalami, Sud Africa, la moto era un disastro. Provai a chiedere di correre con la RG 500 1982 e fu inutile, perché gli ingegneri giapponesi non tornarono e non tornano indietro mai. Proprio mai". 

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