        La disposizione dei cilindri &egrave; forse la caratteristica che, assieme al loro numero, distingue maggiormente i vari modelli di moto e consente di differenziarli uno dall&rsquo;altro. Tralasciando in prima battuta i boxer, che in effetti costituiscono un caso a parte, ci sono fondamentalmente due possibilit&agrave; per quanto riguarda l&rsquo;architettura dei bicilindrici: quella in linea e quella a V. L'angolo tra le valvole | Officina I bicilindrici a V  Nell&rsquo;ambito di quest&rsquo;ultima soluzione, la variabilit&agrave; &egrave; ampia in quanto l&rsquo;angolo tra i due cilindri pu&ograve; variare considerevolmente, cosa che ha una notevole influenza non soltanto sull&rsquo;estetica e sugli ingombri, ma anche sulla sonorit&agrave; dello scarico e sul &ldquo;carattere&rdquo; dell&rsquo;erogazione (o forse sarebbe meglio dire del feeling che viene trasmesso al pilota). Ognuno di questi due schemi ha i suoi punti di forza e le sue limitazioni. Come molti appassionati avranno sicuramente notato, qualche anno fa i bicilindrici di media cilindrata erano quasi tutti a V, mentre in seguito si &egrave; assistito a un forte ritorno dei paralleli (che negli anni Cinquanta e Sessanta, escludendo le realizzazioni americane, avevano dominato la scena). Attualmente il mercato offre di tutto ma tra le medie, oggi comprese tra 400 e 800 cm&sup3; all&rsquo;incirca, sembra prevalere nettamente l&rsquo;architettura in linea. Sui bicilindrici a V si potrebbe scrivere un libro. Nel corso degli anni ne &egrave; stato prodotto un numero impressionante e, per quanto riguarda la tecnica, si &egrave; visto praticamente di tutto. Alcuni modelli sono entrati nella leggenda mentre altri sono rimasti nell&rsquo;ombra ma non per questo sono stati meno interessanti, sotto l&rsquo;aspetto sia tecnico che storico. I primi bicilindrici erano quasi tutti a V. Per realizzarli, in fondo, bastava applicare un secondo cilindro al carter di un normale &ldquo;mono&rdquo;, piazzandolo a una certa distanza angolare dall&rsquo;altro. Il basamento era quasi uguale: due &ldquo;semigusci&rdquo; che si univano secondo un piano verticale a formare una specie di scatola (stiamo parlando degli anni nei quali il cambio era quasi sempre separato). Pure l&rsquo;albero a gomiti differiva ben poco da quello di un monocilindrico. In genere prevedeva due grossi volantini discoidali uniti da un singolo perno di manovella (quasi sempre mediante superfici di accoppiamento troncoconiche e grossi dadi di ritegno). Per l&rsquo;imbiellaggio, assai spesso si adottava lo schema a biella interna e biella esterna (con testa a forchetta, nella quale andava a inserirsi l&rsquo;altra). Questa soluzione &egrave; stata sempre particolarmente cara alla Harley-Davidson, che ha continuato a impiegarla sui suoi bicilindrici a V di 45&deg; anche dopo che essa era scomparsa dalla scena in tutto il resto del Mondo. Meno diffuso era il sistema, che invece da anni viene adottato universalmente, con le teste delle due bielle affiancate. Poco impiegato era lo schema a biella madre e bielletta. Negli anni Venti e Trenta nelle grosse cilindrate erano i bicilindrici a V a dominare la scena. Poi &egrave; entrata in produzione la prima Triumph con due cilindri paralleli progettata da Edward Turner e la situazione &egrave; rapidamente cambiata.  La disposizione dei cilindri in linea  Da allora, e fino alla seconda met&agrave; degli anni Sessanta, il panorama mondiale (eccezion fatta come detto per le Harley e, per breve tempo, per la Vincent) le bicilindriche di alte prestazioni sono state invariabilmente in linea. Il ritorno dell&rsquo;architettura a V si &egrave; avuto con le Guzzi della serie V7 e con le Ducati a L. In entrambi i casi l&rsquo;angolo tra i cilindri era di 90&deg;, ma variava la disposizione (trasversale nel primo caso, longitudinale nel secondo). Nel settore delle medie cilindrate la Morini con la sua 3 &frac12; ha rilanciato una soluzione importante che sembrava dimenticata, quella della V &ldquo;intermedia&rdquo; tra i due schemi classici, che prevedono rispettivamente angoli di 45&deg; e di 90&deg;. Nella moto bolognese era di 72&deg; (questo stesso angolo &egrave; stato impiegato molti anni dopo dalla sfortunata Voxan e dalla formidabile realizzazione Rotax 1125 per la Buell). In seguito hanno avuto grande popolarit&agrave; angoli di 52&deg; (Honda VT 500, Transalp e Africa Twin, apparse negli Anni &lsquo;80), di 60&deg; (Rotax 1000 per l&rsquo;Aprilia RSV, Harley-Davidson VRod e Revolution Max). La KTM ha invece concentrato le sue attenzioni sulla V di 75&deg;. Altri angoli &ldquo;anomali&rdquo; sono stati impiegati da Case come Aprilia (77&deg; nelle 450 e 550 da Fuoristrada), Honda (80&deg; nelle CX 500 e 650) e Yamaha (70&deg; nella XZ 550). Nelle classiche bicilindriche Indian la V era di 42&deg; mentre nell&rsquo;inglese Vincent era di 50&deg; (come nell&rsquo;eccellente Husqvarna da corsa degli anni Trenta). L&rsquo;angolo tra i cilindri ha un&rsquo;influenza fondamentale sull&rsquo;ingombro e sull&rsquo;equilibratura del motore, nonch&eacute; sulla spaziatura delle fasi utili. Per quanto riguarda queste ultime, quando i cilindri sono paralleli (cio&egrave; la V &egrave; di 0&deg;) e i perni di biella sono a 360&deg;, sono distanziate uniformemente. Se ne ha una ogni 360&deg; di rotazione dell&rsquo;albero a gomito. Al crescere dell&rsquo;angolo, tra i cilindri la spaziatura diviene pi&ugrave; irregolare. Quando esso &egrave; di 45&deg; le fasi utili si susseguono ogni 405&deg;&hellip; 315&deg;&hellip; 405&deg;&hellip; E quando &egrave; di 90&deg; ogni 450&deg;&hellip; 270&deg;&hellip; 450&deg;&hellip; In quanto all&rsquo;equilibratura, con una V di 90&deg; risultano bilanciate le forze d&rsquo;inerzia del primo ordine e la situazione &egrave; pi&ugrave; che soddisfacente. Le cose per&ograve; peggiorano al diminuire dell&rsquo;angolo tra i due cilindri. Per abbattere le vibrazioni che inevitabilmente insorgono si usano equilibratori dinamici che, nella grande maggioranza dei casi, sono del tipo con una o due masse eccentriche rotanti. Quelli con massa oscillante e finta biella, del tipo detto in gergo &ldquo;a batacchio&rdquo;, sono stati (scarsamente) utilizzati soltanto sui bicilindrici paralleli (vedi BMW F800 prima versione). In quelli a V in certi casi si pu&ograve; fare ricorso a uno sfalsamento del perno di manovella, che viene diviso in due parti con diverso posizionamento angolare. In campo moto questa soluzione &egrave; stata lanciata dalla Honda con i suoi motori a V di 52&deg; apparsi nei primi anni Ottanta (serie VT 500 e modelli derivati).  MotoGP, sinonimo di precisione | Officina       

La disposizione distingue i vari modelli: storia e virt&ugrave; delle scelte legate ai bicilindrici

Cilindri in linea o a V: le differenti filosofie | Officina

        Quando arriv&ograve; il momento di stampigliare i codici di telaio delle due 125 da Gran Premio che realizz&ograve; nella sua officina di Pesaro, nel 1993, Guido Mancini pens&ograve; alle sue figlie Laura e Luana. Incidendo nel metallo una manifestazione d&rsquo;affetto silenziosa e discreta, profonda e segreta, scelse di terminare le formule con le lettere LA per uno degli esemplari, LU per l&rsquo;altro. Le parti iniziali dei nomi delle due ragazzine, dunque, accompagnarono una coppia di moto dal destino insospettabile. Un anno pi&ugrave; tardi su una di quelle monocilindriche a due tempi sal&igrave; un adolescente che sembrava promettente, ma chi lo sapeva: poteva essere uno dei tanti. Invece, in breve sarebbe diventato una promessa internazionale, poi un fenomeno. Di massa, sport e costume. Il nome: Valentino Rossi. Passa alla prossima pagina Valentino Rossi e Luca Marini trionfano alla 100 Km dei Campioni &nbsp; Valentino Rossi e la Sandroni 125  &ldquo;Suo padre Graziano era un ex pilota con alle spalle tre vittorie nella classe 250 del Motomondiale (nel 1979, proprio l&rsquo;anno di nascita di Valentino, nde), aveva militato anche in 500. Voleva che il figlio non perdesse tempo. E cos&igrave;, mentre Valentino era impegnato nella Sport Production 125 in sella a una Cagiva Mito, gli fece correre qualche gara del Campionato Italiano 125 GP per prendere dimestichezza con le moto da corsa pure&rdquo;. Sono parole di Mancini queste: &ldquo;Fra Pesaro e Tavullia, dove vivevamo, c&rsquo;erano pochi chilometri. Facevamo parte dello stesso ambiente e in qualche modo emerse la possibilit&agrave; di far correre Rossi junior su una delle mie ottavo di litro. Fatte qui, in officina. Dove avevo gi&agrave; costruito le TM-Mancini con cui Loris Capirossi aveva gareggiato nel 1988, prima di diventare il pi&ugrave; giovane campione del Mondo di tutti tempi&rdquo;. Di esperienza, Mancini ne aveva parecchia. Ex pilota con un titolo tricolore nel palmares, anno 1977, classe 50, si era affermato come tecnico in un&rsquo;era in cui la perseveranza e l&rsquo;intuizione potevano portare lontano. Quindici anni dopo, nel 1992, era in un box del Mondiale come capotecnico di Bruno Casanova, con l&rsquo;Aprilia 125. Insieme vinsero il round di Hockenheim, altri tre i podi, due le pole position. Con l&rsquo;odore di miscela sui vestiti e il sibilo dei motori a due tempi nelle orecchie, nel 1993 il tecnico pesarese guardava avanti. Quella nel grande Circus iridato si era rivelata una parentesi e lui si era rimboccato le maniche pi&ugrave; di prima. A sostenerlo c&rsquo;era un imprenditore con le spalle larghe, Giuseppe Sandroni, di Tavullia come la famiglia Rossi. &ldquo;Gli affari andavano bene e Mancini era un ottimo tecnico &ndash; racconta oggi Sandroni &ndash; le moto erano nate nella sua officina, realizzate con l&rsquo;aiuto di saldatori e altri specialisti, seguendo le sue indicazioni. La nostra era una sfida contro Aprilia e Honda, ma non ci lasciammo mica spaventare. Io in quel periodo raggiungevo i circuiti su vetture fuoriserie, i soldi non mancavano. Avevamo attrezzatura di primo livello&rdquo;. I quattrini, gi&agrave;. Indispensabili, nelle corse. Valentino sembrava esserne cosciente gi&agrave; allora. Ne &egrave; prova un&rsquo;intervista in videocassetta realizzata nel 1994, alla quale si present&ograve; con un cappellino dei New York Yankees e una felpa con cappuccio. &ldquo;Se non ci sono i soldi, anche se vai forte, non c&rsquo;&egrave; niente da fare&rdquo; disse.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Sandroni 125: Valentino Rossi, le origini  Le Lire, dunque, le aveva messe sul piatto Sandroni. Ma come nacquero le due 125? &ldquo;Il telaio e il forcellone erano opera mia, mentre il motore era un Rotax&rdquo; il ricordo di Mancini. &ldquo;Ci arrangiammo un po&rsquo;, per esempio la carena venne realizzata da un ragazzo che lavorava con le barche. Fra noi ci fu un equivoco, a un certo punto. Gli avevo chiesto un&rsquo;apertura nella parte superiore del codone per portare un po&rsquo; di fresco alla marmitta. Ma quando mi venne consegnato, il foro era girato dalla parte opposta, quindi fatto per l&rsquo;aria in uscita. Pazienza. Ce lo tenemmo cos&igrave;&rdquo;. Quella realizzata nella sua officina, composta da uno stanzone e un&rsquo;area pi&ugrave; piccola nella quale erano sistemati alcuni macchinari come tornio e fresa, era una ottavo di litro abbastanza diversa, rispetto alla Cagiva Mito guidata da Rossi fra le derivate di serie della Sport Production: &ldquo;Il motore non soltanto era pi&ugrave; potente, ma aveva un&rsquo;erogazione completamente differente: quello del marchio di Varese era un lamellare, mentre il nostro era a disco rotante. Pi&ugrave; veloce ma con un arco di utilizzo ridotto, quindi pi&ugrave; complesso da sfruttare&rdquo;. In questo aspetto, il tecnico marchigiano rivest&igrave; il ruolo di tutor spiegando all&rsquo;adolescente come gestire il motore e adattando la Sandroni ad alcune delle sue richieste: &ldquo;Ricordo di aver inciso le estremit&agrave; delle pedane con la lima per creare dei tagli, altrimenti gli scivolava il piede&rdquo;. Altre volte, per&ograve;, Mancini reagiva facendo di testa sua: &ldquo;Capitava che gli dicessi di aver modificato la forcella come chiedeva, ma se pensavo che non fosse la cosa giusta, simulavo qualche operazione ma in realt&agrave; lasciavo tutto com&rsquo;era&hellip;&rdquo;.  Rossi non era solo, fra i piloti seguiti da Mancini. Insieme al quindicenne, che poteva imparare senza pressioni, c&rsquo;era un ragazzo pi&ugrave; grande e navigato, chiamato a portare a casa dei risultati. Si trattava di Manolo Omarini, che non deluse le aspettative vincendo un round dell&rsquo;Italiano, al Mugello, e facendosi vedere davanti anche nell&rsquo;Europeo. &ldquo;La prima volta che guidai con Valentino fu a Misano, in una giornata di prove aperta a chiunque, anche agli amatori. Guido mi aveva chiesto di fargli vedere le linee giuste e cose di questo genere&rdquo; ricorda Omarini. &ldquo;Entrammo e facemmo qualche giro a passo tranquillo, poi ci fermammo per controllare la carburazione e tornammo in pista per tirare, con il mio miglior crono di mezzo secondo pi&ugrave; veloce rispetto a quanto fatto nella precedente gara sul circuito romagnolo, nonostante il traffico dovuto alle tante moto presenti. Valentino non soltanto mi rimase incollato, ma a un certo punto mi infil&ograve; in frenata alla curva della Quercia. Poi and&ograve; lungo e non riusc&igrave; a girare, finendo fuori pista. Tirava gi&agrave; delle staccate bestiali. Appena rientrato ai box chiamai Guido in disparte e gli dissi la mia. Secondo me quel ragazzino era il nuovo Capirossi&rdquo;.  Passa alla prossima pagina MotoGP e SBK: le date delle presentazioni in vista del 2024 &nbsp; Valentino Rossi in sella alla Sandroni 125  Il 15 maggio 1994, quando si ritrovarono in pista per una tappa del campionato tricolore su quello che oggi &egrave; il Misano World Circuit ma che allora si chiamava Santamonica, i due viaggiarono in tandem per la maggior parte della gara, con Omarini davanti, in terza posizione: &ldquo;Da come stavano andando le cose, aspettavo l&rsquo;ultimo giro sapendo che Valentino mi avrebbe attaccato. Ma a un certo punto non lo vidi pi&ugrave;. Un problema tecnico l&rsquo;aveva costretto al ritiro&rdquo;. Quel giorno la Sandroni di Rossi portava sulla tabella il numero 8. Di recente, quando la moto &egrave; stata affidata al restauratore Elio Cappelli sotto il coordinamento di Luciano Sansovini, presidente dell&rsquo;Associazione Otello Buscherini di Forl&igrave;, la coppia ha optato per il numero che rende immediato il legame con il fuoriclasse. &ldquo;L&rsquo;obiettivo non era soltanto riportare questo esemplare allo splendore di un tempo dopo oltre dieci anni di inattivit&agrave;, ma creare anche dell&rsquo;interesse rispetto a una pagina meno nota della storia del campione&rdquo;.  In effetti, il 1994 di Rossi &egrave; ricordato soprattutto per il campionato Sport Production vinto in sella alla Cagiva. Prima che diventasse Rossifumi, Valentinik e The Doctor, c&rsquo;era un ragazzino che sul plexiglass del cupolino portava semplicemente il nome registrato all&rsquo;anagrafe. E sotto quella carena, il cuore della prima moto da Gran Premio mai portata in gara dal futuro nove volte campione del Mondo. Un prototipo artigianale nato e svanito in un lampo, con un telaio &ldquo;fai da te&rdquo; e un monocilindrico raffinato in officina dalle mani di un tecnico che sapeva il fatto suo, foraggiato dal portafogli di un imprenditore ambizioso. &ldquo;Perch&eacute; le corse &ndash; spiega Sansovini con un pizzico di nostalgia &ndash; sono state anche questo: &egrave; giusto ricordarlo&rdquo;. Calendario MotoGP 2024       

La prima moto da GP guidata in gara dal Dottore: un prototipo artigianale realizzato in un&rsquo;officina di Pesaro

Valentino Rossi: Sandroni 125, alle origini della leggenda

Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi, Jorge Lorenzo, questi sono solo alcuni dei nomi che hanno legato le proprie imprese nel motomondiale al marchio di Noale nella ormai defunta 250GP. Che si chiamasse RS250V, RSW250 o RSA250 la base tecnica era la medesima: motore bicilindrico a V di 90&deg;, 249,6cc 2 tempi in grado di erogare nelle sue ultime evoluzioni oltre 105cv il tutto in un contenutissimo peso si 100kg. Le 250GP ancora oggi sono considerate dai piloti che le hanno usate e da moltissimi appassionati le pi&ugrave; belle moto da Gran Premio mai realizzate e tra queste a spiccare su tutte c&rsquo;era la Aprilia RS 250 V.  HONDA RC30: LA STORIA DELLA MOTO CHE CONQUIST&Ograve; LA SBK E LA GENTE  L&rsquo;eredit&agrave; della AF1    La casa di Noale debutt&ograve; nel 1985 con il progetto AF1 250, una moto costruita in un inverno per assecondare le richieste di Michele Verrini che voleva debuttare nel motomondiale con un proprio team. Ivano Beggio allora Patron Aprilia credette subito nell&rsquo;ambizione di Verrini e in poco tempo anche grazie alla partnership con Rotax che forn&igrave; i motori riusc&igrave; a schierare la AF1 in griglia nel motomondiale, affidandola a Loris Reggiani. La moto era molto semplice, un motore Rotax bicilindrico &ldquo;in tandem&rdquo; da circa 75 cv ed un telaio scatolato in alluminio prodotto da Aprilia per un peso di circa 90kg. Nella prima stagione arriv&ograve; subito il podio in Jugoslavia ma per arrivare al successo a Noale dovettero attendere il GP di San Marino 1987 quando Loris Reggiani transit&ograve; per primo sotto la bandiera a scacchi a Misano Adriatico. Per essere pi&ugrave; competitivi per&ograve; serviva ben altro...  MOTOGP, ALEX MARQUEZ: &quot;MARC-GRESINI? SE NON SI DIVERTE, SI RITIRER&Agrave;&quot;  Nata per vincere    Per la stagione 1991 Aprilia fa sul serio ed il nuovo progetto (in mano ormai da un paio di stagioni a Jan Witteween)&nbsp;fu&nbsp;un vero passo avanti a livello tecnico. Il motore, che gi&agrave; nel 1988 era diventato di produzione Aprilia venendo nominato AF/1V passando ad&nbsp;un bicilindrico a V di 90&deg; (bench&egrave; non fosse una V pura, avendo i due alberi controrotanti), nel 1991 riceve un primo importante aggiornamento. Cambia interamente la termica, questo permette anche di rivedere il sistema di raffreddamento, cambia anche l&rsquo;accensione e sostituiti anche i carburatori. Non solo il motore per&ograve; riceve aggiornamenti ma anche il telaio cambia in maniera importante, il doppia trave in alluminio riceve degli innesti in carbonio diventando pi&ugrave; rigido e leggero, migliorando notevolmente rispetto a quello della AF1 precendente del 1990. Il passo avanti &egrave; evidente tanto che con la nuova AF1 centrano subito un successo a testa Pierfrancesco Chili e Loris Reggiani, il primo ad Assen mentre il secondo al Paul Ricard. Nella stessa stagione Aprilia, sempre con la AF1 250 &quot;clienti&quot;, si aggiudica il titolo europeo 250GP grazie ad un giovane ragazzo romano che aveva iniziato a correre solo qualche anno prima: Max Biaggi.    IANNONE PU&Ograve; TORNARE A VINCERE DOPO LA SQUALIFICA? I PRECEDENTI  Continua nella pagina successiva  &nbsp;  La AF1 lascia podi e vittorie alla RS  La AF1 250 continua a vincere anche l&#39;anno successivo, nel 1992, con Loris Reggiani secondo nel mondiale dietro solo a Luca Cadalora, e con la storica prima tripletta sul podio, in quel di Hockenheim con Chili, Biaggi e Reggiani a festeggiare quella che fu un&#39;impresa per la Casa di Noale e la sua 250 (poi replicata a Kyalami all&#39;ultima stagionale con la prima vittoria di Biaggi). E nel 1993, contrariamente a quel che riportano alcune fonti, arriv&ograve; la RS 250 V, evoluzione della AF1, ormai arrivata a fine ciclo. La nuova RS (nome che la collegava ora al nuovo modello 125 stradale arrivato nel 1992)&nbsp; portava in dote una nuova aerodinamica e l&#39;introduzione della valvola parzializzatrice elettronica allo scarico, in luogo di quella a comando pneumatico.  ARRIVA LO SPONSOR CHESTERFIELD   L&#39;inizio di stagione non fu il massimo per la bicilindrica RS, ancora indietro con lo sviluppo ed i primi risultati iniziarono a vedersi da met&agrave; stagione in avanti. In quell&#39;anno debutt&ograve; anche una livrea che segn&ograve; una vera epopea per la Aprilia RS250W. Ad agosto venne siglato l&#39;accordo con la Chesterfield.&nbsp; Nel 1994 arriva una ciclistica aggiornata. La nuova moto fa un balzo avanti importantissimo tanto che Max Biaggi &egrave; in grado di vincere l titolo contro Loris Capirossi e Tadayuki Okada, vincendo sette gare. Nel 1995 arriva il bis:&nbsp;Max Biaggi &egrave; imprendibile in sella alla nerissima Aprilia RS250V ufficiale, conquista 8 successi e 4 podi e si porta a casa il secondo&nbsp;titolo in 250 per lui e per Aprilia che conquister&agrave; anche il titolo costruttori. L&rsquo;anno successivo la storia non cambia, Biaggi &egrave; sempre imprendibile e si porta a casa il titolo nonostante tre ritiri nelle ultime sei gare della stagione. In questi anni Aprilia ha iniziato a differenziale le RS250V ufficiali da quelle che poi vendeva ai clienti, il rebranding ha portato anche un nuovo nome per la moto di Noale che divenne RSW250 per le moto ufficiali e RSW250 LE per i team privati con trattamento semiufficiale.  MOTOGP AUSTRALIA, MARC MARQUEZ: &quot;CASEY STONER ERA UN ANIMALE&quot;  Continua nella pagina successiva  &nbsp;  Fine decennio nel segno di Capirossi e Rossi  La fine degli anni &lsquo;90 porta con s&eacute;&nbsp;un nuovo aggiornamento alla RS250V, il telaio in alluminio diventa pi&ugrave; rifinito, la ciclistica si aggiorna con nuove sospensioni e soprattutto l&rsquo;introduzione delle pinze ad attacco radiale che sostituiscono quelle assiali utilizzate fin qui. La nuova moto vede anche una nuova carena, pi&ugrave; protettiva e che poi sar&agrave; ripresa dalle Aprilia RS125 e RS250 stradali che saranno un successo a livello commerciale fino a met&agrave; degli anni 2000. A portarle in pista nel 1998 ci sono Loris Capirossi e Valentino Rossi che conquisteranno a fine anno il primo ed il secondo posto in campionato vincendo 13 delle 14 gare disputate in quella stagione. Nel 1999 &egrave; il turno di Valentino Rossi laurearsi campione del mondo 250GP con Aprilia che conquister&agrave; nuovamente anche il titolo costruttori.    I primi anni 2000 e l&rsquo;ultima evoluzione della RSW250  Il nuovo millennio si apre con Aprilia che deve cedere il passo alle case giapponesi che con Olivier Jacque su Yamaha prima ed il compianto Daijiro Kato su Honda poi si prendono i titoli 2000 e 2001. Per tornare al successo Aprilia dovr&agrave; aspettare il 2002 dove per&ograve; riusc&igrave; ad aggiudicarsi non solo il titolo piloti e costruttori nella 250 con Marco Melandri ma anche nella 125 con Arnaud Vincent. Fu una stagione memorabile per le 2t di Aprilia che si portarono a casa 4 titoli iridati ma soprattutto 14 successi su 16 gare sia in 125 che in 250. La supremazia del progetto RSW venne confermato anche nel 2003 quando sulla moto ufficiale della casa di Noale sal&igrave; Manuel Poggiali, nonostante il sanmarinese fosse al debutto nella quarto di litro riusc&igrave; subito a conquistare l&rsquo;alloro con Aprilia che nuovamente si impose in 14 delle 16 gare stagionali grazie anche ai successi di Fonsi Nieto, Toni Elias e Randy de Puniet.    SBK 2024: COSA CAMBIER&Agrave; DAVVERO COL NUOVO REGOLAMENTO TECNICO?  Continua nella pagina successiva  &nbsp;  L&rsquo;arrivo della RSA250 e la fine del sogno  Nel 2007 debutta l&rsquo;ultima versione della duemezzo di Noale che porta la sigla si RSA250, affidata a Jorge Lorenzo che aveva gi&agrave; conquistato il titolo nel 2006 con 8 vittorie e 3 podi contro Andrea Dovizioso. La nuova moto non fu una rivoluzione, sebbene le modifiche con la RSW erano notevoli, ma un importante miglioramento ad adeguamento alle tecnologie che ormai stavano debuttando nel motomondiale. La RSA250 vanta una nuova aspirazione, pi&ugrave; efficace, oltre ad una nuova termica ed una nuova disposizione del cambio. Il nuovo motore aveva oltre che pi&ugrave; potenza, anche un regime di rotazione utile migliore e pi&ugrave; ampio che andava dai 6.000 giri/min ai 13.500 giri/min. Anche la ciclistica viene aggiornata: la nuova moto ha un telaio pi&ugrave; corto permettendo cos&igrave; di utilizzare un forcellone pi&ugrave; lungo in grado di migliorare sensibilmente la trazione, venne implementata anche l&rsquo;elettronica con l&rsquo;introduzione di tre accelerometri, utili a gestire la potenza ormai superiore ai 105cv del bicilindrico di Noale, soprattutto in condizioni di scarsa aderenza. La RSA permise a Jorge Lorenzo di conquistare il suo secondo titolo in 250 vincendo 9 gare e salendo sul podio in tre occasioni. La casa di Noale conquist&ograve; l&rsquo;ennesimo titolo costruttori grazie anche ai successi di Alvaro Bautista, nel frattempo passato in 250 dopo il titolo conquistato nel 2006 in 125. Proprio nella stagione 2007 Aprilia raggiunge il traguardo delle 125 gare vinte in 250.  MONDIALE CON IL &quot;SIC&quot;    Nel frattempo l&rsquo;acquisizione di Aprilia da parte del Gruppo Piaggio ha permesso il debutto o meglio il ritorno di marchi come Gilera e Derbi nel motomondiale, le moto erano come avviene oggi con KTM ed i brand del gruppo in Moto3, identiche alla RSW250 marchiata Aprilia. Nel 2008 da met&agrave; stagione Marco Simoncelli gi&agrave; leader di campionato con la Gilera RSW250 ricevette la RSA per il finale di stagione nel quale conquist&ograve; il titolo piloti a Sepang. Nel 2009 ultima stagione nel motomondiale delle quarto di litro, il Sic non riusc&igrave; a confermarsi ed il titolo piloti and&ograve; ad Hiroshi Aoyama ma Aprilia conquist&ograve; comunque il titolo case.  La storia della RS250V e delle sue evoluzioni termina, insieme a quella della classe 250, l&rsquo;8 novembre 2009 a Valencia con la vittoria di Hector Barbera davanti ad Alvaro Bautista entrambi su Aprilia. La casa di Noale con la sua quarto di litro tra il 1993 ed il 2009 ha collezionato ben 150 vittorie in 290 Gran Premi, monopolizzando in diverse occasioni tutto il podio e conquistando 18 titoli tra piloti e costruttori facendo della RS250V la moto pi&ugrave; vincente degli ultimi 20 anni della classe pi&ugrave; amata di sempre.   

Con questa quarto di litro la Casa di Noale ha fatto incetta di titoli tra piloti e costruttori dal 1993 anno del debutto al 2009 ultimo anno prima delle Moto2

Aprilia RS 250 V, la classe media che vola(va) alto

        Sono molti gli appassionati che almeno una volta, magari in giovent&ugrave;, quando si pasticciava con i monocilindrici di piccola cilindrata, hanno pensato di montare parti di un motore in un altro. Insomma, di effettuare un trapianto, che vedeva in genere protagonisti teste e cilindri. Storie di moto poco fortunate | Officina Trapianti sui motori a due tempi  La cosa poteva non presentare particolari difficolt&agrave; quando si trattava di motori a due tempi. Negli anni Settanta lo hanno fatto diversi appassionati per i loro cinquantini da competizione impiegando il cilindro Kreidler, che forniva eccellenti prestazioni ed era reperibile come ricambio. Pure i cilindri Rotax sono stati utilizzati con ottimi risultati da alcuni tecnici nostrani per i loro 125 nel corso degli anni Novanta. Dotati di cinque travasi, avevano un alesaggio di 54 mm ed erano acquistabili senza difficolt&agrave;. C&rsquo;&egrave; stato anche chi ha per&ograve; montato un cilindro Yamaha su un basamento di propria realizzazione. &Egrave; qui interessante segnalare che anni dopo, quando le Moto3 hanno sostituito le 125, qualcuno ha fatto il contrario, &ldquo;trapiantando&rdquo; un gruppo testa/cilindro fatto da lui su un basamento Honda. Dopo il termine della seconda guerra mondiale e fino alla met&agrave; degli anni Cinquanta, hanno avuto una buona diffusione le teste e i gruppi termici completi realizzati dalla Mototecnica Velox di Torino, per mezzo dei quali si potevano trasformare delle tranquille monocilindriche a valvole laterali (si trattava in genere di modelli ex-militari, assai numerosi e acquistabili a costo molto contenuto) in ben pi&ugrave; brillanti aste e bilancieri. Si trattava di parti ben progettate e costruite, fuse in lega di alluminio e con canna del cilindro riportata in ghisa e c&rsquo;erano anche delle versioni per competizione o trasformazione Supersport (ad esempio per le Benelli monoalbero veniva offerta una versione bialbero). Valvole a fungo, mostri di efficienza | Officina I trapianti Morini e Cagiva  L&rsquo;idea di installare sul cilindro di un certo modello della sua gamma la testa di un&rsquo;altra moto, sempre di propria produzione, &egrave; venuta anche a una casa come la Morini, che all&rsquo;inizio degli anni Sessanta ha trapiantato sul motore Corsaro la testa di un Settebello, dotata di valvole inclinate (e non parallele) e di dimensioni maggiori. Pare che le moto interessate da questa trasformazione siano state un paio, rimaste entrambe allo stadio di prototipo. Negli anni Ottanta la Ducati &egrave; entrata a far parte del gruppo Cagiva e alcune moto prodotte sul lago di Varese sono state dotate di motori bolognesi. Molti ricordano le Elefant, che hanno avuto una importante diffusione tra gli appassionati e sono state anche grandi protagoniste delle maratone africane. Poco dopo l&rsquo;inizio della collaborazione tra le due Case, alla Cagiva hanno deciso di provare una testa desmodromica monoalbero Ducati a due valvole installandola su un monocilindrico 350 della serie T4, che di valvole ne aveva quattro. Si trattava di poco pi&ugrave; di un esperimento (del resto, chi non ne ha fatti &ldquo;cos&igrave; per provare&rdquo;?). Non male ma non ha avuto seguito.  Trapianti Ducati-BMW  Gli anni dei Supermono sono stati il periodo d&rsquo;oro dei trapianti ma spesso i gruppi termici che venivano impiegati al posto degli originali (in genere erano interessati da questa modifica i motori Yamaha) erano realizzati ex-novo, dal pieno o, meno frequentemente, di fusione. Un&rsquo;interessante proposta &egrave; stata avanzata dal tecnico Mattioli, che lavorava alla Ducati e che ha trapiantato su di un basamento (completo ovviamente degli organi meccanici!) un cilindro ottenuto dal pieno e la testa di un 851. Questo motore &egrave; stato provato al banco e ha fornito risultati pi&ugrave; che buoni. Due teste Ducati ma in questo caso a due valvole e con distribuzione desmo monoalbero, sono state montate da un abile e intraprendente sidecarista su di un bicilindrico boxer BMW. Il comando degli alberi a camme &egrave; rimasto a cinghia dentata. La trasformazione non deve essere stata semplice. Le teste sono state disposte con l&rsquo;aspirazione verso l&rsquo;alto e lo scarico verso il basso e per comandare le cinghie dentate &egrave; stato impiegato un albero ausiliario collocato nella parte superiore del basamento.  Passa alla prossima pagina Trapianti inglesi  L&rsquo;Inghilterra &egrave; una terra nella quale in campo motociclistico i trapianti non sono mai mancati. Occorre per&ograve; dire che nella maggior parte dei casi si &egrave; trattato di motori completi installati in ciclistiche di altri modelli di differente marca. Nomi come Norvin (telaio Norton e motore Vincent) e Triton (telaio Norton e motore Triumph) sono ormai da tempo entrati nella leggenda. In effetti il telaio Featherbed ha davvero mostrato la strada ed &egrave; stato a lungo un riferimento fondamentale per tutti. Nel 1971 una sua evoluzione, di disegno pi&ugrave; avanzato, &egrave; stata realizzata da Rob North; ha equipaggiato le BSA/ Triumph tricilindriche che hanno corso a Daytona e in altre gare per le 750 e ha influenzato tanto la Yamaha quanto la Kawasaki, che hanno equipaggiato diverse loro moto da competizione di telai aventi una struttura analoga. I fratelli Rickman hanno iniziato l&rsquo;attivit&agrave; in campo Crossistico e in seguito l&rsquo;hanno estesa al settore stradale. Le loro moto, dotate di motori Triumph bicilindrici o Matchless e BSA monocilindrici, sono passate alla storia come Metisse. La loro piccola azienda (&egrave; arrivata a occupare al massimo una trentina di persone) oltre alle moto complete, assai apprezzate negli USA oltre che in patria, vendeva anche kit di ciclistica, nei quali l&rsquo;acquirente poteva installare il motore che preferiva. Colin Seeley era un apprezzato telaista che svolgeva la sua attivit&agrave; principalmente nel campo delle moto da competizione. &Egrave; importante anche non dimenticare le teste Weslake, in alcuni casi a quattro valvole, che potevano essere installate direttamente su motori di serie come i BSA monocilindrici. Grande specialista di fluidodinamica, Harry Weslake ha collaborato a lungo con importanti costruttori di motori da competizione, tanto per moto quanto per auto. Non per nulla il motore a 12 cilindri di 3000 cm&sup3; della Eagle di Formula 1, disegnato da Aubrey Woods e apparso alla fine del 1966, era noto come Gurney-Weslake 58. Telai, l'alluminio domina la scena | Officina       

Andiamo alla scoperta di queste operazioni nelle quali, in genere, ingegneri e appassionati utilizzano spesso dei monocilindrici

Storie di trapianti motoristici, più o meno riusciti | Officina

        Nella storia della moto non mancano certo i modelli che non hanno avuto fortuna. Alcuni sono apparsi nel momento sbagliato, mentre altri sono nati vecchi in quanto progettati con soluzioni tecniche che ormai non erano pi&ugrave; all&rsquo;altezza dei tempi o stavano diventando obsolete. Altri ancora sono apparsi forse troppo in anticipo, proponendo schemi che si sarebbero imposti soltanto diversi anni dopo e che all&rsquo;epoca sembravano forse troppo arditi. O magari non sono stati capiti&hellip; Alcuni non erano a livello della concorrenza in quanto a prestazioni, mentre altri ancora semplicemente andavano male (scarsa affidabilit&agrave; o durata) o erano brutti. Valvole a fungo, mostri di efficienza | Officina Benelli Tornado  Negli anni Sessanta la Triumph Bonneville era non soltanto il sogno di tanti sportivi, ma era spesso considerata anche un autentico punto di riferimento. In vista di una ripresa del mercato e dato il vero e proprio entusiasmo suscitato tra gli sportivi dalle nuovissime Laverda (la 650 era stata presentata al Salone di Londra del 1966), alla Benelli si decise di realizzare una grossa cilindrata; apparve quindi logico pensare a una bicilindrica di 650 cm3, proprio come la Triumph ma tecnicamente pi&ugrave; moderna. La nuova moto, denominata Tornado, &egrave; stata presentata sotto forma di prototipo alla fine del 1967 ma &egrave; stata commercializzata soltanto all&rsquo;inizio del 1971, con una potenza indicata in 50 CV a 7400 giri/min. Non ha avuto successo, bench&eacute; andasse bene e fosse robusta e affidabile. Il fatto &egrave; che era stata sbagliata la cilindrata: la 650 non aveva pi&ugrave; appeal e il mercato si era orientato con decisione sui modelli di 750 cm3 (e oltre). E poi un aste e bilancieri negli anni Settanta, anche se ben realizzato, appariva ormai datato. BMW e Guzzi adottavano tale tipo di distribuzione per via delle loro particolari architetture costruttive, ma gli altri&hellip; Insomma, la Benelli bicilindrica, che aveva caratteristiche avanzate in fatto di rapporto corsa/alesaggio e di basamento (che si apriva secondo un piano orizzontale), sarebbe stata straordinaria se fosse apparsa all&rsquo;inizio degli anni Sessanta, quando il mercato italiano era a pezzi ma quello americano tirava alla grande. BSA B 50 e Yamaha TX 750  Proprio gli USA sono stati in quel periodo la salvezza delle case britanniche, che per&ograve; poi non si sono sapute rinnovare. Alcuni loro tentativi di rilanciare modelli ormai superati tecnicamente, con versioni che in genere erano assai pi&ugrave; brutte delle moto che intendevano rimpiazzare, sembrano addirittura patetici. Un esempio &egrave; la BSA B 50 (foto in basso), prodotta in numeri molto modesti nel 1971-72, in versioni da strada, da Enduro e da cross. Decisamente bruttina, utilizzava un monocilindrico a corsa lunga con distribuzione ad aste e bilancieri la cui origine risaliva agli anni Cinquanta; via via aumentato di cilindrata, fino ad arrivare ai classici 500 cm3 (alesaggio e corsa = 84 x 90 mm, potenza dichiarata di 38 CV a 6500 giri/ min), non poteva pi&ugrave; diventare un modello stradale di grande diffusione. Insomma, era nata vecchia. Ben diversa &egrave; la storia della Yamaha TX 750 bicilindrica, con la quale la Casa intendeva entrare nel settore delle vere maxi-moto, dopo gli ottimi risultati ottenuti con la XS 650. Tale moto era dotata di due alberi di equilibratura e sulla carta appariva moderna e valida; la potenza del suo motore monoalbero veniva indicata in 63 cavalli a 6500 giri/min. Peccato che abbia poi avuto svariati problemi meccanici, legati a eccessive temperature e a una lubrificazione talvolta insufficiente. Sembra che i due alberi ausiliari, montati nella parte inferiore del basamento, &ldquo;sbattessero&rdquo; l&rsquo;olio, dando luogo a una deleteria formazione di schiuma. La Casa di Iwata ci ha messo del tempo per assorbire questo autentico flop che certamente, oltre a crearle un notevole danno economico, non ha fatto bene alla sua immagine nel campo delle grosse cilindrate. Apparsa verso la fine del 1972, la TX 750 &egrave; rimasta in produzione soltanto fino al 1975.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Le Ducati bicilindriche e la Yamaha XZ 550  Parlare delle bicilindriche parallele Ducati di 350 e 500 cm3, definendole grandi flop appare forse ingeneroso. Decisamente bruttine nella prima versione, queste moto, presentate alla fine del 1975, inizialmente hanno avuto diversi seri problemi. Alla fine sono stati sistemati, ma ormai era tardi. Quando sono uscite di produzione nessuno le ha rimpiante. Per la Sachs il nuovo 125 a sette marce doveva essere un degno successore dell&rsquo;eccellente sei marce. E invece &egrave; stata una catastrofe che ben presto ha portato i suoi usuali clienti ad abbandonarla per rivolgersi ad altri produttori come Rotax e Hiro. Ci&ograve; ha convinto l&rsquo;azienda a cessare la fabbricazione di motori per moto. Con la XL 500 S, apparsa nel 1979, la Honda intendeva rispondere, anche se con tre anni di ritardo, alla Yamaha XT 500 che alla fine degli anni Settanta stava ottenendo un grande successo. La moto andava benissimo, era moderna, disponeva di due alberi ausiliari di equilibratura e di quattro valvole ed era esente da difetti. La rivale per&ograve; era nettamente pi&ugrave; bella, aveva pi&ugrave; carattere e forniva prestazioni per lo meno analoghe. Le vendite sono state inferiori alle aspettative. Assai peggio &egrave; andata alla stradale FT 500, derivata dalla XL e dotata di una estetica sicuramente assai discutibile. Da noi le monocilindriche stradali di grossa cilindrata da tempo avevano perso il favore del pubblico e si vendevano in numeri assai modesti, a differenza delle Enduro. Negli altri paesi europei le cose per&ograve; stavano diversamente. L&igrave; la Yamaha SR 500 (stradale pura) si &egrave; venduta in numeri interessanti, mentre da noi no. La FT 500 invece &egrave; andata male, in termini commerciali, anche all&rsquo;estero. La XZ 550 pu&ograve; essere considerata un tentativo coraggioso da parte della Yamaha che con essa proponeva una bicilindrica bialbero a quattro valvole con architettura a V longitudinale di 70&deg; e con raffreddamento ad acqua. Anche i carburatori, di tipo automobilistico a condotto verticale, erano innovativi. Purtroppo la moto voleva esserlo pure dal punto di vista stilistico. Sembra che proprio l&rsquo;estetica sia stata determinante per decretare l&rsquo;insuccesso di questa moto avanzata e interessante dal punto di vista tecnico.        

Vediamo alcune, apparse nel momento sbagliato, e altre nate vecchie, con soluzioni tecniche non pi&ugrave; all&rsquo;altezza dei tempi

Storie di moto poco fortunate | Officina

        Dopo aver parlato dei tre sistemi di comando degli alberi a camme pi&ugrave; impiegati nei motori motociclistici e aver visto come quelli a catena siano diventati i pi&ugrave; diffusi sui modelli di serie, abbiamo anche accennato ai tenditori e ai problemi che essi (o la loro mancanza&hellip;) hanno creato negli anni Cinquanta. Officina: come sono cambiati i motori La catena  Mettere un albero a camme in testa e collegarlo all&rsquo;albero a gomiti era facile ma con il passare dei chilometri rapidamente la catena si allentava cosa che aveva conseguenze negative sia per la rumorosit&agrave; che per la precisione del comando e quindi per le prestazioni. I motori monoalbero italiani all&rsquo;epoca erano quasi tutti monocilindrici, con forti irregolarit&agrave; nella rotazione dell&rsquo;albero a camme, il che peggiorava le cose. Non si deve inoltre dimenticare che si trattava fondamentalmente di prodotti economici, che a ben vedere non necessitavano poi tanto di una distribuzione ad albero in testa. I motori ad aste e bilancieri costavano meno da produrre e non &egrave; che andassero tanto pi&ugrave; piano. Anzi&hellip; Nelle classi 175 e 250 i campionati juniores e della montagna tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta sono stati quasi tutti conquistati da moto con distribuzione ad aste e bilancieri. L&rsquo;Aermacchi Ala d&rsquo;oro &egrave; stata usata con ottimi risultati a livello internazionale da molti piloti e ha anche ottenuto buoni piazzamenti in alcuni Gran Premi mentre la Motobi 250 si &egrave; imposta a Daytona nel 1967. Entrambe avevano l&rsquo;albero a camme nel basamento. &nbsp; I sistemi anni Cinquanta  I sistemi di tensionamento delle catene, che nei motori progettati dopo gli anni Cinquanta in genere funzionavano in maniera pi&ugrave; che soddisfacente, erano di due tipi: a rullo tenditore (pi&ugrave; uno o due rulli folli con funzione di guida) e a pattino. In questo secondo caso sul ramo opposto della catena lavorava un pattino antisbattimento. Da anni i tenditori con rulli sono scomparsi dalla scena, sostituiti da quelli con un lungo pattino arcuato, rivestito con una adatta gomma sintetica, che naturalmente agisce sul ramo non in tiro della catena. Per lungo tempo sui dispositivi di tensionamento &egrave; stato necessario intervenire periodicamente. Talvolta bastava effettuare un semplice controllo, eventualmente seguito da una opportuna regolazione. In altri casi per&ograve; occorreva allentare una vite di bloccaggio in modo da consentire a una molla tarata di premere con il corretto carico sull&rsquo;elemento che andava ad agire sulla catena. Gli interventi erano dunque facili ma in genere andavano eseguiti con una certa frequenza (come il controllo del gioco delle valvole). Si trattava comunque di una seccatura, che &egrave; stata eliminata successivamente quando, a partire dalla fine degli anni Settanta, hanno fatto la loro comparsa i tenditori automatici. Da tempo questi dispositivi sono impeccabili ma all&rsquo;inizio della loro storia alcuni hanno dato problemi anche seri, originando addirittura campagne di richiamo da parte di grandi case. Per limitare la lunghezza dei rami della catena, in modo da ridurre l&rsquo;ampiezza delle oscillazioni e da agevolare il lavoro dei tenditori e dei pattini di guida, sono stati sviluppati anche sistemi di comando a due stadi, con una catena inferiore e una superiore. La soluzione ha avuto importanti applicazioni in campo auto (basta ricordare i motori bialbero Jaguar e Alfa Romeo). &nbsp; La diffusione dei comandi &ldquo;misti&rdquo;  Da alcuni anni diversi motori di altissime prestazioni hanno un comando della distribuzione &ldquo;misto&rdquo;, con uno stadio a catena e uno a ingranaggi. Questo schema, noto da tempo ma ben poco impiegata in passato, consente da un lato di diminuire un poco la lunghezza della catena e dall&rsquo;altro di avere vantaggi a livello di ingombro. Se gli ingranaggi sono nella testa quest&rsquo;ultima pu&ograve; essere pi&ugrave; compatta e gli alberi a camme possono essere pi&ugrave; vicini uno all&rsquo;altro. Se sono nel basamento, le ruote dentate sulle quali si avvolge la catena possono avere un diametro minore. Un comando misto che ha avuto uno straordinario successo &egrave; quello adottato dalla Ducati inizialmente per i suoi bicilindrici monoalbero ad aria, della serie iniziata col famoso Pantah, e quindi impiegato anche sui bialbero ad acqua che tante vittorie hanno ottenuto nel mondiale Superbike. Qui il primo stadio &egrave; costituito da un albero ausiliario che attraversa il basamento portando il moto dal lato sinistro a quello destro. Viene comandato da una coppia di ingranaggi e ruota con velocit&agrave; dimezzata rispetto all&rsquo;albero a gomito. La sua estremit&agrave; destra aziona gli alberi a camme per mezzo di due cinghie dentate. Rispetto al comando con una cinghia che collega direttamente l&rsquo;albero a gomito a quello a camme, questo sistema consente di impiegare pulegge aventi tutte lo stesso diametro, che pu&ograve; essere scelto liberamente dal progettista in modo da risultare ottimale, ovvero n&eacute; grande (e quindi con maggiore ingombro) n&eacute; piccolo (con riduzione del raggio di avvolgimento della cinghia). Inoltre le cinghie possono avere una lunghezza minore rispetto a quella che avrebbero in caso di collegamento diretto, senza interposizione di ingranaggi. Al loro apparire le cinghie dentate in breve tempo hanno addirittura rivoluzionato la tecnica delle auto di serie. Le loro caratteristiche pi&ugrave; interessanti sono il funzionamento silenzioso, la semplicit&agrave; e il costo ridotto dei sistemi di comando che le impiegano. Gli svantaggi, rispetto ai comandi a catena, sono la maggiore larghezza e la necessit&agrave; di sostituirle con una notevole frequenza. Nel nostro settore la prima applicazione su di un modello di serie &egrave; dovuta alla Morini, che nei suoi motori della serie iniziata con il 3 &frac12; nei primi anni Settanta ha impiegato una cinghia dentata per comandare l&rsquo;unico albero a camme posto nel basamento; la distribuzione infatti era ad aste e bilancieri. Successivamente &egrave; stata la volta della Honda (GL 1000) e poco dopo della Ducati e dalla Rotax (monocilindrico monoalbero 504). Va anche ricordata, diverso tempo dopo, la Honda ST 1100.       

Nella distribuzione, sistemi a rullo tenditore, a pattino e misti, con catena, ingranaggi e cinghie

Officina: il tensionamento della catena

        Volete fare un regalo a Mauro Noccioli? Chiedetegli di raccontare i tempi d&rsquo;oro della 250. Il capotecnico fiorentino vi aprir&agrave; un libro e vi racconter&agrave; aneddoti che nemmeno immaginate, con una dovizia di particolari che vi sembrer&agrave; di ascoltare una storia avvenuta ieri. Dopo aver debuttato nel Fuoristrada, vincendo 11 titoli italiani nel Motocross e una Parigi-Dakar con Edi Orioli, Noccioli approd&ograve; alla Velocit&agrave;, dove negli anni ha lavorato con piloti che hanno scritto pagine indelebili: Max Biaggi, Valentino Rossi e Loris Capirossi. Mauro, classe 1956, &egrave; ancora affezionato alla categoria intermedia, come testimonia il ruolo di capotecnico in Moto2 nella MV, ed &egrave; ancora motivato da una passione sconfinata per la tecnica, che lo ha sempre spinto a lavorare fino a notte fonda nel box. Gli anni Novanta della classe 250 sono stati per lui i pi&ugrave; belli anche sotto il profilo tecnico per la continua evoluzione delle moto. &ldquo;La 250 ogni anno introduceva qualcosa di nuovo. Per 22 anni ho sempre pensato che avesse raggiunto il massimo dello sviluppo e che si fosse al capolinea, invece ogni volta rimanevo sorpreso dallo sviluppo incessante della tecnica. I meccanici erano veri meccanici, oggi sono quasi &lsquo;lavapezzi&rsquo;: i motori sono utti chiusi, li puoi smontare e rimontare, ma come fai a creare una storia?&rdquo;.  Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250 Un viaggio tra i ricordi  Secondo te, perch&eacute; quel decennio vide tanti italiani competitivi proprio in 250? &ldquo;Perch&eacute; c&rsquo;era una scuola forte in Italia: la Federazione aveva un altro sistema di approccio con i piloti. Ai tempi di Francesco Zerbi presidente, c&rsquo;era il Team Italia, dove ho lavorato fino al 1997: fu inventato da Renato Chiarelli (presidente del Moto Club Firenze, ndr) ed era un ottimo punto di partenza. C&rsquo;era la Sport Production, che era un&rsquo;enorme fucina di talenti. C&rsquo;era un campionato europeo lunghissimo, articolato su 11 prove, nel quale i piloti dovevano sopravvivere a varie difficolt&agrave;: gare sotto la pioggia battente in Irlanda o con la pioggerellina di Donington, che non era n&eacute; da asciutto n&eacute; da rain&hellip; E poi c&rsquo;era anche l&rsquo;Aprilia: non ci fosse stata l&rsquo;idea di Leandro Scomazzon e Fabrizio Guidotti di fare le Aprilia Replica, probabilmente la storia sarebbe cambiata. Io arrivai in Aprilia ai tempi di Guidotti, e vissi in prima persona i passaggi di Aprilia Replica. Fu un&rsquo;idea geniale di quegli anni. E poi c&rsquo;era anche l&rsquo;Open Ducados 250, il precursore del CEV, dove partecipavano molti piloti del Mondiale. Arrivavi con il ragazzino che aveva fatto l&rsquo;Italiano, o l&rsquo;Europeo, e gli facevi fare le gare con quelli forti: qualcosa doveva imparare per forza! Noi in Italia forse siamo stati i primi artefici di queste esperienze all&rsquo;estero&rdquo;. Cosa aveva di speciale la 250? &ldquo;Tecnicamente era &ldquo;la&rdquo; moto da corsa. Per la 500 ci volevano &ldquo;otto balle&rdquo;, ti faceva venire la paura addosso, la 250 era il compromesso pi&ugrave; bello, con un rapporto peso-potenza comunque impressionante&raquo;. E per un tecnico? &laquo;Lavorare su una 250 ti dava gusto, dopo le prove si smontava la moto e si cominciavano a rifare alberi motore, bielle&hellip; quando si rimetteva in moto erano sempre le tre o le quattro di notte. L&rsquo;avevamo chiamata &lsquo;ora Rotax&rsquo;. Non era una sofferenza, anzi, era un piacere: tra una sigaretta e un caff&egrave;, il tempo volava. E non eravamo soltanto noi a fare notte fonda nei box, ma tutti. E non c&rsquo;era la rivalit&agrave; di oggi&rdquo;. Hai qualche aneddoto? &ldquo;Ricordo il campionato europeo 1992, con il nostro Massimo Pennacchioli candidato a vincere il titolo. Lavorai fino alle cinque di mattina sul motore dell&rsquo;Aprilia dello spagnolo Luis Carlos Maurel, perch&eacute; facevamo anche assistenza ai clienti. Il giorno dopo in gara Pennacchioli ruppe il motore e Maurel vinse l&rsquo;Europeo&hellip; mi ringrazia ancora ogni volta che lo incontro!&rdquo;. Quanto era formativo lavorare su una 250? &ldquo;Nella mia officina sono arrivato ad avere pi&ugrave; di 70 meccanici, e sono tutti ancora nel paddock, alcuni anche come capotecnico. La formazione dei due tempi la percepisci e la sfrutti ancora. Ma se si dovesse compiere un passo indietro e tornare ai due tempi come allora, non saremmo in grado di riscrivere la stessa storia, perch&eacute; quella che abbiamo vissuto &egrave; una storia partita da molto lontano, fatta di piccole cose e con un livello umano diverso. Prima la carburazione si faceva con gli spilli, il meccanico era continuamente attivo, doveva sempre inventarsi qualcosa di nuovo. &Egrave; per quello che siamo cresciuti. Ora a parte gli adesivi e le verniciature non ci sono grandi cose da fare&rdquo;. Gli italiani vinsero tanto in 250, ma avrebbero potuto vincere persino di pi&ugrave;: si diedero troppo fastidio tra loro magari danneggiandosi? &ldquo;No, c&rsquo;era la rivalit&agrave; che doveva esserci. Ricordo una gara in Austria con Biaggi, Capirossi e Romboni in lotta: a un certo punto Loris entr&ograve; fra i due rivali e pass&ograve; per un millimetro. O quando Max Biaggi super&ograve; Van den Goorbergh all&rsquo;esterno al curvone di Salisburgo e vinse la gara. Sorpassi che rimangono nella storia. Era bello vedere il rischio del pilota, ora queste cose non le vedi quasi pi&ugrave;. E poi aggiungo una cosa&rdquo;. Quale? &ldquo;Secondo me la rivalit&agrave; fra Biaggi e Rossi ha fatto bene al motociclismo: io avevo gi&agrave; vissuto quella fra Rinaldi e Maddii nel Motocross. Il dualismo, a partire da Coppi e Bartali, ha sempre fatto bene allo sport. C&rsquo;era rivalit&agrave; anche fra Biaggi, Chili e Reggiani: ricordo quando presero in giro Max per il colore fucsia delle sue manopole, e se li segn&ograve; sul taccuino. Eravamo alla sua prima wild card mondiale e mi disse: &lsquo;Io questi due li faccio smettere di correre&rsquo;". I tre tenori   Hai lavorato con Biaggi, Capirossi e Rossi: quali erano i loro punti di forza? &ldquo;Max &egrave; stato il pioniere, ha inventato nuove forme di guida, percorrendo linee diverse, ed &egrave; sempre stato un grande staccatore. &lsquo;Quando chiudi gli occhi e senti il cuore in gola, allora vai&hellip; poi senti moto che ti asseconda e riesce a fare la curva, ed &egrave; il top&rdquo;, ci raccontava in romanesco. Nel &rsquo;91 era nel Team Italia, gli facemmo fare delle wild card nel Mondiale con una moto standard e all&rsquo;epoca quella ufficiale era veramente due spanne avanti, ma al Paul Ricard si piazz&ograve; dietro a Martin Wimmer e alla sua terza gara era sesto a Donington prima di rompere&hellip;&rdquo;. Loris? &ldquo;Capirossi ha sempre gettato il cuore oltre l&rsquo;ostacolo. Arriv&ograve; da noi in un momento difficile: cadeva spesso, pensava di abbandonare le corse. Ma con l&rsquo;Aprilia nel &rsquo;98 si &egrave; rigenerato: fece cose stratosferiche, da talento vero. A Donington aveva il motore che detonava nel pezzo in discesa che si faceva in quinta marcia, fra il rettilineo di partenza e il curvone. Rischiava di rompere le candele e il nostro telemetrista, Mario, gli sugger&igrave; di arrivare in sesta. Lui ripart&igrave;, and&ograve; gi&ugrave; a canna si riferm&ograve; il giro dopo ai box con il viso bianco. Ci disse: &lsquo;L&rsquo;ho fatta in sesta, ma ho visto la Madonna&rsquo;. E Mario: &lsquo;Allora fai tutti i giri in sesta&rsquo;. E cos&igrave; Loris vinse la gara&rdquo;. E Rossi? &ldquo;Con Valentino vincemmo il Mondiale in 125, e anche lui spostava sempre il limite: era l&rsquo;ulteriore perfezionamento di quello che aveva introdotto Biaggi. Era sempre &lsquo;oltre sull&rsquo;oltre&rsquo;. All&rsquo;inizio cadeva molto e pochi credevano in lui, ma io vidi subito in lui la chiave di volta di quegli anni: era colui che poteva inventarsi qualcosa di nuovo. E infatti fu cos&igrave;. Tutti si chiedevano cosa avrebbe fatto alla fine di ogni gara&rdquo;. Altri piloti a cui sei affezionato? &ldquo;Penso a chi magari non ha vinto titoli, come quando Luca Boscoscuro arriv&ograve; decimo nel Mondiale con una moto vecchia di due anni, contro 14 moto ufficiali. Allora era cos&igrave;: se ci credevi, ci riuscivi&rdquo;. Com&rsquo;erano i piloti di quei tempi? &ldquo;Rimanevano nel box fino a tardi, ci spaccavano i cogl.... per rifare il cambio, avevano la passione per migliorare sempre la moto&hellip; adesso rimangono pi&ugrave; o meno mezz&rsquo;ora davanti al computer della telemetria e poi si distraggono subito con il cellulare. I telefonini andrebbero eliminati dal paddock!&rdquo;. Insomma, gli anni d&rsquo;oro della 250 sono un&rsquo;epoca irripetibile&hellip; &ldquo;S&igrave;, per&ograve; non sono uno che vive di ricordi. La cosa pi&ugrave; importante nelle corse, e te lo insegna proprio la 250, &egrave; guardare avanti e inventarti sempre qualcosa di nuovo&rdquo;. La storia di Stefano Perugini, dalla 250 alle nocciole       

"Lavorare con Rossi, Capirossi e Biaggi fu esaltante almeno quanto la 250, moto in continua evoluzione che hanno scritto la storia. Merito della nostra Federazione e dell'Aprilia"

Mauro Noccioli: “Io, l'Aprilia, la 250: ho visto cose che voi umani...”

Il 30 agosto 1987 &egrave; un giorno storico nella storia del Motomondiale. Perch&eacute; a pochi chilometri da casa, Loris Reggiani interruppe un digiuno personale durato sei anni, ma soprattutto regal&ograve; all&rsquo;Aprilia la prima vittoria iridata. Dando il via a un percorso eccezionale nei GP, dato che nei due decenni successivi la Casa veneta avrebbe vinto titoli con campioni come Valentino Rossi, Max Biaggi, Loris Capirossi, Marco Melandri, Manuel Poggiali, Jorge Lorenzo e, pure se con il marchio Gilera, Marco Simoncelli, a cui &egrave; dedicato proprio il circuito di Misano.    Misano 1982: Franco Uncini, in volo verso l&#39;iride  Appuntamento con la storia   Quel GP San Marino attir&ograve; oltre 40.000 persone fra tribune e prato. Era il dodicesimo appuntamento della stagione che per Reggiani fu quella del riscatto dopo tante peripezie, compreso l&rsquo;incidente stradale subito l&rsquo;anno prima che lo costrinse a saltare mezza stagione (e per le conseguenze per la caviglia sinistra, da allora il cambio per lui &egrave; sempre stato sul lato destro): in quel 1987 sfior&ograve; pi&ugrave; volte il successo, chiudendo secondo in Austria, Jugoslavia e Gran Bretagna. La pista di casa poteva rappresentare l&rsquo;occasione propizia. Nelle qualifiche di Misano, Loris ottenne il terzo tempo, in 1&rsquo;21&rdquo;93, poco distante (soltanto 15 centesimi) dalla pole position di Luca Cadalora, capace di precedere l&rsquo;altra Yamaha del Team Agostini del tedesco Martin Wimmer. Il pilota di Forlimpopoli part&igrave; bene e alla prima curva si ritrov&ograve; alle spalle di Reinhold Roth e davanti a Dominique Sarron, Wimmer, Sito Pons, Carlos Cardus e il leader iridato Toni Mang. Dalla pole, invece, Cadalora sbagli&ograve; partenza, come spesso accadeva in quegli anni con la Yamaha, in particolare quel 1987 in cui la partenza a spinta venne avvicendata da quella a motore acceso. Quando scatt&ograve; il verde e lasci&ograve; la frizione, il motore della moto di Cadalora si ingolf&ograve;, e alla prima curva Luca era 35&deg;, cio&egrave; penultimo. In breve Reggiani si port&ograve; al comando, cominciando ad allungare.  La gara di Misano non fu per&ograve; una passeggiata: l&rsquo;Aprilia aveva avuto diversi inconvenienti tecnici nei GP precedenti, difetti di giovent&ugrave;, e Reggiani temeva che qualcosa potesse interrompere la sua cavalcata solitaria. Invece tutto fil&ograve; per il verso giusto, anche perch&eacute; il pilota pi&ugrave; veloce in pista, Cadalora, pag&ograve; la pessima partenza, e la rimonta si &ldquo;ferm&ograve;&rdquo; a un comunque eccellente secondo posto: Reggiani centr&ograve; l&rsquo;obiettivo e si liber&ograve; dall&rsquo;incubo della cattiva sorte che lo perseguitava. Loris vinse con un vantaggio abissale, ben 7&rdquo;49 su Cadalora, a seguire Pons: scattato dalla quattordicesima posizione, transit&ograve; sul traguardo con 11&rdquo;02 di ritardo dall&rsquo;Aprilia.  Oltre a cogliere la sua prima affermazione personale nella classe di mezzo, Reggiani firm&ograve; un&rsquo;impresa destinata a passare alla storia, mettendo il sigillo alla prima vittoria in assoluto dell&rsquo;Aprilia. A rendere tutto ancora pi&ugrave; magico, fu il contesto di Misano: il primo trionfo iridato dei colori veneti fu infatti accompagnato dal calore del pubblico nel GP San Marino. Un pilota italiano che vince su una moto italiana: un binomio che nella classe 250 non si verificava dal 1979, quando Graziano Rossi trionf&ograve; sulla Morbidelli ad Anderstorp, in Svezia. Reggiani venne persino preso d&rsquo;assalto dagli appassionati a fine gara, e le cronache raccontano che per farlo respirare dopo il trionfo serv&igrave; l&rsquo;intervento dei Carabinieri.    Per capire meglio l&rsquo;impresa, serve pensare che siamo nel 1987 &ndash; 33 anni fa &ndash; e l&rsquo;Aprilia era una piccola Casa italiana, che aveva colto bei successi nel Motocross e nel Trial, ma era ancora acerba nella Velocit&agrave;. La moto di Reggiani si chiamava AF1 e il suo propulsore era un bicilindrico Rotax con ammissione a disco rotante, da molti considerato superato, perch&eacute; si era gi&agrave; entrati nell&rsquo;era dei motori a V con ammissione lamellare. &ldquo;&Egrave; stato pi&ugrave; facile del previsto: quando li ho superati credevo che qualcuno mi sarebbe venuto dietro, invece nessuno ha reagito&quot;, raccont&ograve; Reggiani a Motosprint. &ldquo;Comunque ho tirato sempre: so per esperienza che c&rsquo;&egrave; sempre qualcuno che parte male e poi recupera. Qui &egrave; accaduto a Cadalora&rdquo;.  Il merito del Dottor Costa   &nbsp;Reggiani disput&ograve; tutto il Gran Premio senza tirare quasi mai il fiato. &ldquo;Ho rallentato soltanto alla fine, quando sapevo che il mio vantaggio mi avrebbe permesso di vincere comunque. Ma in quel preciso momento mi &egrave; venuta la paura che si potesse rompere qualcosa nel motore, cos&igrave; non ho pi&ugrave; tirato le marce: mettevo la quarta dove di solito ero in terza. &Egrave; stata una precauzione inutile: la moto &egrave; sempre andata alla perfezione&rdquo;.  La vittoria di Misano fu tanto attesa quanto sofferta: una scommessa vinta, un sogno realizzato. &ldquo;Ho vinto per me, ma la dedico al dottor Costa&rdquo;, disse Reggiani. &ldquo;Dopo il noto incidente stradale non credevo di poter tornare a questi livelli, e invece lui mi ha convinto a provarci, mi ha detto che ci sarei riuscito. Lui e gli altri medici della Clinica Mobile mi hanno rimesso a posto e se oggi sono qui lo devo in buona parte a loro&rdquo;.  Fabrizio Pirovano, l&#39;uomo che regal&ograve; il titolo Supersport alla Suzuki 

Nel GP di casa, il forlivese regal&ograve; all&rsquo;Aprilia lo storico primo successo iridato: fu l&rsquo;inizio di un&rsquo;epopea d&rsquo;oro per l&rsquo;azienda. Per lo stesso Reggiani fu una rivincita: &quot;Temevo di non poter tornare a certi livelli...&quot;

Misano 1987: Loris Reggiani e il primo successo dell&#39;Aprilia

        Per il secondo consecutivo la Pikes Peak International Hill Climb ha visto in azione soltanto le auto. Le due ruote sono bandite dal programma dopo il tragico incidente di Carlin Dunne nell&rsquo;edizione del 2019 in sella a un prototipo Ducati Streetfighter V4. L&rsquo;ultimo di una serie di schianti che pi&ugrave; di una volta hanno portato all&rsquo;esclusione delle moto dalla gara in salita pi&ugrave; celebre al Mondo: 19,99 km da un&rsquo;altitudine di 2862 metri fino a quota 4300 metri dopo aver affrontato 156 curve. Per esempio, dopo la prima edizione del 1916, che vide il successo di Floyd Clymer con una Excelsior in 21&rsquo;58&rdquo;410 &ndash; un paio di minuti in pi&ugrave; della miglior auto &ndash; le moto andarono incontro a un lungo stop, riapparendo soltanto nel 1954. Dal 1956 al 1970 furono di nuovo escluse e ancora dal 1977 al 1979 e dal 1983 al 1990. Per minimizzare i rischi, dal 1991 le moto partirono a ondate di cinque, mentre in precedenza scattavano tutte insieme. Essendo il tracciato sterrato, si sosteneva come fosse fondamentale memorizzare le prime cinque curve per non fermarsi a causa del polverone sollevato dai fuggitivi. A partire dai primi anni Duemila c&rsquo;&egrave; per&ograve; stata una progressiva asfaltatura di The Race to the Clouds (la Corsa fin sulle Nuvole), fino al 100 percento per l&rsquo;edizione del 2012 che non a caso ha visto il nuovo record di Dunne, primo motociclista sotto il muro dei 10 minuti. Per la verit&agrave; nel 1995 Clint Vahsholtz vinse con una Wood-Rotax impiegando appena nove minuti, 17 secondi e un decimo. Un&rsquo;edizione tramandata ai posteri per il successo della Suzuki Escudo di Nobuhiro Tajima, che la fece diventare l&rsquo;auto pi&ugrave; ambita dagli appassionati del videogioco Gran Turismo. Il giapponese impieg&ograve; sette minuti e 53 secondi, ma quell&rsquo;anno la corsa fu accorciata per la presenza di ghiaccio e nebbia in vetta. Quella (s)volta che: Il coraggio di Carl Fogarty al Nurburgring La dinastia Vahsholtz  Vahsholtz aveva esordito alla Pikes Peak nel 1992, dopo essersi infortunato dodici mesi prima in prova. Pur al debutto fece vedere i sorci verdi al campione uscente Brian Anderson, che riusc&igrave; a prendere il comando soltanto al sedicesimo km, a Bottomless Pit. Guadagnato un leggero vantaggio, riusc&igrave; a conservarlo fino al traguardo, complice un errore nel set up della moto di Clint: &ldquo;Il mio vecchio mi aveva detto di usare i rapporti corti del cambio ma non l&rsquo;ho fatto, l&rsquo;inesperienza mi &egrave; costata la gara. &Egrave; pi&ugrave; una corsa mentale che fisica, l&rsquo;anno prossimo dovr&ograve; crescere da questo punto di vista&rdquo;, disse. Anderson vinse con quattro secondi su Vahsholtz e cancell&ograve; il record di Rick Deane che resisteva dal 1976. Entrambi guidavano Wood-Rotax, modelli da Flat Track e Dirt Track realizzati da Ron Wood che li equipaggiava con i motori Rotax. Con moto simili Vahsholtz ottenne tre vittorie di fila: nel 1993 con 12&rsquo;29&rdquo;380, e quell&rsquo;anno il padre Leonard vinse sia nella categoria Stock Car con una Ford Probe che tra i camion con un Ford-F150, demolendo i due record di una trentina e una quarantina di secondi. L&rsquo;anno dopo Clint concesse il bis con 12&rsquo;21&rdquo;130, primato che ha resistito fino al 2005, quando Micky Dymond, con la KTM, approfitt&ograve; del 21 percento di asfalto. Nel 1996 segu&igrave; le orme del padre, passando alle auto. Una scelta spiegata al Gazette Telegraph: &ldquo;Ho avuto alcuni incidenti gravi, cos&igrave; sono felice di salire a bordo, mi sento pi&ugrave; sicuro. Anche se la moto la puoi controllare mentre in auto devi reagire a causa della sua massa&rdquo;. Con una Ford Mustang si aggiudic&ograve; la classe Stock Car, continuando a vincerla fino al 2012 tranne che nel 2007, quando si ritir&ograve;. Con la scomparsa dello sterrato, Vahsholtz cambi&ograve; classe, passando alla Open Wheel ma continu&ograve; a imporsi, con rare eccezioni, come il terzo posto del 2015. Meno fortuna, per modo di dire, ebbe al volante della McLaren: secondo sia nel 2018 con la 12C che l&rsquo;anno dopo con la 650S. Tornato a un prototipo artigianale spinto da un motore Ford, nel 2020 ha conquistato il successo nella generale, agguantando il 24&deg; trionfo (ma 20 di classe) in 29 edizioni della Pikes Peak. Quest&rsquo;anno ha ceduto l&rsquo;auto al figlio Codie, secondo nella Opel Wheel, un&rsquo;onta per la dinastia Vahsholtz. Carl Fogarty: &ldquo;La Petronas fu un'esperienza frustrante&rdquo;       

La Corsa sulle Nuvole ha bandito le moto, a lungo terreno di caccia di Vahsholtz

Quella (s)volta che: niente due ruote alla Pikes Peak

Quando si parla di scuola australiana di motociclismo si pensa a piloti del calibro di Bayliss, Corser, Doohan e soci, gente dalla mano pesante sulla manopola del gas ma che guidava molto pulita&hellip;e poi c&rsquo;&egrave; Garry McCoy, il precursore della guida di traverso. Mica per caso soprannominato &ldquo;The Slide King&rdquo;&hellip;&nbsp;  L&rsquo;ultima volta lo abbiamo visto gareggiare nel World GP Bike Legends (la competizione dedicata alle vecchie glorie del Motomondiale) e calarsi nel ruolo di coach e consigliere di potenziali astri nascenti del motociclismo aussie. In passato per&ograve; ha corso a lungo nel Motomondiale ed &egrave; transitato sia dalla Superbike che dalla Supersport lasciando tante virgole nere in giro per i tracciati.  Gli Inizi   Nato a Sydney il 18 aprile 1972, il giovane Garry ha iniziato nel campionato nazionale per poi passare subito al Motomondiale in classe 125 con una Rotax ottenendo zero punti nelle tre gare disputate da wild card.&nbsp;  Il Motomondiale &ndash; 125   La prima stagione effettiva di Garry nel Motomondiale &egrave; il 1993, in 125 con l&rsquo;Aprilia. Chiude 19&deg; con 25 punti conquistati ed un settimo posto a Laguna Seca come miglior risultato in gara.  Nel 94 centra i primi due podi di carriera e chiude al tredicesimo posto con 56 punti.  Passa ad Honda per il 95. Ottiene la vittoria in Malesia sotto l&rsquo;acqua ma viene licenziato dopo la gara in Spagna per divergenze con la squadra.  Torna quindi in Aprilia per il biennio 96-97. Nel 96 &egrave; 12&deg; con 87 punti e vince l&rsquo;ultima gara stagionale in Australia, mentre nel 97 chiude 7&deg; con 109 punti ed altri due podi conquistati.  La 500     Garry decide di saltare la classe di mezzo (come Miller) per passare alla 500 nel 98 in sella alla Honda NSR500 V2 del team Shell Advance. Chiude 17&deg; con soli 23 punti conquistati.  Nel 99 passa al team RedBull WCM Yamaha dalla gara di Assen al posto dell&rsquo;infortunato Crafar. Chiude 14&deg; con 65 punti ed il podio a Valencia come miglior risultato in gara.  Nel 2000 &egrave; ancora con RedBull WCM Yamaha. Vince in Sudafrica, Portogallo e Valencia salendo sul podio altre tre volte per chiudere al quinto posto con 161 punti (miglior risultato di sempre in carriera)  Per la stagione 2001 &egrave; confermato nel team RedBull Yamaha. Inizia con un podio in Giappone alle spalle di Rossi. Un infortunio gli fa saltare 5 gare. Rientra in Germania e coglie altri due podi chiudendo al 12&deg; posto con 88 punti.  La MotoGP   Inizia il 2002 ancora con la ormai lenta Yamaha YZR500 2T. Un infortunio in inverno ed un altro durante la prima parte di stagione non permettono a Garry di correre al meglio. Finisce l&rsquo;anno con 33 punti in 20^ posizione  Nel 2003 passa al team Kawasaki Racing riuscendo finalmente a guidare una 4T. Dispensa traversi a ripetizione ma racimola solamente 11 punti con un 9&deg; posto in Francia sul bagnato come miglior risultato.  Disputa le tre gare finali del 2004 in sella alla Aprilia RS Cube al posto di Shane Byrne ma non ottiene punti.  Lo si rivede sul finale del 2006 con la Ilmor X3 di 800 cc sviluppata nei mesi precedenti in vista del campionato 2007. Va a punti sia in Portogallo che a Valencia risultando quindi la prima moto 800 ad andare a punti.  Pensava di diventare pilota titolare nel 2007 ma al suo posto vengono scelti Andrew Pitt ed il 42enne Jeremy McWilliams.  Nel 2010 tenta di tornare in MotoGP con una tre cilindri 800 del team FB Corse. Il progetto mancava per&ograve; di competitivit&agrave; ed il 7 giugno di quell&rsquo;anno team e McCoy hanno terminato consensualmente il contratto.  Presentato il team FB Corse  La sua avventura nel Motomondiale si chiude con 5 vittorie, 17 podi, 579 punti, 2 pole in 139 gare disputate.  La Superbike   &nbsp;  In cerca di nuovi stimoli dopo una deludente (per usare un eufemismo) stagione 2003, nel 2004 si rifugia in Superbike con la Ducati 999 del team Xerox-Nortel Networks. Vince gara-2 in Australia e va a podio in entrambe le gare di Monza chiudendo il campionato al sesto posto con 199 punti.  Nel 2005 si fa ammaliare dal progetto Petronas. Purtroppo per lui quell&rsquo;anno si riveler&agrave; poco competitivo: 15 punti totali conquistati e 22&deg; posto in campionato  &nbsp;  La Supersport   Nel 2008 tenta l&rsquo;avventura nella classe cadetta delle derivate. In sella alla Triumph conquista 13 punti chiudendo al 26&deg; posto  Nel 2009 &egrave; confermato in squadra e la stagione &egrave; decisamente diversa rispetto alla precedente. Primo podio per Triumph in Inghilterra dietro Lascorz e Crutchlow, e secondo podio in Portogallo per un 8&deg; posto finale con 98 punti. 

Dal Giappone voliamo nella vicina Australia per una puntata speciale della nostra rubrica dedicata al maestro dei traversi, sparsi per le piste di Motomondiale, Mondiale Superbike e Supersport

Che fine ha fatto: Garry McCoy

La passione per le corse e per il fuoristrada ha sempre caratterizzato la Polini Motori fin dai tempi delle prime trasformazioni realizzate per i motori Sachs, Fantic, Zundapp, Rotax e l&rsquo;ha vista passare successivamente a mezzi pi&ugrave; stradali come la Vespa, Ciao, MBK &nbsp;ed a tutti i vari scooter.  Tradizione, amore, cura dei particolari, attenzione e dedizione. Tutto questo ha sempre voluto essere la Polini: con nuove sfide ogni giorno, in cui &egrave; necessario mettersi in gioco per puntare a nuovi ed ambiziosi traguardi.  La Vespa GTS Super 300 &ldquo;mette le ali&rdquo; con Polini Motori    Le parti speciali per i Minarelli 50 AM6   Tra le tante parti speciali del catalogo Polini figurano anche le parti speciali per i vari &ldquo;cinquantini&rdquo; equipaggiati con motore Minarelli 50cc AM6.  Polini ha &nbsp;dunque progettato, prodotto e lanciato sul mercato dell&rsquo;aftermarket una scommessa, portandola ad essere vincente.  Nell&rsquo;enduro e nell&rsquo;offroad in generale la factory bergamasca &egrave; divenuta protagonista, rompendo gli schemi e portando impegno, perseveranza e voglia di vincere.  &ldquo;Un impegno importante, perch&eacute; nell&rsquo;era dell&rsquo;IPhone, degli IPad, di Internet, di Twitter o Istagram, in cui tutto &egrave; a portata di un semplice &ldquo;click&rdquo;, Polini si rivolgere sempre a chi vuole realmente mettersi in gioco nelle gare di enduro e fuoristrada&rdquo;, dicono in Polini.    I successi nell&#39;enduro   Con la serie dei prodotti speciali per il motore Minarelli dei vari &ldquo;cinquantini&rdquo; AM6, Polini ha gi&agrave; ottenuto importanti successi in collaborazione con alcune squadre impegnate con le pi&ugrave; promesse dell&rsquo;enduro italiano, COME il Team Cesana di Seregno, in provincia di Monza e Brianza, vincitore nelle ultime stagioni di campionati italiani cadetti 50 e titoli FIM nella Coppa Europe 50 con diversi giovani piloti, tra i quali Matteo Pavoni (nella foto sopra).  &ldquo;Si tratta di prodotti Polini in grado di soddisfare le numerose richieste di piloti ed appassionati desiderosi di possedere un motore &#39;kittato&#39; altamente prestante in ogni condizione di guida grazie con pezzi unici e straordinariamente performanti&rdquo;, aggiungono in polini.  I prodotti sono il kit gruppo termico, l&rsquo;accensione, l&rsquo;impianto di cascarico, l&rsquo;albero motore, il collettore di aspirazione, il kit dichi frizione, i cuscinetti, la coppia di manopole e la valvola lamellare.    La linea &quot;For Race&quot;   Polini Motori conferma la sua attenzione all&rsquo;evoluzione delle moto da 50cc 2 tempi motard &nbsp;e fuoristrada dedicando proprio a questi mezzi una linea di impianti di scarico: si chiama For Race ed &egrave; composta da sette differenti modelli sviluppati per essere adattati su moto: Aprilia, Beta, Derbi, Gilera, Rieju, Sherco, Yamaha.  Si tratta di impianti scarico destinati all&rsquo;after-market progettati e sviluppati per le caratteristiche dei motori raffreddati a liquido.  Sono stati progettati per adattarsi perfettamente alle forme dei vari tipi di telaio e per garantire buone prestazioni, ottimizzazione della potenza a ogni regime di rotazione e affidabilit&agrave;.  L&rsquo;espansione &egrave; stata sviluppata per sfruttare al massimo le prestazioni sia dei motori originali, che quelli potenziati. Il silenziatore finale &egrave; in alluminio anodizzato nero e pu&ograve; essere smontato per agevolare la sostituzione del materiale fonoassorbente.    L&#39;accensione per Minarelli e Derbi   Tra le novit&agrave; di Polini per le moto 50 equipaggiate con motore Minarelli AM6 o Derbi D50B, anche l&rsquo;accensione digitale Polini a rotore interno.&nbsp;  L&rsquo;accensione &egrave; completa di supporto centralina, statore, rotore, bobina completa con CDI in cui &egrave; gi&agrave; inserita la mappa di accensione dell&rsquo;anticipo elettronico. Il setup promette di essere molto semplice, perch&eacute; consente la regolazione meccanica dell&rsquo;anticipo.&nbsp;  Lo statore &egrave; studiato per avere 2 cave di cui una specifica per il motore Minarelli AM6 ed una per il motore Derbi D50B: una questa caratteristica studiata per rendere semplice il set up in fase di montaggio.  La nuova accensione a rotore interno ad anticipo variabile si pu&ograve; utilizzare su motori che arrivano a 20.000 RPM.  Il kit Polini si propone come un avanzato concentrato di tecnologia elettronica progettata per le competizioni in pista con le moto sia per le categorie con cilindrata originale che per le categorie con cilindrata maggiorata. L&rsquo;impianto elettrico della moto viene escluso. All&rsquo;interno del kit &egrave; disponibile una tabella d&rsquo;anticipo per il corretto set-up.  L&rsquo;incremento della potenza ad ogni regime di rotazione del motore &egrave; assicurato.  The Test : Yamaha TMAX, ancora pi&ugrave; grinta con il kit Polini 

La factory bergamasca sigla importanti successi nell&rsquo;enduro italiano con la serie di prodotti speciali dedicati al motore Minarelli AM6

Off road: cos&igrave; Polini Motori rende vincenti i &ldquo;cinquantini&rdquo;

Il campionato italiano Quadcross Sidecarcross by 24MX che ha aperto i giochi sul tracciato di Trofarello e che ha disputato il suo terzo round a Bellinzago non ha ancora trovato i suoi campioni, eccezion fatta per la classe Sport del Quadcross. Come nelle migliori sceneggiature, dunque, la maggior parte dei titoli della stagione 2020 si assegneranno nell&rsquo;ultimo round, in calendario domenica 11 ottobre a Gattinara, in provincia di Vercelli.  Nonostante le copiose piogge degli scorsi giorni e i danni che si sono registrati nella zona del Vercellese, il moto club Gattinara si &egrave; dato molto da fare per sistemare il circuito, per accogliere la manifestazione e celebrare i nuovi campioni.    I favoriti   Patrick Turrini su Yamaha del team GF Racer &egrave; il grande favorito della vigilia per il titolo della Qx1 internazionale. Con 39 punti di vantaggio su 65 disponibili, il pilota ligure potr&agrave; accontentarsi di controllare Paolo Galizzi, anche lui su Yamaha GF Racer per confermarsi campione per il secondo anno consecutivo. Per il terzo posto la lotta &egrave; tra Amerigo Ventura Montecamozzo su Yamaha del Team quad Tity &amp; Amarenas e Lorenzo Taricco&nbsp; su Yamaha GF Racer.  Nei sidecar l&rsquo;equipaggio Lasagna-Lasagna del Motor&rsquo;s Club Panicale deve gestire un margine di 17 punti su Pozzi-Walti, del team Gardone Riviera, per assicurarsi il terzo titolo italiano consecutivo. Gli svizzeri Heinzer-Betschart, attualmente terzi, sono ancora matematicamente in corsa, ma il ritiro in gara-1 nella scorsa prova di Chieve ha compromesso le loro chance.    Per quanto riguarda le altre categorie del Quadcross, Marco Barbagli (Rotax - Castelfiorentino) &egrave; gi&agrave; matematicamente sicuro del titolo della Sport e si prepara a festeggiare a Gattinara con la premiazione ufficiale. Davide Gigli (Yamaha - Garfagnana) ha un vantaggio di 34 punti su Rodolfo Salustri (KTM - Monaco), da gestire per riprendere il titolo di campione della Veteran gi&agrave; conquistato nel 2018. Andrea Zucca (KTM - GF Racer) comanda la JF 250 su Simone Chiappone (Yamaha - Gf racer), mentre Umberto Caronna (Rotax - Castelfiorentino) si presenta a Gattinara con il primato nella classe Trofeo.  MotoGP, Rossi: &ldquo;A Portimao tre o quattro punti fanno paura&rdquo; 

Appuntamento domenica 11 ottobre nel vercellese con l&rsquo;ultima prova del campionato italiano per le tre e quattro ruote artigliate &nbsp;

Quad e sidecarcross: a Gattinara si assegnano i titoli

Il tracciato di Bellinzago Novarese ha ospitato la terza prova del campionato italiano Quadcross e Sidecarcross by 24MX.  Galizzi nel Quadcross   In sella alle quattro ruote artigliate, dopo la prova di Chiusdino, che aveva visto la vittoria di Paolo Galizzi sul tracciato della Robinia, gestito dal moto club Bellinzago, Paolo Galizzi &egrave; stato ancora&nbsp; protagonista aggiudicandosi la vittoria sulla sua Yamaha GF Racer.  Il lombardo ha sfruttato le sue doti di starter e ha messo a segno partenze fulminee in tutte e tre le manche disputate, controllando gli attacchi del rivale Patrick Turrini, anche lui su Yamaha. Galizzi porta a casa una tripletta che gli vale un sorpasso importante in vetta alla classifica di campionato. Adesso, infatti, Galizzi &egrave; il nuovo leader della Qx1, con Turrini che lo segue staccato di 6 punti.  Poca fortuna per il tedesco Miro Cappuccio su Yamaha, secondo in gara1 e costretto a dare forfait nelle manche successive per una caduta al via che gli costa un infortunio alla spalla. Il terzo posto di giornata va cos&igrave; ad Amerigo Ventura Montecamozzo su Yamaha Tity &amp; Amarenas.  Pozzi-Walti nel Sidecarcross  Nel campionato italiano Sidecarcross a Bellinzago sono Pozzi-Walti a farla da padroni: i portacolori di Gardone&nbsp; Riviera s&rsquo;impongono infatti in entrambe le manche. Bella la battaglia soprattutto in gara1, dove i vincitori arrivano con un vantaggio esiguo su Lasagna-Lasagna, alfieri del Motor&rsquo;s club Panicale. In gara2, invece, il distacco tra i primi due equipaggi &egrave; pi&ugrave; marcato, ma nonostante il secondo posto l&rsquo;equipaggio dei fratelli Lasagna passa in testa al campionato, con 26 punti di vantaggio proprio su Pozzi-Walti.  Il terzo posto di giornata va ai giovani umbri Fiorini-Fiorini (Scorpioni), staccati dal duo di testa ma comunque in costante crescita.  Nelle altre categorie del quadcross, Marco Barbagli (Yamaha Castelfiorentino) &egrave; il vincitore della Sport, davanti a Leonardo Cazzulo (Yamaha Piccirilli) e Michele Marco Monti (Suzuki Migliori Sm Action).  La classe Veteran va a Davide Gigli (Yamaha Garfagnana), che precede Rodolfo Salustri (KTM Monaco) e Alessandro Fontanazzi (Kawasaki Tity &amp; Amarenas).  Andrea Zucca (KTM Gf Racer) prosegue il suo dominio nella Junior ai danni di Simone Chiappone (Yamaha Gf Racer) e Marco Salustri (KTM Monaco).  La classe Trofeo &egrave; ancora appannaggio di Umberto Caronna (Rotax Castelfiorentino) su Riccardo Carozza (Suzuki Piccirilli).  Per il campionato italiano Quadcross e Sidecarcross by 24MX ora ci si sar&agrave; un solo weekend di pausa prima di tornare nuovamente in pista: il prossimo appuntamento, infatti, &egrave; fissato per il 20 settembre a Chieve, in provincia di Cremona.  Fogarty e la disavventura nel fango 

A Bellinzago il lombardo si aggiudica la seconda gara consecutiva e balza in testa al campionato. Nei sidecar vittoria Pozzi-Walti, ma i fratelli Lasagna sono in vetta al tricolore &nbsp;

Quadcross: a Bellinzago Paolo Galizzi raddoppia

La pista senese di Chiusdino ha ospitato la seconda prova del campionato italiano quadcross e sidecarcross by 24MX in un weekend torrido, con tanti colpi di scena.  Entrambi i campionati arrivavano dal primo round a Trofarello rispetto al quale ci sono state diverse sorprese.  Quadcross per Galizzi   Paolo Galizzi&nbsp;su Yamaha Gf Racersale sul gradino pi&ugrave; alto del podio della classe Qx1 internazionale, al termine di tre manche tutte col fiato sospeso. Grazie a partenze perfette e una guida costante, il lombardo conquista due secondi e un primo posto, che gli bastano per aggiudicarsi la giornata e recuperare 10 punti in classifica a&nbsp;Patrick Turrini, anche lui su Yamaha &ndash; Gf Racer, rallentato da una caduta in gara-2 dopo aver vinto la prima batteria con una clamorosa rimonta dall&rsquo;ultima posizione. Completa il podio Simone Mastronardi su Yamaha &ndash; Piccirilli, risparmiato dai problemi meccanici solo nella finale Supercampione, in cui conquista la prima vittoria della stagione.  Alessandro Fontanazzi&nbsp;su Kawasaki &ndash; Tity &amp; Amarenas &egrave; il vincitore della classe Veteran. Davide Gigli su Yamaha Garfagnana &egrave; secondo e passa in testa al campionato. Terzo Rodolfo Salustri su KTM&nbsp; Monaco.  Nella Junior successo di&nbsp;Andrea Zucca&nbsp;su KTM &ndash; Gf Racer, che ha la meglio su Simone Chiappone (Yamaha &ndash; Gf Racer) e Marco Salustri (KTM &ndash; Monaco). La Trofeo va a&nbsp;Umberto Caronna&nbsp;(Rotax &ndash; Castelfiorentino), davanti a Roberto Vendetta (Suzuki &ndash; Petriglia) e Riccardo Carozza (Suzuki &ndash; Piccirilli).  Nelle altre categorie quad, la Sport regala battaglia con Gianmarco Monaci&nbsp;(Kawasaki &ndash; Scorpioni), che precede di un solo punto il capoclassifica Marco Barbagli (Can Am &ndash; Castelfiorentino) e di tre Paolo Pucci (Rotax &ndash; Castelfiorentino).    I fratelli Lasagna nel Sidecarcross   Fra i sidecari fratelli Ivo e Ivan Lasagna, campioni in carica, riscattano la prova opaca di Bellinzago e si aggiudicano la vittoria assoluta portando sul gradino pi&ugrave; alto del podio i colori del Motor&rsquo;s club Panicale. I fratelli Lasagna sfruttando anche i problemi tecnici in gara-2 degli svizzeri&nbsp;Heinzer-Betschart, dominatori della prima manche. Ora gli elvetici comandano la classifica di campionato, con 17 punti di vantaggio sul duo umbro. A Chiusdino la terza posizione va a&nbsp;Bernardini-Pasqui&nbsp;(Baglioni), che precedono di un soffio Fiorini-Fiorini (Scorpioni).  Buono il lavoro sulla pista del moto club Edo racing MX team, che per tutta la giornata si &egrave; impegnato per controllare nel migliore dei modi la minaccia della polvere, grazie anche alla collaborazione preziosa degli staff di FXAction Group e di FMI.  Il campionato italiano quadcross e sidecarcross by 24MX va ora in vacanza per poco meno di un mese. Il prossimo appuntamento &egrave; per il 6 settembre a Bellinzago Novarese.  Doping: stagione finita per Iannone, l&#39;udienza sar&agrave; a ottobre 

Vittoria per Paolo Galizzi davanti a Patrick Turrini e Simone Mastronardi nel Quadcross, i campioni italiani in carica&nbsp;Ivo e Ivan Lasagna&nbsp;si aggiudicano il secondo round del Sidecarcoss

Quadcross e Sidecarcross: sorprese e conferme a Chiusdino

Gran debutto per il Campionato Italiano Quadcross e Sidecarcross, che ha regalato gare combattute ed entusiasmanti sul tracciato di Trofarello, dove erano presenti anche il Coordinatore Motocross FMI, Andrea Barbieri, e il Presidente del Comitato Regionale Piemonte FMI, Walter Carbone, e il Coordinatore Comitato Quad FMI, Antonio Assirelli.  Quadcross: il Campione italiano non stecca la prima   A mettere il sigillo sul primo appuntamento 2020 &egrave; stato il campione in carica Patrick Turrini (Yamaha &ndash; Gf Racer), che si &egrave; imposto in tutte e tre le manche riservate ai quad Qx1, tenendo a bada gli arrembanti Andrea Cesari (Yamaha &ndash; Tity &amp; Amarenas) e Paolo Galizzi (Yamaha &ndash; Gf Racer).  A primeggiare nella classe Sport &egrave; stato Marco Barbagli (CanAm &ndash; Castelfiorentino), primo davanti a Leonardo Cazzulo (Yamaha &ndash; Piccirilli) e Paolo Pucci (CanAm &ndash; Castelfiorentino), mentre Rodolfo Salustri, nella categoria Veteran, &egrave; riuscito a spuntarla su Davide Gigli (Yamaha &ndash; Garfagnana) dopo un grande duello, dove decisivo si &egrave; rivelato il piazzamento nella Supercampione. A chiudere la Top 3, Alessandro Fontanazzi (Kawasaki &ndash; Tity &amp; Amarenas).  Nella Junior, invece, &egrave; stata Marta Gerotti (TM &ndash; Gf Racer) a conquistare il successo davanti a Simone Chiappone (Yamaha &ndash; Gf Racer) e Andrea Zucca (TM &ndash; Gf Racer), mentre Umberto Caronna (Rotax &ndash; Castelfiorentino) ha chiuso davanti a Riccardo Carozza (Suzuki &ndash; Piccirilli), nella categoria Trofeo.  Sidecar: Trofarello sorride ai Campioni del Mondo   Nei sidecar, invece, le due manche di gara sono state appannaggio dei Campioni del Mondo in carica Bax e Musset, che hanno avuto la meglio sull&rsquo;equipaggio Heinzer-Betschart, vicino al successo in Gara 2. In terza piazza assoluta il duo Pozzi-Ceresa (Gardone Riviera), mentre i campioni in carica Lasagna-Lasagna (Panicale) hanno chiuso al quarto posto. 

I favoriti della viglia non hanno tradito le attese, imponendosi in tutte le manche di gara del primo appuntamento della stagione

Quadcross e Sidecarcross, Trofarello: Turrini e Bax-Musset dominano il weekend

Nel 2002 le moto da Gran Premio hanno voltato pagina: le MotoGP con motori a quattro tempi (inizialmente di 990 cm3), hanno sostituito le 500 a due tempi. Questo passaggio di consegne si &egrave; rapidamente esteso anche alle altre classi. Il 2009 &egrave; stato l&rsquo;ultimo anno per le 250, il cui posto &egrave; stato preso la stagione seguente dalla Moto2. Infine, dopo il 2011 sono uscite di scena le 125, sostituite l&rsquo;anno successivo dalle Moto3. Anche in questi due casi si &egrave; passati dai motori a due tempi a quelli a quattro tempi. L&rsquo;obiettivo era quello di realizzare nuove moto in grado di fornire prestazioni pi&ugrave; o meno equivalenti a quelle dalle precedenti. Per ottenere questo &egrave; stato necessario dotare i nuovi 4T di una cilindrata ben maggiore rispetto ai 2T che andavano a sostituire&hellip; Nel caso della classe &ldquo;d&rsquo;accesso&rdquo; al Motomondiale, ossia della Moto3 di 250 cm3 e della precedente 125, pu&ograve; essere interessante effettuare un confronto in ottica tecnica.&nbsp;  Un confronto che inizia parlando della struttura. Ovvio, i due tempi sono molto pi&ugrave; semplici dal punto di vista costruttivo. Niente organi della distribuzione e niente circuito di lubrificazione (con tanto di pompe, filtri e scambiatori di calore), testa ridotta a un semplice coperchio del cilindro, con massima libert&agrave; per quanto riguarda la conformazione della camera di combustione. Per&ograve; i 2T richiedono un albero a gomiti composito e cuscinetti di banco e di biella a rotolamento. Si potrebbe obiettare che anche i monocilindrici a quattro tempi adottano praticamente sempre questo stesso schema costruttivo. Gi&agrave;, quelli di serie, ma non quelli delle Moto3, per i quali si &egrave; passati alla soluzione che prevede un albero monolitico con biella dotata di testa scomponibile e di una bronzina (in due parti ovviamente). Questo perch&eacute; le forze in gioco sono cospicue e il regime di rotazione, anche se limitato dal regolamento, rimane comunque elevato; la massima rigidezza &egrave; fondamentale. Inoltre la durata richiesta &egrave; considerevole, per dei motori da competizione.  Un&rsquo;importante differenza tra i due tipi di motore &egrave; costituita dal fatto che in quelli a due tempi l&rsquo;aspirazione non &egrave; diretta (come nei 4T) ma indiretta. La miscela aria-carburante non viene infatti aspirata direttamente nel cilindro ma nel carter-pompa, dal quale successivamente viene inviata al cilindro stesso per mezzo dei condotti di travaso. Questo significa, tanto per cominciare, che sotto l&rsquo;aspetto fluidodinamico i motori a due tempi sono molto pi&ugrave; complessi di quelli a quattro. A rendere ancora pi&ugrave; complicata la situazione provvede il sistema di scarico che assicura un&rsquo;autentica sovralimentazione grazie allo sfruttamento delle onde di pressione, che contribuisce in misura assai significativa al riempimento del cilindro.    Nei 2T delle 125 da Gran Premio la situazione per quanto riguarda i travasi era praticamente standardizzata, con quattro laterali di portata e uno di correzione nella parete del cilindro opposta a quella di scarico. In quanto al sistema adottato per controllare l&rsquo;aspirazione, c&rsquo;era chi preferiva le lamelle e chi invece adottava una valvola a disco rotante. L&rsquo;Aprilia &egrave; sempre rimasta fedele a questo secondo sistema, che consente di ottenere una fasatura asimmetrica ma fissa e che permette di disporre di un condotto perfettamente libero da ostruzioni. La soluzione usuale &egrave; quella pi&ugrave; semplice, che prevede che il disco sia piazzato direttamente a un&rsquo;estremit&agrave; dell&rsquo;albero a gomito. In tal modo per&ograve; la miscela aria-carburante entra nella camera di manovella lateralmente e tende ad andare direttamente nella zona al di sotto del pistone. Una situazione eccellente ma non proprio ottimale ai fini del riempimento (e della lubrificazione dei rullini alloggiati nella testa della biella).&nbsp;  Per migliorarla si &egrave; pensato di piazzare il disco posteriormente, dietro la base del cilindro e con asse di rotazione perpendicolare a quello dell&rsquo;albero a gomiti. Costruttori come Konig (su un 4 cilindri boxer), Rotax (su un bicilindrico parallelo), Jawa e BBFT avevano gi&agrave; impiegato schemi di questo tipo quando esso &egrave; stato adottato dalla Aprilia per le sue ultime 125 ufficiali. In quest&rsquo;ultimo caso l&rsquo;asse di rotazione del disco non era centrale, ma spostato su di un lato. Ai fini della fluidodinamica questo non comportava alcuna differenza: la luce di aspirazione aveva egualmente la forma, le dimensioni e la posizione ottimali.  Le valvole a lamelle si aprono quando la pressione a valle (cio&egrave; nella camera di manovella) &egrave; inferiore a quella a monte, ossia alla pressione ambiente. La miscela aria-carburante che entra nel cilindro deve mantenere sollevate le lamelle per poter passare e questo comporta una lieve ma non trascurabile perdita di carico.&nbsp;  Il condotto presenta considerevoli variazioni geometriche e anche questo non &egrave; vantaggioso, dal punto di vista fluidodinamico. Per&ograve; queste valvole hanno il grande vantaggio di essere automatiche e di fornire una fasatura di aspirazione variabile in funzione delle effettive esigenze del motore. Inoltre, se il quinto travaso &egrave; in diretta comunicazione con il vano a valle del pacco lamellare, forti onde di pressione negativa provenienti dallo scarico possono far avvenire delle aperture secondarie delle lamelle, e anche questo &egrave; ovviamente positivo.&nbsp;  All&rsquo;atto pratico si &egrave; visto che le prestazioni in pista non differivano molto, adottando l&rsquo;una o l&rsquo;altra soluzione. In linea di massima con le lamelle il motore poteva essere un poco pi&ugrave; pronto nella erogazione quando si apriva il gas mentre con il disco poteva avere qualcosa di pi&ugrave; in alto, ossia in termini di potenza massima.  In quanto a schemi costruttivi e a soluzioni impiegate, i monocilindrici delle Moto3, che hanno una cilindrata di 250 cm3, possono in larga misura essere considerati autentiche &ldquo;fette&rdquo; dei 1000 a quattro cilindri. A differenza di quanto avveniva per le 125 da GP, per realizzare questi 4T i progettisti hanno dovuto tenere conto delle limitazioni poste dal regolamento. A essere interessati sono principalmente il massimo alesaggio (81 mm), le molle delle valvole (che non possono essere pneumatiche), il massimo regime di rotazione raggiungibile e il sistema di comando della distribuzione. Quest&rsquo;ultimo deve prevedere una catena, la quale pu&ograve; trasmettere il moto non direttamente ma con l&rsquo;ausilio di due o tre ingranaggi. Per i pi&ugrave; spinti tra i 1000 sportivi di serie a quattro cilindri si parla di potenze superiori a 215 cavalli (magari con un kit o con diversa mappatura pi&ugrave; scarichi speciali). Si potrebbe pensare che un monocilindrico di 250 cm3 ottenuto tagliando una fetta di uno di tali motori dovrebbe quindi erogare attorno a 54 cavalli. E che, una versione da corsa dovrebbe avere una potenza ancora pi&ugrave; elevata.&nbsp;    Si deve per&ograve; tenere presente che le potenze dei quadricilindrici in questione vengono erogate a regimi pi&ugrave; alti di quello massimo ammesso dal regolamento per le Moto3, che, quindi, potrebbero erogare potenze pi&ugrave; elevate di quelle attuali, andando per&ograve; incontro a maggiori problemi di affidabilit&agrave; e costi di manutenzione pi&ugrave; alti. I regimi di potenza massima della Honda CBR1000RR e della Ducati Panigale V4 R sono pi&ugrave; alti rispettivamente di 1000 e di 1750 giri/min.  Le ultime 125 da GP erogavano potenze leggermente superiori a 50 cavalli e le attuali Moto3 sono su valori analoghi. Una differenza significativa &egrave; costituita dalla distanza tra il regime di coppia massima e quello di potenza massima, che risulta notevolmente maggiore per le 250 a quattro tempi (un vantaggio non da poco!). Per avere un&rsquo;idea, quando la Honda ha sostituito come moto da competizione &ldquo;entry level&rdquo; la 125 a due tempi RS 125 R con la Moto3 NSF 250R, la distanza in questione &egrave; passata da 700 a 2000 giri/min! Il regime al quale veniva ottenuta la potenza massima era molto simile in entrambi i casi (rispettivamente 12.250 e di 13.000 giri/min).  Dunque il motore a due tempi eroga pi&ugrave; o meno la stessa potenza di quello a quattro, che ha una cilindrata doppia. Ci&ograve; accade in questo caso, perch&eacute; il 250 della Moto3 &egrave; limitato dal regolamento in quanto a regime di rotazione. Se non ci fossero tale limitazione e quella relativa al massimo alesaggio consentito le cose starebbero diversamente. Basta pensare che i motori di Formula 1 dei primi anni Duemila sono arrivati ad avere potenze specifiche leggermente superiori a 300 CV/litro. I migliori 2T da GP hanno raggiunto i 400 CV/litro o poco pi&ugrave;. Dunque una potenza specifica pi&ugrave; alta ma non certo doppia!  Esaminando l&rsquo;evoluzione sub&igrave;ta dai motori da competizione nel corso degli anni salta agli occhi come, mentre per quelli a quattro tempi si &egrave; avuta una graduale riduzione del rapporto corsa/alesaggio, compatibilmente con l&rsquo;esigenza di contenere gli ingombri (e con i limiti eventualmente stabiliti dai regolamenti), per i 2T ci&ograve; non &egrave; avvenuto. Nelle attuali Moto3 tale rapporto, a causa del regolamento che limita l&rsquo;alesaggio, &egrave; 0,598. Risulta cio&egrave; molto inferiore rispetto a quelli che si impiegavano negli anni Sessanta, anche se assai lontano dallo 0,405 raggiunto da alcuni motori di F1 dei primi anni Duemila.  I motori 125 monocilindrici da competizione a due tempi di inizio anni Sessanta avevano un alesaggio di 54 mm e una corsa di 54 mm (spesso si arrivava a 54,5 per ottenere la cilindrata piena). Quelli dei primi anni Duemila, che erogavano una potenza pi&ugrave; che doppia, avevano le stesse misure caratteristiche. Sotto questo aspetto &ldquo;geometrico&rdquo; dunque non ci sono stati cambiamenti! La cosa si spiega facilmente. Ferma restando la cilindrata unitaria (125 cm3 nel nostro caso), la superficie laterale del cilindro aumenta al crescere del rapporto corsa/alesaggio. E siccome le luci si aprono nelle pareti della canna, si ha evidentemente un vantaggio. Occorre per&ograve; osservare che al crescere della corsa aumenta la velocit&agrave; media del pistone e con essa crescono le sollecitazioni meccaniche. Dunque, se le corse lunghe sono vantaggiose, non si deve esagerare in tale direzione. Le misure &ldquo;quadre&rdquo; sembrano il miglior compromesso.  MotoGP in staccata: freno e vado pi&ugrave; forte 

Il 2011 &egrave; stato l&rsquo;ultimo anno delle 125 nel Motomondiale. Dal 2012, infatti, la ottavo di litro a due tempi &egrave; stata sostituita dalla Moto3, 250 a quattro tempi. Ecco le differenze tecniche tra le due categorie

Tecnica: Moto3 Vs. 125GP, le piccole pesti del Motomondiale

PERSONAGGI E INTERPRETI: Ivano Beggio, fondatore e presidente della marca motociclistica Aprilia; Loris Reggiani, giovane pilota gi&agrave; vice campione del mondo della classe 125 su Minarelli, ora in forza alla Casa di Noale; Michele Verrini, personalit&agrave; eclettica di alto livello, ex corridore di motocross/enduro, giornalista specializzato, esperto di marketing e di relazioni, amico e manager di Reggiani.  AMBIENTAZIONI DIVERSE: Firenze, Forlimpopoli, Noale, Motomondiale 1985-87, Galliano Park di Forl&igrave; 2017.  ANTEFATTO: l&rsquo;Aprilia &egrave; una media azienda veneta dalle grandi ambizioni. Mentre altre fabbriche italiane di moto boccheggiano e sopravvivono a stento, il suo titolare, Beggio, mette in produzione modelli affascinanti per prestazioni, design e qualit&agrave;, guadagnando ogni giorno nuove quote di mercato. E crede profondamente nelle corse come veicolo pubblicitario e d&rsquo;immagine. Ha gi&agrave; ottenuto successi importanti nel motocross, ma &egrave; convinto che per crescere davvero sia indispensabile entrare nel grande giro, quello del Motomondiale. Ha coraggio &ndash; molti temono che si tratti di incoscienza pura, ritenendo che il confronto con i &ldquo;mostri&rdquo; giapponesi sia ormai improponibile &ndash; e un&rsquo;occasione. La afferra al volo. L&rsquo;occasione &egrave; una visita, a fine novembre del 1984, di Verrini (concessionario Aprilia a Firenze), che giunge a Noale con una specie di depliant, un prospetto a colori che ha fatto stampare e che mostra una motocicletta da corsa cos&igrave; come la vedono lui e Reggiani: una 250 nella cui vivace grafica spicca una grande &ldquo;A&rdquo;.  LA MOTO IN PARTE GI&Agrave; ESISTE: ha la ciclistica derivata da quella della Kawasaki bicilindrica in tandem con cui Reggiani ha corso nella precedente stagione ed &egrave; pensata per un motore dello stesso tipo che la Rotax, azienda con cui l&rsquo;Aprilia intrattiene stretti rapporti, ha gi&agrave; in catalogo per i piloti privati.  ARRIVA IL SI - &laquo;Il Presidente ascolta, guarda quei fogli stampati a colori e gli brillano gli occhi &ndash; racconta oggi Verrini &ndash; la tentazione &egrave; lampante. Mi congeda promettendo una risposta nel giro di una settimana. La telefonata arriva puntualmente: sintetica, una parola, due lettere. S&igrave;&rdquo;. L&rsquo;Aprilia realizza il telaio e provvede a procurarsi un motore Rotax standard. Verrini organizza il Team CR1 con Reggiani e un reparto corse a Forlimpopoli, citt&agrave; del pilota romagnolo. Qui le forme e le grafiche proposte sulla carta diventano una piccola serie di codoni, serbatoi e carenature in fibra di carbonio, fabbricati da uno specialista di Firenze.  LA MOTO &Egrave; COMPLETA: appena il tempo di provarla due volte in pista, a Misano e al Mugello, poi entra in una cassa, sale su un aereo e vola in Sudafrica dove, sul circuito di Kyalami, vicino a Johannesburg, &egrave; in programma la prima prova del Motomondiale 1985. (...) L&rsquo;articolo completo su Motosprint in edicola fino al 18 settembre. 

Il primo successo di Reggiani, nel 1987, sublim&ograve; un lavoro cominciato da zero con Beggio e Verrini

I tre anni che fecero grande l&rsquo;Aprilia

    Cupolino, gruppo ottico e parafango anteriore hanno un&rsquo;aria &ldquo;molto BMW&rdquo;, cos&igrave; come il cruscotto a due elementi.  &nbsp;  &nbsp;    &nbsp;            La Prova                      Super G                                 G 650 GS &egrave; la nuova sigla che identifica la monocilindrica BMW on-off. Per anni gli utenti sono stati legati alla lettera F (F 650 GS), associata ai modelli con i propulsori Rotax; ora, cessato il rapporto con il costruttore austriaco, la BMW si affida alla cinese Loncin per motorizzare i suoi nuovi monocilindrici.&Egrave; un progetto in cui la Casa bavarese crede molto, che segue una via diversa da quella percorsa con la serie G 650 X (Challenge, Country e Moto), moto interessanti dal punto di vista della guida ma costose. Questa nuova GS &egrave; figlia di un tempo in cui gli utenti fanno pi&ugrave; fatica a far quadrare i bilanci. Moto interessante ma dalle finiture meno curate rispetto a quelle cui ci avevano abituati i modelli precedenti. Sicuramente ha il vantaggio di un ottimo rapporto qualit&agrave;/prezzo. &Egrave; una moto che pu&ograve; accontentare una vasta gamma di motociclisti ma che non regala grosse emozioni: sincera e intuitiva, adattissima a chi ama girare gustando la strada e il panorama circostante.La prima cosa che si apprezza non appena si sale in sella &egrave; la posizione di guida, ma a patto di restare entro i 175 centimetri, misura oltre la quale si fatica ad inserire le ginocchia negli incavi del serbatoio. A voler trovare dei difetti, il manubrio &egrave; un po&rsquo; troppo largo, e se questo &egrave; ottimo per il controllo del mezzo, d&rsquo;altro canto alla lunga pu&ograve; risultare affaticante, soprattutto se non si &egrave; abituati. Altra piccola pecca &egrave; la leva del freno anteriore non regolabile.Buona invece la protezione offerta dal cupolino: a qualsiasi velocit&agrave; l&rsquo;aria non d&agrave; il minimo fastidio.Sin dai primi metri la moto risulta agile e reattiva nonostante il peso non proprio contenuto, e nel traffico cittadino ogni piccolo movimento del corpo si trasforma in un fulmineo cambio di direzione. Eppure portando la moto su strade con tornanti e curvoni veloci, la prima cosa che si apprezza &egrave; l&rsquo;ottima stabilit&agrave; offerta dall&rsquo;anteriore. Nonostante non si tratti di una supersportiva &egrave; possibile spingersi fino a pieghe interessanti, in misura minore sul lato destro perch&eacute; come si accenna a calcare la mano, il cavalletto sfrega sull&rsquo;asfalto. La forcella nella prima parte dell&rsquo;escursione &egrave; morbida e questo garantisce un buon assorbimento delle piccole asperit&agrave;, a vantaggio del comfort. Quando si passa a una guida pi&ugrave; aggressiva, la forcella affonda di pi&ugrave; e progressivamente la taratura si indurisce, cos&igrave; che l&rsquo;assetto non si scompone.L&rsquo;ammortizzatore a differenza della forcella ha una taratura sportiva. Questo fa s&igrave; che in accelerazione &ndash; e comunque si tratta della &ldquo;tranquilla&rdquo; accelerazione di un monocilindrico 650 &ndash; la moto non si sieda per cui &egrave; facile tenere la linea desiderata. A differenza della forcella, per&ograve;, la sospensione posteriore non riesce ad eliminare le asperit&agrave; del terreno che qui si sentono, anche se non creano un grosso fastidio.                          La piccola GS stupisce anche nella guida sportiva, perch&eacute; nonostante questa non sia la sua inclinazione, motore telaio e sospensioni la rendono divertente e poco impegnativa. Tornanti e curvoni vengono affrontati in modo disinvolto, regalando divertimento a basso coefficiente di rischio. Come si diceva pi&ugrave; sopra, la G 650 &egrave; molto intuitiva e le perdite di aderenza avvengono in maniera estremamente progressiva per cui c&rsquo;&egrave; tutto il tempo per capire quando non &egrave; il caso di insistere.Dove qualche limite salta fuori, piuttosto, &egrave; nell&rsquo;impianto frenante molto pigro; per giunta l&rsquo;ABS &egrave; troppo invasivo e quando &egrave; inserito risulta difficile fermare la GS nel punto desiderato, difetto che comunque viene alla luce solo nel momento in cui si utilizza la moto in modo pi&ugrave; sportivo. Andando a spasso, cio&egrave; usando la G 650 nel modo per cui &egrave; stata progettata, non si ha nessun problema. Disinserendo l&rsquo;aiuto elettronico le cose migliorano ma il problema comunque rimane, meno accentuato.Per ottenere buone decelerazioni bisogna agire con decisione ma senza arrivare al bloccaggio delle ruote, cosa che avviene con una certa rapidit&agrave;.                          Facendo il classico giro domenicale, a un&rsquo;andatura non sportiva, la GS offre grandi soddisfazioni. Solo a certi regimi si sente la sella vibrare ma non &egrave; cosa molto fastidiosa e comunque basta cambiare marcia o variare i giri del motore per sopire tutto. Il motore &egrave; una delle sorprese della G 650, la sua elasticit&agrave; &egrave; incredibile ed &egrave; ottimo il tiro ai medi regimi, che porta senza strappi fino ai 7000 giri, soglia di intervento del limitatore. Anche in basso il monocilindrico 650 non &egrave; male, intorno ai 4000 giri la moto ha un&rsquo;erogazione fantastica e nessuna incertezza. Ci si pu&ograve; spingere anche al di sotto ma con le marce pi&ugrave; lunghe &egrave; bene non scendere oltre i 3000.Le prestazioni sono discrete: oltre 167 km/h la velocit&agrave; massima e 13&rdquo;81 in accelerazione sui 400 metri, cio&egrave; qualcosa in pi&ugrave; della Yamaha 660 T&eacute;n&eacute;r&eacute; e qualcosa in meno della KTM 690 SMC. Il cambio ha innesti morbidi e precisi ma la corsa &egrave; abbastanza lunga. Buona &egrave; anche la frizione, impeccabile pure in condizioni di traffico cittadino.Una moto del genere invita anche a una prova sullo sterrato, naturalmente molto leggero. Il limite maggiore viene dalla tipologia di gomme: nate essenzialmente per uso stradale, sulla terra offrono uno scarso grip che si traduce in derapate mozzafiato. Anche in queste condizioni la GS &egrave; divertente e il peso non si sente affatto, qui il largo manubrio &egrave; proprio l&rsquo;ideale perch&eacute; consente un controllo del mezzo da moto da cross. L&rsquo;essenziale &egrave; disabilitare l&rsquo;ABS. Il motore pastoso e dolce fa s&igrave; che si possa gestire la guida in modo tranquillo perch&eacute; le reazioni sono molto morbide, le perdite di aderenza del posteriore si controllano con facilit&agrave;. Buona la risposta delle sospensioni, soprattutto la forcella: quanto detto per l&rsquo;asfalto vale anche sullo sterrato, dove per&ograve; la rigidit&agrave; dell&rsquo;ammortizzatore risulta pi&ugrave; fastidiosa nella guida, soprattutto quando si incontrano buche.                            &nbsp;              La tecnica              Un progetto senza tempo&nbsp;                          Sicuramente la maggiore novit&agrave; di questa moto &egrave; il motore. Abbandonata la collaborazione con lo storico partner Rotax, la BMW si &egrave; rivolta alla cinese Loncin per la fabbricazione dei propulsori. Il progetto &egrave; comunque BMW e l&rsquo;assemblaggio delle moto avviene a Berlino.Il nuovo motore &egrave; raffreddato ad aria e ha una distribuzione bialbero che comanda quattro valvole tramite punterie a bicchiere; le valvole d&rsquo;aspirazione hanno un diametro di 36 mm mentre quelle di scarico sono di 31 mm. &Egrave; inoltre dotato di doppia candela di accensione. Per ridurre le vibrazioni caratteristiche dei monocilindrici, la BMW ha dotato il suo motore di un contralbero di equilibratura Al banco abbiamo rilevato una potenza di 46,7 CV a 6800 giri al minuto ed una coppia massima di quasi 54 Nm a 5500 giri al minuto. Per i neopatentati &egrave; prevista una versione di potenza ridotta a 34 CV (25 kW), allestita in post montaggio. Bene il consumo: oltre 20 km con un litro di benzina, in un uso normale. Il serbatoio &egrave; stato posizionato sotto la sella in modo da migliorare la centralizzazione delle masse a vantaggio della guidabilit&agrave;. L&rsquo;alimentazione a iniezione impiega un corpo farfallato di 43 mm di diametro. Il cambio &egrave; a cinque rapporti.Per quel che riguarda il telaio, &egrave; una classica struttura monoculla sdoppiata in tubi quadri di acciaio. La forcella tradizionale ha steli di 41 mm &Oslash; e non ha nessun tipo di regolazione mentre l&rsquo;ammortizzatore &egrave; regolabile nel freno in estensione e nel precarico per mezzo di un comando remoto, e garantisce alla sospensione un&rsquo;escursione di 165 mm.La BMW G 650 GS monta all&rsquo;anteriore un disco freno di 300 mm &Oslash; con una pinza Brembo a due pistoncini mentre al posteriore c&rsquo;&egrave; un disco di 240 mm &Oslash; con pinza a un pistoncino. Come optional, a 400 euro &egrave; offerto l&rsquo;ABS disinseribile tramite un pulsante posto sul manubrio sinistro. L&rsquo;attivazione o la disattivazione pu&ograve; avvenire solo a moto ferma. Sui cerchi in lega sono montati pneumatici stradali, all&rsquo;anteriore nella misura di 110/80 R19 e al posteriore in quella di 140/80 R17; rispetto alla versione del 2007, che aveva una base tecnica molto simile, &egrave; pi&ugrave; largo. La strumentazione &egrave; minimalista: un grosso tachimetro analogico e un display che visualizza i giri motore ma risulta quasi illeggibile durante la guida. Abbiamo poi due trip per i chilometri percorsi parziali, uno totale e l&rsquo;orologio.                                        Identikit              &nbsp;                                  Motore        Monocilindrico 4T, raffreddato a liquido. Alesaggio e corsa 100 x 83 mm. Cilindrata 651,9 cm3. Compressione 11,5:1. Distribuzione DOHC, 4 valvole. Sistema integrato di alimentazione a iniezione elettronica e gestione digitale del motore BMS-C II, accensione a doppia candela. Lubrificazione forzata a carter umido. Avviamento elettrico.                    Trasmissione        Primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco in bagno d&rsquo;olio con comando meccanico. Cambio a 5 marce.                    Ciclistica        Telaio monoculla sdoppiata in acciaio. Sospensioni: anteriore forcella convenzionale con steli 41 mm &Oslash;, corsa 170 mm; posteriore progressiva, un ammortizzatore regolabile nel freno in estensione e nel precarico, corsa ruota 165 mm. Freni: anteriore 1 disco 300 mm &Oslash; con pinza flottante a 2 pistoncini; posteriore 1 disco 240 mm &Oslash;, pinza flottante a 1 pistoncino. Pneumatici: anteriore 110/80 R19; posteriore 140/80 R17.                          La pagella                                Linea          8                    Molto particolare, in pure stile BMW. Ricalca le versioni di maggior cilindrata: pu&ograve; piacere o meno ma &egrave; sicuramente personale.                          Finiture          7                    Di buon livello ma al di sotto degli elevatissimi standard cui ci ha abituato la BMW. Contenere il prezzo costringe a sacrificare qualcosa.                          Componentistica          8,0                    Anche in questo caso un buon livello generale, senza esasperazioni ma con una eccellente qualit&agrave; dell&rsquo;insieme.                          Motore          8,5                    Non eccelle in potenza ma nemmeno glie lo si chiede. Piace perch&eacute; &egrave; molto sfruttabile. Dolce ed elastico, fa dimenticare il cambio.                          Trasmissione          8                    Gli innesti sono precisi e avvengono senza incertezze, peccato per l&rsquo;elevata corsa della leva. Bene la frizione.                          Sospensioni          8,5                    Ben tarate anche se l&rsquo;ammortizzatore &egrave; un pelo duro. Volendo, consentono una guida se non sportiva, quanto meno brillante.                          Freni          6,5                    Poco sopra la sufficienza: sono il tallone d&rsquo;Achille di questa moto. Poca potenza e scarso feeling. L&rsquo;ABS &egrave; troppo invasivo.                          Strumentazione          7,0                    Ha una linea datata e un po&rsquo; seriosa. C&rsquo;&egrave; il minimo indispensabile. Il contagiri &egrave; pressoch&eacute; illeggibile.                          Comfort          8,5                    BMW &egrave; una garanzia, non ci si stanca mai. Comoda anche se l&rsquo;ammortizzatore &egrave; un pelo rigido. Bisogna abituarsi al manubrio largo.                          Guida          8,5                    Divertente e sincera, molto stabile e reattiva nei cambi di direzione. &Egrave; un piacere guidarla.                          Prezzo          9,0                    Veramente concorrenziale, soprattutto in rapporto al mezzo. Decisamente interessante, soprattutto di questi temp                                  I nostri rilevamenti              Velocit&agrave; max       167,1 km/h        Accellerazione da fermo                  Distanza in metri        0-400        0-1000                    Tempo in secondi        13&rdquo;81        27&rdquo;31                    Velocit&agrave; in uscita in Km/h        148,9        165,9                            Variazione velocit&agrave; in Km/h        0-100        0-160                    Tempo in secondi        5&rdquo;21        19&rdquo;75                    Distanza in metri        88,3        656,0              Ripresa da 60Km/h                  Distanza in metri        0-400        0-1000                    Tempo in secondi        13&rdquo;90        27&rdquo;95                    Velocit&agrave; in uscita in Km/h        139,7        163,1                            Variazione velocit&agrave; in Km/h        60-100        60-160                    Tempo in secondi        6&rdquo;11        23&rdquo;74                    Distanza in metri        137,1        812,5              Scarto al tachimetro                  Velocit&agrave; indicata        50 km/h        100 km/h        150 km/h                    Velocit&agrave; effettiva        46,3 km/h        93,5 km/h        140,0 km/h              Frenata                  Velocit&aacute;        Da 60 Km/h        Da 100 Km/h                    Metri        13,3        36,8              Peso effettivo                  Con il pieno di carburante        Asse anteriore        Asse posteriore                    199,2 kg        89,6 kg        109,6 kg              &nbsp;  &nbsp;              Il Banco              Potenza massima       34,3 kW (46,7 CV) a 6.800 giri/'              Coppia massima      53,7 Nm (5,48 kgm) a&nbsp;5500 giri/'        &nbsp;

La monocilindrica bavarese cambia direzione: pi&ugrave; economica e versatile

BMW G 650 GS: Prova verit&agrave;

  La BMW bicilindrica boxer R 1200 GS &egrave; ormai diventata un'icona ed oggi solo la sua gemella, la R 1200 GS Adventure, sembra avere un'immagine pi&ugrave; prestigiosa. Sfruttando il marchio GS, ormai divenuto un vero e proprio brand, BMW negli ultimi anni ha allargato la famiglia, accogliendo due bicilindriche parallele, la F 800 GS e la F 650 GS.  La prima ha l'animo a raggi e tasselli, la seconda un nome che ricorda la famosa monocilindrica equipaggiata con il propulsore Rotax, dalla quale derivava la moto che Richard Sainct port&ograve; per ben due volte (1999 e 2000) sul gradino pi&ugrave; alto del podio della Dakar. Ora quella moto non esiste pi&ugrave;, anche perch&eacute; BMW non collabora pi&ugrave; con la Rotax, ma con la cinese Loncin, che sta "sfornando" i nuovi monocilindrici 650. La pi&ugrave; piccola delle GS &egrave; quindi una moto piuttosto diversa rispetto a quella di qualche anno fa.      &Egrave; cambiata la sigla, G 650 GS (la F, ora, identifica una bicilindrica 800) ed il tipo di utenti per cui la moto &egrave; stata pensata (neofiti e appassionati che vogliono tornare in sella senza acquistare un mezzo troppo impegnativo).  Nella prima prova su strada, la G 650 GS ha dimostrato di avere delle buone doti dinamiche. &Egrave; maneggevole e ciclisticamente molto equilibrata. L'avantreno risulta stabile, sia nei tratti sconnessi, sia nei cambi di direzione, ma  a bassa velocit&agrave; non si appesantisce.  All'aumentare dell'andatura il feeling con la moto rimane buono, dato che l'ammortizzatore posteriore riesce a "sostenere" bene il retrotreno. Il rovescio della medaglia &egrave; una risposta un po' secca della sospensione posteriore sulle buche, dove, comunque, la moto rimane sempre in assetto, soprattutto per merito della forcella, che invece ha una taratura ottima, in grado di garantire un buon comfort senza creare problemi quando si guida in modo sportivo.Il motore &egrave; abbastanza elastico e vibra pochissimo, sia in accelerazione, sia mantenendo il gas costante. Per evitare di sentirlo strattonare, bisogna tenerlo sopra 2000 giri/' e per non farlo soffrire conviene cambiare marcia poco prima di quota 7000 giri/'. Quando si passeggia non &egrave; necessario oltrepassare i 4000 giri, mentre, volendo aggredire le curve, conviene tenere l'ago del contagiri tra 4000 e 6000 giri/'.Solo pregi? No, ci sono anche alcuni difetti. Quali? I freni non hanno molto mordente e l'ABS (un optional offerto a 400 euro, un prezzo molto competitivo) ha un funzionamento molto invasivo, tanto che, quando l'aderenza scarseggia, bisogna evitare di utilizzare il freno posteriore, oppure si &egrave; costretti a disattivare il sistema. L'altro punto debole della G 650 GS sono le finiture, piuttosto spartane. Va per&ograve; detto che questa monocilindrica &egrave; il modo pi&ugrave; economico per entrare nel pianeta BMW: 6950 euro chiavi in mano, con il primo tagliando incluso nel prezzo.      Il test completo della BMW G 650 GS lo trovate sul numero 4 di Motosprint, in edicola marted&igrave; prossimo         Guarda le foto        Riccardo Piergentili  

&Egrave; maneggevole e ciclisticamente molto equilibrata

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