        Nuova gara nel continente americano e seconda puntata della rubrica &ldquo;Paese che vai, pilota che trovi&rdquo;. Per la #RoadToAustin oggi vediamo tutti i piloti americani del Motomondiale, da quelli pi&ugrave; vincenti ai one season wonder. A differenza dell&rsquo;Argentina che ha prodotto solamente Porto, Rodrigo e Valentin Perrone, la scuola nordamericana del motomondiale ha prodotto un numero enorme di piloti, titolati o meno, che hanno dato spettacolo sui tracciati di tutto il mondo.&nbsp;  Kenny Roberts capostipite e primo titolato, Freddie Spencer l&rsquo;eroe delle due classi  Se qualche traccia di pilota americano si &egrave; intravista sul finire degli anni 60, &egrave; dagli anni 70 che dal Nord America arrivano in massa piloti dalle grandi doti di guida, provenienti dal campionato nazionale AMA. Il capostipite della colonia americana del Motomondiale &egrave;, senza dubbio, il grande Kenny Roberts. Kenny debutta in 250 nel 1974 con la Yamaha e non lascer&agrave; mai pi&ugrave; le moto di Iwata, diventandone team manager poi tra gli anni 80 e 90.&nbsp; Kenny arriva 4&deg; in 250 nel 1978 con due vittorie e due secondi posti, ma &egrave; in 500 che ottiene le fortune maggiori con ben tre titoli consecutivi tra il 1978 ed il 1980. Nel 1981 chiude terzo e nel 1983 chiude secondo per due punti alle spalle di Freddie Spencer. Un altro grande degli anni 80 e tre volte iridato proprio come il &ldquo;marziano&rdquo; Kenny Roberts &egrave; nientemeno che &ldquo;Fast&rdquo; Freddie Spencer, fino all&rsquo;anno scorso capo dello Steward Panel della FIM. Freddie debutta nel 1980 in 500 con la Yamaha ma sar&agrave; con la Honda che far&agrave; i risultati migliori. Nel 1983 batte di appena due punti Kenny Roberts, mentre nel 1985 fa la storia vincendo nello stesso anno 250 e 500. Dall&rsquo;86 la sua carriera &egrave; in discesa: solo 4 punti tra l&rsquo;86 e l&rsquo;88 prima di appendere il casco al chiodo. Nell&rsquo;89 &egrave; Giacomo Agostini a convincerlo a rientrare in scena: 33, 5 punti con un quinto posto in spagna come miglior risultato in gara. Centra 2 punti nel 93 con la ROC Yamaha.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Pat Hennen primo americano vincitore in 500, Randy Mamola re senza corona  Se Kenny Roberts &egrave; stato il primo americano iridato, Pat Hennen, che &egrave; scomparso lo scorso anno a 71 anni, &egrave; stato quello che ha centrato il primo successo in Top Class. Il nativo dell&rsquo;Arizona ha debuttato nel 1976 con Suzuki andando a bersaglio in Finlandia nello stesso anno. Hennen ha poi messo a referto altre due vittorie: una nel 1977 in Inghilterra e una nel 1978 in Spagna, stagione poi abortita dopo il secondo posto al Mugello per via di un incidente al Senior TT.&nbsp; Se Stirling Moss &egrave; stato il re senza corona per eccellenza in Formula 1, lo stesso ruolo lo ha ricoperto nel Motomondiale un certo Randy Mamola. Californiano di San Jose, Randy ha debuttato nel 1979 disputando tutte e tre le classi: 250, 350 e 500 in sella a Yamaha e Suzuki con tre podi in 250 e due in 500. Dal 1980 al 1982 vince 5 gare e sale altre 9 volte sul podio chiudendo due volte secondo il Mondiale: nel 1980 alle spalle di Kenny Roberts e nel 1981 alle spalle di Lucchinelli, mentre nel 1983 &egrave; terzo. Centra ancora il titolo platonico di vicecampione nel 1984 con la Honda alle spalle di Eddie Lawson e in Yamaha nel 1987 alle spalle di Wayne Gardner. Randy Mamola &egrave; stato uno dei primi funamboli del motomondiale, prima dell&rsquo;arrivo di Kevin Schwantz.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; La dinastia dei fenomeni: Lawson, Schwantz, Rainey, Kocinski  Abbiamo nominato poco fa Eddie Lawson parlando di Randy Mamola, ed ecco che apriamo questo capitolo ripercorrendo la sua storia. Californiano di Upland, Eddie debutta in 500 nel 1983 con la Yamaha dopo tre apparizioni in 250 con la Kawasaki nel 1981. Nel 1984 centra subito il bersaglio grosso vincendo il Mondiale davanti a Randy Mamola, mentre nel 1985 chiude secondo alle spalle di Freddie Spencer. Con Yamaha vince anche i titoli del 1986 e 1988 prima di accasarsi in Honda e portarsi a casa il suo quarto titolo iridato nel 1989. A conti fatti, Lawson &egrave; il pilota americano pi&ugrave; titolato.&nbsp; Se parliamo di funamboli non si pu&ograve; non citare il mitico #34 Kevin Schwantz. Texano di Houston, Kevin debutta direttamente in 500 con la Suzuki nel 1986. Nel biennio 86-87 raccoglie appena 13 punti, mentre dal 1988 si scatena. Nel 1988 vince in Giappone e Germania chiudendo ottavo, nel 1989 le vittorie diventano 6 per chiudere al quarto posto. Sfiora l&rsquo;iride nel 1990 trovando sulla sua strada un grande Wayne Rainey. Il binomio Schwantz-Rainey nei primi anni 90 d&agrave; vita a grandissimi duelli per vittorie e titoli iridati. L&rsquo;alloro per Kevin arriva nel 1993 ma in circostanze piuttosto &ldquo;fortunose&rdquo; per via dell&rsquo;incidente che interrompe la carriera di Rainey a Misano. Nel 1994 non riesce a difendere il suo numero 1 che finisce sul cupolino dell&rsquo;australiano Doohan. Schwantz chiude la sua carriera a met&agrave; del 1995 dopo un infortunio pesante al polso. Tra i fenomeni di fine anni 80 e inizio anni 90 &egrave; impossibile non citare il grande Wayne Rainey. Californiano di Los Angeles, Wayne debutta nel Mondiale in 250 nel 1984 con la Yamaha. Passa in 500 nel 1988 e subito chiude il campionato al terzo posto, arrivando poi secondo alle spalle di Lawson nel 1989. Dal 1990 fino a Misano 1993 la 500 &egrave; praticamente sua: tre titoli iridati consecutivi tra il 1990 ed il 1992. Mentre &egrave; avviato verso il quarto alloro consecutivo, il 5 settembre 1993 si interrompe bruscamente la sua carriera per via di un incidente a primo impatto banale ma che si rivela devastante per la sua colonna vertebrale che sbatte sul cordolo del Curvone spezzandosi e rendendo Rainey paraplegico.&nbsp; Tra la fine degli anni 80 e l&rsquo;inizio degli anni 90 il Motomondiale ha conosciuto anche John Kocinski. Nativo di Little Rock in Arkansas, John ha debuttato in 250 nel 1988 con la Yamaha. Nel 1989 vince due gare ma chiude solamente quattordicesimo. Il 1990 &egrave; l&rsquo;anno del suo primo ed unico alloro nel Motomondiale con 7 vittorie e 12 podi complessivi. Nel 93 inizia la stagione in Suzuki per trasferirsi in Cagiva. Corre in 500 dal 1991 al 1999 con Yamaha, Cagiva ed Honda centrando due terzi posti a fine stagione nel 1992 e 1994.  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Tale padre, tale figlio: Kenny Roberts Jr come pap&agrave; Kenny. Hayden ultimo iridato  Se in Formula 1 solamente Damon Hill e Nico Rosberg hanno bissato il titolo del proprio padre, nel Motomondiale l&rsquo;unico binomio titolato padre-figlio &egrave; quello dei Roberts, con Kenny Jr iridato nel 2000. Californiano di Mountain View, Kenny Jr debutta in 250 nel 1993 con la Yamaha. Ottiene risultati di rilievo nella quarto di litro solamente nel 1995 con un ottavo posto finale in campionato. Nel 1996 passa in 500 con la Yamaha, nel biennio 97-98 corre con la Modenas KR3 del padre Kenny Senior. Passa in Suzuki nel 1999, vince 4 gare e chiude al secondo posto alle spalle di Alex Crivill&eacute;. Con altre 4 vittorie vince il titolo del 2000 davanti a Valentino Rossi. Dal 2001 al 2005 centra altri tre podi con la Suzuki tra 500 e MotoGP, nel 2006 guida la KR211V nel team del padre centrando gli ultimi due podi della carriera. L&rsquo;ultimo iridato della dinastia americana &egrave; l&rsquo;indimenticato Nicky Hayden. Nativo di Owensboro, Kentucky Kid ha debuttato in MotoGP nel 2003 nel team ufficiale Honda Repsol al fianco di Valentino Rossi, instaurando con lui subito un grande rapporto di amicizia. Dal 2003 al 2008 Nicky corre con la Honda ufficiale vincendo in totale tre gare, una nel 2005 a Laguna Seca e due nel 2006, Assen e ancora Laguna Seca. Il punto pi&ugrave; alto in MotoGP &egrave; ovviamente il titolo iridato del 2006 davanti a Valentino Rossi per soli 5 punti. Nel 2009 passa in Ducati, tre soli podi fino al 2013 prima del ritorno in Honda nel biennio 2014-2015. Menzioni onorevoli  Tra i piloti americani passati dal Motomondiale bisogna ricordare, in rigoroso ordine alfabetico: Mike Baldwin, 6 podi nel Motomondiale tra il 1979 e il 1988, Cameron Beaubier, nel 2009 in 125 e in Moto2 nel biennio 2021-2022 senza risultati di rilievo, Doug Chandler, 6 podi in 500 tra il 1991 ed il 1994, Colin Edwards, 12 podi in MotoGP tra il 2004 e il 2011, John Hopkins, 4 podi in MotoGP con la Suzuki nel 2007, Ben Spies, 1 vittoria e 6 podi in MotoGP dal 2010 al 2012.       

Kenny Roberts Senior, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Kevin Schwantz, Wayne Rainey, John Kocinski, Kenny Roberts Jr e Nicky Hayden tra gli iridati della scuola americana

Dagli USA con furore: tutti gli americani del Motomondiale

        Due piste per raccontare un pilota. Jarama, in Spagna, alle porte di Madrid. Poi Anderstorp, Svezia, 400 chilometri da Stoccolma. Fabio Biliotti ha vissuto momenti decisivi su quei tracciati. A partire dal 1984, quando si present&ograve; sul circuito iberico dolorante, per la clavicola rotta alla 200 Miglia di Imola cinque settimane prima, lo spirito ferito dalle critiche. In riva al Santerno gli era successo di tutto. Nelle prove, un grippaggio dietro l&rsquo;altro.  Continua nella prossima pagina MotoGP: Martin e la maledizione del numero 1 &nbsp; La carriera di Fabio Biliotti  In gara una caduta al primo giro, la sua Honda 500 trasformata in una palla da bowling che aveva fatto strike atterrando un altro pilota e la faccenda era finita a cazzotti, l&rsquo;osso rotto a complicare le cose. Erano spuntate anche delle perplessit&agrave;, con i reporter pi&ugrave; smaliziati pronti a mettere in dubbio le capacit&agrave; dell&rsquo;aretino: si meritava davvero un posto nel Motomondiale, dove avrebbe affrontato la sua seconda stagione a tempo pieno? La risposta di Biliotti, ai tempi 27 anni, arriv&ograve; proprio in Spagna un mesetto dopo, con una nona piazza dal sapore speciale. Partito indietro, sotto la ventesima casella, riusc&igrave; a inserirsi nel gruppo degli ufficiali con una moto privata, &ldquo;pagata un rene&rdquo; e gestita un po&rsquo; alla buona. Il risultato gli frutt&ograve; i primi due punti iridati della carriera. E arrivarono pure le scuse di chi aveva gettato ombre sulle sue capacit&agrave;. A Jarama il toscano &egrave; stato spesso ispirato: 12 mesi pi&ugrave; tardi un&rsquo;altra Top 10, replicata pure nell&rsquo;86. Nella stagione successiva, ad Anderstorp, un duello fino all&rsquo;ultimo giro con un pilota in sella a un missile (Tadahiko Taira con la Yamaha ufficiale), nel quale la spunt&ograve; con un sorpasso alla penultima curva, luogo di memorie amare: in passato, proprio in quel punto, era stato tamponato da un rivale in quella che indica come una delle sue gare pi&ugrave; promettenti. Svezia e Spagna, dunque, fra riscatti, imprese, sconfitte e sfortune. L&igrave;, come negli altri Paesi che hanno ospitato il Circus iridato, Biliotti ha inseguito il sogno mai avverato di un ingaggio da parte di un team pronto a dargli un mezzo ufficiale. &Egrave; andata in un altro modo, fra collette fatte al bar (per la prima moto), pullman rimessi in sesto (l&rsquo;hospitality di quei tempi), azzardi (con le gomme da asciutto sotto l&rsquo;acqua in Belgio) e avversari americani che filavano come razzi (Freddie Spencer ed Eddie Lawson), il toscano si mise in mostra e a un certo punto venne pure corteggiato da una squadra di alto livello. Per&ograve;, alla fine, non se ne fece niente. Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Bilotti: l'intervista  Partiamo da Jarama: nel 1984, una delle tue gare migliori. &ldquo;Sarei potuto arrivare davanti a Barry Sheene e Reinhold Roth, quindi settimo, ma il dolore alla spalla mi rallent&ograve; nel finale. Venivo da una frattura rimediata alla 200 Miglia di Imola. L&igrave; ero partito molto carico, sulla scia della frustrazione accumulata durante le prove, nelle quali era andato tutto storto. Nella staccata delle Acque Minerali, in discesa, superai tre avversari. Davanti avevo Walter Migliorati, che fren&ograve; presto e tanto. Rischiavo di tamponarlo, cos&igrave; &ldquo;pinzai&rdquo; pi&ugrave; deciso. Mi si chiuse l&rsquo;anteriore e finii a terra. La mia moto lo travolse e lui non la prese affatto bene. Mentre ero a terra, con la clavicola rotta, inizi&ograve; a colpirmi sul casco. Un cazzotto, poi altri. Lasciamo perdere&rdquo;.  Eri in sella a una Honda tre cilindri privata.  &ldquo;Comprata l&rsquo;anno prima. Anzi, ne avevo prese due. Per la modica cifra di 105 milioni di Lire. Fu uno sbaglio, sarebbe stato meglio averne una sola e con tanti ricambi. Ma lo compresi dopo. Pensavo di dovermi presentare alla grande a livello d&rsquo;immagine, cos&igrave; mi ero comprato pure un pullman usatissimo dal Comune di Perugia, poi allestito con officina e zona notte. Fu un errore anche quello, perch&eacute; nel paddock pensarono che fossi l&igrave; perch&eacute; avevo i soldi&raquo;. Ti trovavi bene con quella moto? &laquo;No. Infatti nel 1983, la mia prima stagione a tempo pieno nel Motomondiale dopo la vittoria dell&rsquo;Europeo 500, raccolsi poco. L&rsquo;anteriore non dava fiducia e si cadeva spesso per chiusure davanti. Allora provammo a stravolgere le cose: passammo da una gomma da 16 a una da 18. Un miglioramento ci fu, ma non grande. La Michelin non forniva un pneumatico di quella misura, cos&igrave; usavamo soltanto il loro posteriore. Davanti avevo Dunlop. Era una soluzione un po&rsquo; alla buona. Si sperimentava&hellip;&raquo;. Le Honda ufficiali erano diverse?  &ldquo;Un altro mondo&rdquo;.  Torniamo in Spagna: nel 1986 contendesti l&rsquo;ottava piazza a Juan Garriga e alla sua Cagiva ufficiale.  &ldquo;All&rsquo;ultimo giro, quando mi infil&ograve; nel primo tratto della pista non mi preoccupai, perch&eacute; sapevo che avrei avuto la mia occasione in uscita dalla curva finale, dove ero superiore. Ma proprio quando stavo per affiancarlo, Garriga inizi&ograve; a &lsquo;zigzagare&rsquo;. Esageratamente. Dovetti chiudere il gas per due volte e gli finii dietro&rdquo;.  A proposito di volate: un anno pi&ugrave; tardi, in Svezia, la lotta con Taira, che guidava una Yamaha di quelle buone, affidata al team di Giacomo Agostini.  &ldquo;Lui mi sverniciava nel rettilineo, io mi rifacevo sotto nel misto e lo ripassavo. All&rsquo;ultimo giro decisi di restare nascosto fino alla penultima staccata. Lo infilai e gli arrivai davanti, dodicesimo. &Egrave; stato bello&rdquo;.  Ad Anderstorp anche qualche amarezza, per&ograve;. &ldquo;Nel 1985 stavo facendo una gara esagerata. Poi Gustav Reiner mi tampon&ograve; nella stessa frenata in cui avrei superato Taira due anni dopo. Finii nella via di fuga, che era una specie di stagno perch&eacute; alcune ore prima aveva piovuto. Caddi, mi rialzai, rientrai ai box e ripresi la gara con quattro giri di ritardo. Giravo bene. Fu un peccato&rdquo;.  Quell&rsquo;anno arriv&ograve; il riscatto a Imola dopo la caduta del 1984.  &ldquo;Nella 200 Miglia finii quarto dietro Lawson, Randy Mamola e Takazumi Katayama. Ero entrato a far parte del Team Italia, legato alla Federazione Motociclistica Italiana, che mi aveva dato un motore nuovo. Avere materiale fresco era importante. Dopo un po&rsquo; i freni iniziavano a vibrare, altri componenti si rovinavano o consumavano. Noi privati, spesso al limite con le finanze, ci arrangiavamo. Gli ufficiali invece cambiavano sempre tutto&rdquo;.  Hai mai avuto un assaggio delle moto &ldquo;buone&rdquo;?  &laquo;Una volta a Misano, quando il Team Gallina mi fece guidare una Suzuki nel turno di prove di un Gran Premio. Mi aspettavo un motore che andava come un missile, invece la differenza la trovai in un altro aspetto&rdquo;.  Quale?  &ldquo;Aveva pi&ugrave; coppia, un&rsquo;erogazione migliore. La potenza c&rsquo;era, ma in basso, non in alto. Le curve che con la mia Honda clienti affrontavo in seconda, con quella le facevo in terza. Mi sembr&ograve; pi&ugrave; facile. Anche se in un turno non &egrave; che ci si capisca troppo&rdquo;.  Era dura essere un privato?  &ldquo;Un caro amico diceva che se avessi espresso in un&rsquo;attivit&agrave; imprenditoriale l&rsquo;impegno che mettevo nelle corse, sarei diventato miliardario. Avevo i miei sponsor e quando serviva, anche se &egrave; successo raramente, cercavo di inventarmi qualcosa in pi&ugrave;. Per esempio, all&rsquo;epoca era uso comprare un appartamento con un compromesso fatto tra le parti, senza notaio. Su un prezzo concordato di 50 milioni, pensando si potesse vendere pi&ugrave; caro, magari davo un acconto di 5, prendevo tempo per l&rsquo;atto di vendita e nel frattempo trovavo un cliente che lo acquistava a 60. La moto con cui iniziai, a diciannove anni, la comprammo facendo una colletta al bar, fra amici. Costava due milioni e mezzo: una Suzuki Titan 500, per le gare in Salita&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Fabio Biliotti: Potevo essere miliardario...  L&rsquo;inizio direttamente nella mezzo litro.  &ldquo;Come andare a scuola partendo dalle superiori e non dalle elementari. Infatti, di errori ne ho fatti parecchi. A un certo punto, per esempio, un collaboratore ed ex pilota mi sugger&igrave; di passare alla 250, nella quale i privati se la potevano giocare. Ma io, testardo, lo vedevo come un passo indietro. Dalla classe regina a quella di mezzo? No!&rdquo;.  Nel Mondiale 500 con il tuo pacchetto non potevi vincere, lo sapevi.  &ldquo;Il mio sogno era esprimermi con una moto ufficiale. Arrivare a ottenerla. Quando nel 1982 vinsi l&rsquo;Europeo, dietro di me arriv&ograve; un inglese al quale diedero subito una moto buona per l&rsquo;anno dopo. Era del Team Heron-Suzuki. Qualche contatto con loro lo ebbi anch&rsquo;io, in realt&agrave;. Ma pi&ugrave; avanti. Poi le cose non si concretizzarono&rdquo;. Azzardi?  &ldquo;A Spa-Francorchamps nel 1988, pista bagnata. Pensavo spuntasse il Sole e partii con le gomme da asciutto. Il meteo in effetti miglior&ograve;, ma poi venne gi&ugrave; acqua di nuovo. In quel periodo mica si tornava ai box per cambiare moto o pneumatici. Finii con le gomme da asciutto&rdquo;.  Fra i tuoi avversari, chi ti impressionava?  &ldquo;Lawson, per la guida. Una volta ad Anderstorp mi fermai a bordo pista per un problema e restai l&igrave; per un po&rsquo; come spettatore. Lui apriva il gas molto pi&ugrave; degli altri, la moto composta, tantissima efficacia. Spencer port&ograve; linee nuove, spigolava. Era pi&ugrave; lento a centro curva ma migliore in accelerazione. Oltre ai due americani, c&rsquo;era l&rsquo;australiano Wayne Gardner. Guidava veramente cattivo&rdquo;.  &Egrave; vero che hai provato una Formula 3?  &ldquo;A Donington, mi pare nel 1987. Era di un amico che faceva il campionato inglese. Non avevo mai guidato un&rsquo;auto a ruote scoperte. Girai pi&ugrave; forte di lui, a un paio di secondi dai tempi giusti. L&igrave; probabilmente iniziava il difficile&rdquo;.  Mai pensato di passare alle quattro ruote?  &ldquo;Costavano pi&ugrave; delle moto, quindi no!&rdquo;.        

"Ho sempre corso con il desiderio di salire su una moto uffciale: accadde soltanto in un turno di prove..."

Fabio Bilotti, una vita da privato | C'ho provato

        A cavallo tra novembre e dicembre, Jerez ha ospitato la prima edizione dei FIM Intercontinental Games, la sfida a squadre tra sei formazioni, rappresentative dei Continenti: 48 i piloti coinvolti, otto per formazione, met&agrave; nella Supersport 300 con le Yamaha R3 e met&agrave; nella Supersport con le R7, con almeno una donna per team. L&rsquo;Europa ha avuto la meglio con 14 lunghezze di vantaggio sull&rsquo;Asia, grazie ai 46 punti di Elia Bartolini in Supersport, ai 44 di Tomas Alonso e ai 40 di Alessandro Di Persio. Hanno portato punti importanti ai vincitori anche Enzo De La Vega, Josephine Bruno, Gonzalo Sanchez Melendez, Roberta Ponziani e Valentin Folger. Si tratta per lo pi&ugrave; di giovanissimi ed emergenti, non certo nomi noti al grande pubblico. C&rsquo;erano invece piloti leggendari, negli anni Settanta e Ottanta, a dare vita alle avvincenti gare del Transatlantic Trophy, la sfida a squadre che inizialmente vedeva opposti britannici e statunitensi. Dal 1984, con l&rsquo;indebolimento della scuola inglese padrona di casa, la squadra d&rsquo;Oltremanica si allarg&ograve; ai Paesi del Commonwealth, ospitando l&rsquo;australiano Wayne Gardner e il neozelandese Graeme Crosby. L'iride di Tomac | Quella (S)Volta Che Il Transatlantic Trophy  Nel 1988 la competizione cambi&ograve; nome in Eurolantic Challenge e le squadre in campo divennero quattro, due britanniche, una americana e un&rsquo;europea capitanata dallo svedese Anders Anderson: gli altri capitani erano Bubba Shobert per gli Stati Uniti (che beneficiavano anche di quattro canadesi), Ron Haslam per UK 1 e Roger Marshall per UK 2. Il team europeo schierava nomi di secondo piano come i tedeschi Peter Rubatto e Michael Galinski, i finlandesi Jari Suhonen ed Esko Kuparinen, il belga Paul Ramon, l&rsquo;austriaco Hans Lindner e persino l&rsquo;australiano Graeme McGregor. Poca cosa rispetto all&rsquo;inizio degli anni Ottanta, quando l&rsquo;interesse era notevole, cos&igrave; come gli ingaggi. A fare la storia dell&rsquo;edizione 1980, disputata dal 4 al 7 aprile su tre tracciati britannici, fu il diciottenne Freddie Spencer. A Brands Hatch fu il migliore in qualifica e si aggiudic&ograve; entrambe le manche: Kenny Roberts fu terzo in Gara 1 e secondo in Gara 2, davanti a Randy Mamola. Gli USA monopolizzarono il podio anche di Gara 2 a Mallory Park e di Gara 1 a Oulton Park e vinsero tutte e sei le manche: tre Roberts, due Spencer e una Mamola, l&rsquo;unico yankee a servirsi di una Suzuki 653 che altern&ograve; a una 500, mentre le altre stelle optarono per la Yamaha 750. Gli ospiti, vincitori gi&agrave; l&rsquo;anno prima malgrado i tre successi di Barry Sheene, trionfarono con 442 punti, +72 sui rivali. E i tre fenomeni capeggiarono la classifica individuale: 92 punti Roberts, 76 Spencer e 74 Mamola. Ancora pi&ugrave; impressionante lo squadrone che gli USA presentarono nel weekend di Pasqua del 1984, con i primi quattro del Mondiale 500 dell&rsquo;anno precedente: Roberts ed Eddie Lawson con le Yamaha TZR 500, Wayne Rainey con la TZ 500, Spencer (nella foto di copertina) e Mamola con le Honda NS 500, Mike Baldwin e Wes Cooley con le Honda RS 500: la versione motociclistica del Brasile calcistico del 1970 che schierava cinque numeri 10 guidati da Pel&egrave;. Nove le gare corse, a Donington, ma Rainey le salt&ograve; per un infortunio in prova mentre Spencer cadde dopo aver vinto due manche fratturandosi entrambi i piedi. Anche Ron Haslam fin&igrave; a terra e cos&igrave; la Honda viet&ograve; ai suoi piloti le gare extra-calendario. Mamola colse tre successi e Roberts l&rsquo;ultimo round con gli USA che quasi doppiarono i padroni di casa: 259 punti a 136. Anche con alcuni membri a mezzo servizio, quella squadra era ingiocabile. MotoGP, Bagnaia battuto ma con pi&ugrave; GP vinti | Quella (S)Volta Che       

A inizio anni &lsquo;80 la manifestazione consent&igrave;cagli Stati Uniti di schierare una squadra imbattibile: Roberts, Spencer, Lawson, Mamola e Rainey...

Il team dei marziani al Transatlantic Trophy | Quella (S)Volta Che

        Undici GP vinti da Pecco Bagnaia, tre da Jorge Martin. Eppure a conquistare il titolo 2024 della MotoGP &egrave; stato lo spagnolo, forte del minor numero di &ldquo;zero&rdquo; stagionali: appena quattro per l&rsquo;iberico, uno soltanto negli ultimi 11 GP, a fronte delle otto battute d&rsquo;arresto stagionali per il piemontese, equamente divise tra prima e seconda parte della stagione. I due contendenti hanno ottenuto lo stesso numero di podi domenicali, 16, ma Jorge ne vanta altrettanti nelle Sprint rispetto ai dieci del campione uscente. MotoGP, il tesoro di Marc Marquez | Quella (S)volta Che Bagnaia: i precedenti  Per molti tifosi tale punteggio &egrave; iniquo poich&eacute; non premia a sufficienza il trionfatore rispetto ai piazzati: il sistema, in vigore dal 1993, assegna 25 punti al vincitore del GP, 20 al secondo e 16 al terzo. Cinque erano i punti che separavano i primi due anche nel 1992, ma in termini percentuali valevano di pi&ugrave; perch&eacute; il vincitore incassava 20 punti e il primo dei piazzati 15, quindi il 25% in meno rispetto al 20% attuale. Tuttavia dal 1969 al 1991 la differenza era contenuta in appena tre lunghezze: fino al 1987 il vincitore otteneva 15 punti e il secondo 12, dal 1988 fino al 1991 il vincitore 20 punti, tre in pi&ugrave; rispetto al secondo. A giovarsene fu, nel 1989, nella classe 80 Manuel Herreros, mai vincitore nei sei GP in cui si articolava quell&rsquo;ultimo campionato della categoria (un caso di iridato senza successi di tappa meno noto rispetto all&rsquo;Emilio Alzamora del 1999 in 125). Met&agrave; delle gare di quella 80 furono appannaggio di Peter &Ouml;ttl, che per&ograve; chiuse l&rsquo;anno al terzo posto a causa di due &ldquo;zero&rdquo;. Due gare le vinse Herri Torrontegui, soltanto quarto nella classifica finale. A spingere Herreros (nella foto) furono quattro secondi posti, un quarto e un quinto. I piazzamenti permisero inoltre a Stefan D&ouml;rflinger di diventare vice campione: lo svizzero ottenne un secondo posto, due terzi e tre quinti. Nello stesso anno, in 500, Kevin Schwantz vinse sei GP ma cinque volte fu costretto al ritiro. Ci&ograve; releg&ograve; il texano in quarta posizione, alle spalle di Christian Sarron che non conquist&ograve; una sola gara, ma and&ograve; sempre a punti, tranne quando i big boicottarono Misano. Con quattro vittorie il campione fu Eddie Lawson, complici i sei secondi posti. Nel 1990 punteggi analoghi aiutarono Loris Capirossi a vincere a 17 anni e 165 giorni il titolo della 125, malgrado le tre vittorie rispetto alle cinque di Hans Spaan.  Bagnaia: il precedente di Herlings  Il precedente forse pi&ugrave; incredibile risale per&ograve; a dieci anni fa e riguarda la MX2 del mondiale Cross che gi&agrave; ai tempi applicava il punteggio attuale: 25 punti al vincitore di manche, 22 al secondo, 20 al terzo, 18 al quarto, 16 al quinto e via dicendo fino all&rsquo;unico punto del 20&deg;. Nel 2014 Jeffrey Herlings part&igrave; forte con tre successi di manche e un secondo posto nei primi due round. Dopo aver saltato il GP Brasile per un infortunio alla spalla, torn&ograve; a far valere la sua legge: delle successive 20 manche ne vinse diciannove con un secondo posto nella restante. Con tredici GP in archivio godeva di 145 punti di vantaggio su Jordi Tixier, primo inseguitore nonch&eacute; suo compagno di squadra nel Team KTM Factory. Ma a luglio, in una gara benefica, Herlings riport&ograve; la frattura del femore. La lunga inattivit&agrave; permise a Tixier, nei successivi tre GP, di risalire a -23. A quel punto, per l&rsquo;ultimo round in Messico Herlings prov&ograve; a tornare in sella ma, dolorante, fu soltanto 14&deg; e 10&deg; nelle due manche, mentre Tixier con un primo e un terzo posto oper&ograve; il sorpasso. Quell&rsquo;anno il francese fu campione pur vincendo appena tre manche e due soli GP mentre Herlings fu vice iridato con 22 successi di manche e 12 GP vinti. Altro che Bagnaia e Martin... Glenn Irwin, il coraggio di dire basta | Quella (S)Volta Che       

I precedenti di Alzamora, Herreros e Tixier, che beff&ograve; Herlings in MX2

MotoGP, Bagnaia battuto con più GP vinti: alcuni precedenti | Quella (S)Volta Che

        Come sappiamo gi&agrave; da qualche giorno, l&rsquo;Aut&oacute;dromo de Goi&acirc;nia ha firmato un contratto con Dorna per riportare in calendario nel 2026 il Gran Premio del Brasile che manca dal lontano 2004, quando la gara prendeva il nome di Gran Premio di Rio (a quel tempo si correva sul tracciato Jacarepagu&agrave; di Rio de Janeiro).&nbsp; Nonostante la presenza dell&rsquo;unico brasiliano del Motomondiale, ovvero Eric Granado, la gara brasiliana da quel lontano 2004 non &egrave; mai pi&ugrave; stata riproposta nel calendario iridato. Un vero peccato perch&eacute; sia il tracciato di Goiania che quello di Rio hanno prodotto delle bellissime gare. Ripercorriamo un po&rsquo; la storia del Gran Premio del Brasile Storie di promesse non mantenute  Ben prima che il GP del Brasile entrasse ufficialmente nel calendario del Motomondiale nel 1987 per restarci fino al 2004, ma in due tranche diverse di annate, nel 1954 in occasione del 400&deg; anniversario della scoperta del Brasile viene disputata una competizione conosciuta come Gran Premio del Brasile alla quale vengono invitati diversi piloti, anche europei attirandoli con la promessa di ricchi premi.&nbsp; Al momento della via della competizione, per&ograve;, l&rsquo;amara scoperta: le promesse non sono state mantenute, causando la cancellazione della gara in programma con ripercussioni sulla Federazione Motociclistica Brasiliana, bandita per diversi anni dai palcoscenici internazionali. MotoGP: Vinales crede in KTM e compra delle azioni della casa  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp; Da Goi&acirc;nia a Rio de Janeiro Passando per San Paolo  33 anni dopo il famoso gp del 1954, il Motomondiale finalmente fa tappa in Brasile: il primo Gran Premio si disputa il 27 settembre del 1987 in quel di Goi&acirc;nia, ci corrono solo 250 e 500. A trionfare in quella primissima edizione sono Dominique Sarron (fratello di Christian) in 250 e l&rsquo;australiano Wayne Gardner in 500 con la Honda. Anche nel 1988 corrono solo 250 e 500: la 250 &egrave; ancora di Sarron mentre la 500 di Lawson. Nel 1989, ultimo anno del motomondiale a Goi&acirc;nia, sono Cadalora (250) e Schwantz (500) a chiudere la storia del Motomondiale sul tracciato alle porte di Goiania. A fine 89 il Gran Premio del Brasile esce dal calendario per far ritorno successivamente nel 1992 ma sul circuito di Interlagos a San Paolo. In quella occasione corrono tutte e tre le classi con questi risultati: Dirk Raudies vince in 125, Luca Cadalora in 250, Wayne Rainey in 500. A fine 1992 un&rsquo;altra uscita di scena per tre anni prima del ritorno nel 1995. Nel 1995 il Motomondiale torna in Brasile e lo fa sul tracciato Jacarepagu&agrave; di Rio de Janeiro. La gara cambia anche denominazione in Gran Premio di Rio e non pi&ugrave; Gran Premio del Brasile. In quella stagione vincono Tokudome in 125, Romboni in 250 e Cadalora in 500. L&rsquo;anno successivo l&rsquo;ottavo di litro parla ancora giapponese con il successo di Haruchika Aoki, Jacque vince la 250 mentre la 500 &egrave; di Doohan. Nel 1997 Jacque e Doohan bissano i successi ottenuti l&rsquo;anno precedente mentre la 125 &egrave; di Valentino Rossi. Dopo aver saltato il 1998, la gara torna nel 1999 con due vittorie giapponesi su tre gare: Ueda e Abe vincono rispettivamente la 125 e la 500 mentre la 250 la vince Rossi.&nbsp; La stagione 2000 vede invece doppia vittoria italiana su tre gare: Sanna e Rossi rispettivamente in 125 e 500, Kato vince in 250. L&rsquo;anno successivo Ui e Kato vincono in 125 e 250 mentre a Rossi la gara della 500 nell&rsquo;ultimo anno di vita della classe.&nbsp; Nel 2002 tre lingue diverse per le tre gare: Azuma in 125, Porto (Argentina) in 250 e Valentino Rossi in MotoGP, gara che consegna a Valentino il titolo della nuova Classe Regina bissando quello ottenuto l&rsquo;anno prima in 500.&nbsp; Finalmente la Spagna! Nel 2003 Jorge Lorenzo interrompe il duopolio Giappone-Italia vincendo la gara della 125, il sanmarinese Poggiali vince la 250 e Rossi fa sua ancora la MotoGP. L&rsquo;ultima edizione, quella del 2004, ha visto invece i successi di Hector Barber&agrave; in 125, ancora Poggiali in 250 e Makoto Tamada in MotoGP davanti al compagno di squadra Max Biaggi per una bella doppietta del team Pons Honda.&nbsp; Continua l'articolo nella prossima pagina  &nbsp; Statistiche curiose  Il Gran Premio del Brasile (e quello di Rio) sono stati il terreno di caccia preferito dei piloti italiani con ben 11 successi nelle tre classi. Valentino Rossi comanda con 6 successi, 4 consecutivi in 500/MotoGP, poi Cadalora con tre successi, seguono Romboni e Sanna con 1 successo a testa. Non da meno rispetto all&rsquo;Italia anche il Giappone da quando la gara &egrave; a Rio, ben 9 affermazioni, 5 in 125, 2 sia in 250 che 500/MotoGP. Questo perch&eacute; il Brasile &egrave; un po&rsquo; la seconda casa dei giapponesi e il Brasile (soprattutto lo Stato di San Paolo) ospita la pi&ugrave; grande comunit&agrave; di origine giapponese del Mondo, 1.5 milioni di abitanti       

Curiosit&agrave; e dati statistici su una gara che nel 2026 potrebbe fare ritorno nel calendario del Motomondiale grazie all&rsquo;Aut&oacute;dromo de Goi&acirc;nia

Possibile ritorno del GP Brasile in MotoGP: la storia per farvi trovare pronti

        Tra 500 e MotoGP, colui che ha vinto pi&ugrave; gare in assoluto &egrave; forse il nome pi&ugrave; scontato, colui di cui abbiamo ancora dei ricordi ben nitidi nella nostra mente, ovvero Valentino Rossi. Nella sua ventennale carriera sono state ben 89 le volte che ha tagliato il traguardo per primo sia nella 500 sia nell&rsquo;era MotoGP. Un numero enorme che fino ad oggi nessuno &egrave; stato ancora in grado di battere.  Il podio delle vittorie completato da Agostini e Marquez  Nella seconda posizione di questa speciale classifica c&rsquo;&egrave; Giacomo Agostini. 15 volte Campione del mondo in varie classe, il pilota lombardo ha fatto risuonare l&rsquo;inno di Mameli per lui 68 volte, quindi 21 in meno rispetto al pesarese. Subito dietro di lui c&rsquo;&egrave; Marc Marquez, che pu&ograve; raggiungerlo tranquillamente. Infatti a separarli ci sono appena sei successi e gi&agrave; nel 2025 lo spagnolo potrebbe eguagliare il fuoriclasse italiano. MotoGP, Xaus su Marquez: "Vuole superare Rossi e conquistare il decimo titolo"  Continua l'articolo nella prossima pagina &nbsp;  Lorenzo meglio di Stoner ma peggio di Doohan  Al quarto posto segue Mick Doohan, a quota 54 successi, seguito da Jorge Lorenzo a 47. Il maiorchino si &egrave; ritirato nel 2019 dopo un&rsquo;annata difficile con Honda, con cui non &egrave; riuscito ad arrivare a vincere e tutti i suoi successi li ha quindi firmati con Yamaha, principalmente, e Ducati, tre. Poi &egrave; il turno di Casey Stoner, con 38 vittorie, e Mike Hailwood, che ne conta una in meno dell&rsquo;australiano.  Chi conclude la top 10?  Infine andiamo a scoprire gli ultimi tre nomi. Eddie Lawson con 31 successi &egrave; a pari merito con Dani Pedrosa, che nella sua carriera &egrave; sempre e solo stato un pilota ufficiale HRC. Appena dietro ecco Francesco Bagnaia, che con le 11 vittorie ottenute quest'anno ha raggiunto il tetto di 29 che punter&agrave; a migliorare nel 2025. Domenicali alla festa Ducati: "Ho chiesto a Gigi di vincere tutte le gare"        

Partendo proprio dagli inizi del Mondiale, ecco i nomi dei piloti che hanno vinto di pi&ugrave; nella storia, tra passato e presente

MotoGP e 500, chi sono i 10 piloti più vincenti della storia?

        Quale futuro per Daniel Ricciardo? Non ci sono ancora ufficialit&agrave; al riguardo, ma secondo i rumors provenienti dal paddock F1 l'ex Red Bull verr&agrave; sostituito da Liam Lawson in Visa Cash App RB a partire dal Gran Premio di Austin. E in tal senso, le parole pronunciate da Ricciardo dopo il GP Singapore hanno confermato le voci circolate negli ultimi giorni: &ldquo;Perch&eacute; mi sono commosso dopo la gara? Provo un sacco di emozioni, sono consapevole che potrebbe essere finita&nbsp;&ndash; ha dichiarato &ndash; ci sono emozioni, sentimenti e stanchezza nella mia reazione. Sono stato abituato a stare seduto in abitacolo per tanti anni&rdquo;. GP Indonesia MotoGP 2024: orari e programmazione Sky e TV8 Daniel Ricciardo, i desideri MotoGP e Nascar  In un'intervista a Tourism Western Australia, Daniel ha parlato pi&ugrave; apertamente dei suoi programmi venturi, ammettendo di voler provare la Nascar, ma anche la MotoGP. "Sono cresciuto guardando le gare della Nascar&nbsp;&ndash; ha detto il compagno di box di Yuki Tsunoda &ndash; mi piacerebbe guidarme una, magari a Daytona, per esempio. Ma non so se mi piacerebbe competere in una stagione intera.&nbsp;Ricciardo, che in F1 ha vinto 8 GP, non ha mai nascosto il suo amore per le due ruote, e ha ammesso che gli piacerebbe provare un prototipo della classe regina: "Adoro le moto. Guidare una MotoGP? S&igrave;, ma sarei molto, molto lento e probabilmente orrendo da guardare".&nbsp; Daniel non sarebbe certo il primo pilota del Circus a testare una MotoGP: come Lewis Hamilton, protagonista di uno "scambio" motoristico con Valentino Rossi a Valencia nel 2019, quando il britannico guid&ograve; la Yamaha M1 e il Dottore la Mercedes del sette volte titolato.         

L'avventura dell'australiano nel Circus sembra essere giunta al capolinea dopo il GP Singapore: "Adoro le moto, ma anche la Nascar"

F1, Daniel Ricciardo: "Mi piacerebbe provare una MotoGP"

        La MotoGP si appresta a tornare in pista e lo far&agrave; in Austria, sul circuito del Red Bull Ring, tracciato che dall'anno della sua introduzione in calendario nel 2016, ha visto trionfare quasi sempre la Ducati, con l'unica eccezione targata Brad Binder e KTM (2021). La moto di Borgo Panigale anche quest'anno resta la favorita per monopolizzare il podio, per competitivit&agrave; e conformazione del layout, in grado di esaltare particolarmente il potenziale Ducati. L'edizione 2024 sar&agrave; l'occasione per Pecco Bagnaia per cercare di conquistare il terzo sigillo consecutivo dopo le affermazioni del 2022 e 2023, andando cos&igrave; a diventare il pilota pi&ugrave; vincente di sempre al Red Bull Ring eguagliando Andrea Dovizioso. MotoGP, Bagnaia: "Marquez nel box? Sar&agrave; un successo o un disastro" Amdrea Dovizioso il pi&ugrave; vincente al Red Bull Ring Con le tre vittorie maturate nel 2017, 2019 e 2020, Andrea Dovizioso &egrave; al momento il pilota pi&ugrave; vincente di sempre al Red Bull Ring, precedendo Bagnaia, come detto a quota due trionfo, e poi Jorge Lorenzo, vincitore nel 2018, Andrea Iannone, nel 2016 e infine Brad Binder, vittorioso nel 2021. Il GP d'Austria &egrave; tornato in calendario nel 2016 dopo una lunga assenza durata 19 anni mentre per individuare la prima edizione bisogna risalire al 1971 quando si corse sul circuito del Salzburgring.&nbsp;Il circuito, situato presso Salisburgo, vede una serie di nomi leggendari tutti appaiati a quota tre successi.&nbsp; Su tutti Giacomo Agostini, vincitore di tre delle prime quattro edizioni e perci&ograve; nel 1971, 1972 (in sella alla MV Agusta davanti rispettivamente a Keith Turner e Guido Mandracci) e nel 1974 con Yamaha su Gianfranco Bonera. Anche Kenny Roberts vanta tre vittorie, ottenute nel 1978, 1979 e 1983 ai danni di Jonny Cecotto, Virginio Ferrari ed Eddie Lawson. A quota tre vittorie anche altri due americani: Eddie Lawson, vincitore nel 1984 su Freddie Spencer, nel 1986 su Wayne Gardner e nel 1988 su Didier De Radigues; e Kevin Schwantz, autore di tre successi nel 1989, 1990 e 1994, rispettivamente su Eddie Lawson, Wayne Rainey e Mick Doohan. Anche l'australiano rientra in questa speciale e peculiare classifica, grazie alle tre affermazioni maturate nel 1991 su Wayne Rainey, nel 1994 su Kevin Schwantz e nel 1997 su Tadayuki Okada.&nbsp;  Dorna ci ripensa: sar&agrave; di 22 il numero massimo delle titolari MotoGP       

Andiamo a scoprire quali sono i piloti pi&ugrave; vincenti di sempre al Red Bull Ring ed in generale nel GP austriaco

MotoGP Austria: Bagnaia in cerca del tris consecutivo e del record di Dovizioso

Il progetto Yamaha Racing Experience dopo aver toccato il Mugello nella passata stagione si trasferisce in Andalusia sul circuito di Jerez. In pista tanti campioni del presente di Yamaha come gli ufficiali SBK Jonathan Rea e Andrea Locatelli, i campioni del mondo EWC Niccol&ograve; Canepa, Marvin Fritz e Karel Hanika e del passato come il nove volte campione del mondo Valentino Rossi.  IL CASO TOPRAK &Egrave; (FORSE) CHIUSO: &ldquo;NIENTE MOTOGP NEL 2025, RESTER&Agrave; IN SBK&rdquo;  Una festa tra passato e presente  La Yamaha Racing Experience &egrave; una due giorni riservata ai possessori di Yamaha R1M che ogni anno la casa di Iwata organizza per celebrare il proprio marchio coi campioni del presente e del passato portando in pista nono solo le attuali Superbike Replica ma anche moto storiche del passato. E cos&igrave; ecco che Valentino Rossi prima di salire sulla R1 del team GYTR GRT WorldSBK &egrave; salito sulla YZR500 di Eddie Lawson seguito da Niccol&ograve; Canepa a bordo della pi&ugrave; recente 500 2t di Max Biaggi. Presenti come detto anche Andrea Locatelli salito sulla Yamaha 500 di Giacomo Agostini mentre a Jonathan Rea &egrave; capitata la YZR500 di Lawson. Marvin Fritz e i piloti YART si sono alternati in sella alla Yamaha TZ750 di Christian Sarron mentre Luca Cadalora ha riabbracciato la sua 250 del 1990 con la quale chiuse terzo il mondiale.  Quella in scena a Jerez &egrave; stata una vera e propria passerella di campioni e moto da sogno che i pochi privilegiatissimi possessori di Yamaha R1M hanno potuto godersi dal vivo mentre per gli altri appassionati non resta che attendere i video che Yamaha e gli stessi piloti caricheranno nei prossimi giorni.    VALENTINO ROSSI SULLA YAMAHA R1 DI REMY GARDNER A JEREZ 

Giornata intensa sul circuito andaluso dove la casa di Iwata ha portato in pista tutti i suoi campioni e alcune delle sue moto pi&ugrave; storiche in un mix assolutamente incredibile

A Jerez il Yamaha Racing Experience: i campioni di oggi sulle moto di ieri

        Dopo quasi un mese di sosta post Gran Premio d&rsquo;Italia al Mugello conquistato da Pecco Bagnaia, la MotoGP riparte dal primo back-to-back della stagione, Assen e Sachsenring con il moto-mercato che ha totalmente stravolto la griglia di partenza della prossima stagione. Dall&rsquo;annuncio di Marquez in Ducati ufficiale a cascata sono arrivati Martin e Bezzecchi in Aprilia, Acosta in KTM ufficiale con Vinales e Bastianini su quella di Tech3. Un bel rimescolamento di carte, e ancora non &egrave; finita&hellip; Non tutti sanno che&hellip;&nbsp; Il Gran Premio d&rsquo;Olanda fa parte del calendario del Motomondiale fin dalla sua prima edizione datata 1949. In tutto si sono disputate ben 91 gare e sempre sul tracciato di Assen, nelle tre configurazioni della pista. Dapprima il circuito stradale di 28.4 km, poi quello vecchio di oltre 6 km ed infine l&rsquo;attuale layout di 4,5 km.  Storia, caratteristiche, incidenti, episodi controversi avvenuti ad Assen  Il progetto originale del tracciato risale al 1925 ed era un pistone triangolare di 28,4 km tra i villaggi di Rolde, Borger e Schoonlo. C&rsquo;era per&ograve; un problema, la sede stradale. Era irregolare, a tratti sterrata e presentava anche dei ponti stretti che imponevano il passaggio di una moto per volta. Nel 1926 viene individuato un altro tracciato, lungo poco pi&ugrave; della met&agrave; del precedente (16,5 km), nella zona di Assen e che ha il vantaggio di avere una ottima sede stradale, lunghi rettilinei e curve veloci. Il tracciato Van Drenthe &egrave; stato utilizzato fino al 1954, mentre nel 1955 viene costruita quella che era la versione precedente dell&rsquo;attuale tracciato, di 7705 metri. Negli anni successivi, poi, la pista riceve lavori di modifica al layout fino ad arrivare alla lunghezza di 6049 metri. L&rsquo;attuale tracciato misura 4,542 km, consta di 21 curve ed il suo rettilineo pi&ugrave; lungo misura 970 metri (&egrave; quello che porta alla S veloce 8-9. Alla lunghezza attuale si &egrave; arrivati con l&rsquo;ultima grande modifica del 2006 che ha eliminato 1500 metri di pista. Incidenti ed episodi controversi Quando si pensa ad Assen, tre sono gli incidenti degni di nota: quello di Mick Doohan del 1992, quello di Kevin Schwantz sempre del 1992 e quello di Jorge Lorenzo del 2013. 26 giugno 1992, qualifiche del Gran Premio d&rsquo;Olanda, round 8 del Mondiale che vede in testa Doohan con 70 punti su Rainey. Nelle qualifiche, l&rsquo;australiano cade rovinosamente rompendosi la gamba destra. L&rsquo;arto, per come era ridotto, rischiava l&rsquo;amputazione ma il Dottor Costa ebbe la geniale idea di ingessare insieme le gambe di Doohan per accelerare il processo di saldatura delle ossa.&nbsp; 27 giugno 1992, gara. Schwantz &egrave; in testa davanti a Lawson all&rsquo;inizio del sesto giro di gara quando l&rsquo;alfiere Cagiva tocca la Suzuki #34 all&rsquo;ingresso della prima curva a destra provocandone la rovinosa caduta. Ritiro per entrambi e vittoria finale di Crivill&egrave;. Ma quello che lega Schwantz all&rsquo;incidente di Doohan delle qualifiche &egrave; che il texano &egrave; scappato via proprio insieme al pilota Honda con il Dottor Costa. 27 giugno 2013, prove libere del Gran Premio d&rsquo;Olanda, round 7 del Mondiale 2013. Piove. Jorge Lorenzo sta affrontando l&rsquo;ultimo tratto del tracciato quando perde la sua Yamaha in accelerazione e cade rovinosamente sulla spalla destra procurandosi la frattura della clavicola. Verr&agrave; poi operato e al sabato prender&agrave; parte alla gara chiudendo quinto. Episodi controversi&nbsp; Non solo incidenti e sorpassi ma anche un paio di episodi controversi nella storia di Assen, ovvero la caduta di Edwards all&rsquo;ultimo giro del 2006 e la contestata (da Marquez) vittoria di Rossi del 2015.&nbsp; 24 giugno 2006, gara numero 8 della stagione. Valentino Rossi &egrave; in crisi di gomme e chiuder&agrave; la gara solamente in P8. Davanti a tutti invece c&rsquo;&egrave; Edwards con Hayden alle sue spalle. Si prospetta finalmente la prima vittoria in MotoGP per il texano ma all&rsquo;ultima variante succede l&rsquo;incredibile: il #5 commette un errore e cade lasciando la vittoria al connazionale. Colin riuscir&agrave; a prendere la moto e tagliare il traguardo in P13.&nbsp; 27 giugno 2015, gara numero 8 della stagione. Le storie gi&agrave; tese tra Rossi e Marquez dopo l&rsquo;Argentina si acuiscono nella gara olandese quando all&rsquo;ultimo giro Marc prova l&rsquo;attacco su Vale toccandolo e mandandolo largo sulla ghiaia. Rossi &egrave; costretto a tagliare la variante e fare un numero per stare in piedi sulla ghiaia arrivando poi per primo sul traguardo davanti allo stesso Marquez.&nbsp;  I tratti caratteristici del circuito del Gran Premio d&rsquo;Olanda  Avendo perso 1500 metri con la modifica del 2006, Assen ha un po&rsquo; perso quella sua aurea di pista mitica e non &egrave; pi&ugrave; l&rsquo;Universit&agrave; delle due ruote pur rimanendo una pista molto tecnica.&nbsp;I punti di frenata pi&ugrave; difficili&nbsp;sono: curva 1 secca verso destra, si arriva lanciati dal rettilineo di partenza ed &egrave; facile sbagliarla e andare larghi; tornante di curva 5, luogo di incroci di traiettorie; curva 10 &egrave; un punto molto particolare perch&eacute; si arriva dalla chicane veloce 8-9 e bisogna attaccarsi ai freni per riuscire a stare alla corda.&nbsp;&nbsp; Per quanto riguarda invece i punti di sorpasso, questi sono situati quasi in prossimit&agrave; delle staccate: curva 1, curva 5, chicane 8-9, curva 12-13 e ultima chicane. Per una manovra disperata all&rsquo;ultimo giro si pu&ograve; tentare il sorpasso anche nel curvone veloce prima dell&rsquo;ultima chicane (vedasi Spies su Haga nel 2009)&nbsp; Statistiche e record del Gran Premio d&rsquo;Olanda  Il Gran Premio d&rsquo;Olanda taglia quest&rsquo;anno l&rsquo;incredibile traguardo delle 93 edizioni, essendo presente nel calendario del Motomondiale fin dal 1949. Senza contare che, come il Mugello, una edizione &egrave; stata cancellata per via della pandemia da Covid-19. Il primo Gran Premio d&rsquo;Olanda, quindi, risale al 1949 e ha visto le vittorie di Nello Pagani in 125 e 500 (Mondial e Gilera) e Freddie Firth in 350 con la Velocette. L&rsquo;ultima edizione, quella dell&rsquo;anno scorso, ha visto trionfare Jaume Masia in Moto3, Jake Dixon in Moto2, Pecco Bagnaia in MotoGP, Matteo Ferrari nelle due gare di MotoE. Per quanto riguarda la MotoGP, Pole ed All Time Lap Record sono di Marco Bezzecchi del 2023 in 1&rsquo;31&rdquo;472 mentre il giro record della pista in gara &egrave; di Aleix Espargar&ograve; in 1&rsquo;32&rdquo;500 nella sua fantastica rimonta dopo il contatto con Quartararo Per quanto riguarda la Moto2, Pole 2023 &egrave; di Alonso Lopez in 1&rsquo;36&rdquo;247 mentre il giro veloce della gara &egrave; di Jake Dixon in 1&rsquo;36&rdquo;697. L&rsquo;All Time Lap Record &egrave; invece di Ai Ogura sempre del 2023 in 1&rsquo;36&rdquo;000.&nbsp; Per quanto riguarda la Moto3, Pole e All Time Lap Record sono di David Munoz in 1&rsquo;41&rdquo;181 mentre il giro veloce della gara &egrave; di Ivan Ortol&agrave; in 1&rsquo;41&rdquo;752 Per quanto riguarda la MotoE, la Pole 2023 &egrave; di Jordi Torres in 1&rsquo;40&rdquo;743, il nuovo giro record in gara che &egrave; anche l&rsquo;All Time Lap Record &egrave; sempre dello spagnolo in 1&rsquo;40&rdquo;281 MotoGP Assen Orari       

Ecco tutto quello che c&rsquo;&egrave; da sapere sul tracciato olandese, dove nel fine settimana si svolger&agrave; l&rsquo;ottavo appuntamento del Motomondiale

Assen circuito: l’analisi delle criticità per la MotoGP

        La MotoGP si appresta a compiere i suoi primi 75 anni di storia, una data estremamente significativa per un'avventura gloriosa che ha vissuto diverse epoche e che ha attraversato momenti storici particolarmente rilevanti e sempre ricchi di sfumature molto eterogenee tra loro,&nbsp;tanto da un punto di vista socio-culturale quanto prettamente sportivo. Una storia fatta di uomini, nella declinazione di "piloti", i quali hanno caratterizzato l'epica sportiva del motorsport, generando un'eredit&agrave; che ancora oggi &egrave; tangibile, ma anche di case costruttrici che attraverso le competizioni hanno scritto la storia della cultura pop dell'Europa prima, e del mondo in un secondo (fondamentale) momento.&nbsp;Un percorso caratterizzato in lunga parte dai colori italiani, sia nell'accezione dei costruttori quanto dei corridori, tanto da ricoprire le pi&ugrave; alte vette delle statistiche pi&ugrave; importanti maturate fino ad oggi.&nbsp; MotoGP, KTM (Tech3) ha scelto: Bastianini e Vinales coppia 2025 Il big bang nel 1949: Italia ed Inghilterra al comando 75 anni fa, alle ore 11 di luned&igrave; 13 giugno 1949, sull'affascinante e successivamente storico tracciato dell'Isola di Man, veniva calato il sipario sul campionato del mondo.&nbsp;Il primo vincitore fu Freddie Frith, trionfante nella categoria 350 in sella alla Velocette; da quel momento, cos&igrave; ricco di simbologie e significati, sono stati registrati 3.392 Gran Premi, per un totale di&nbsp;31 nazioni e 75 tracciati coinvolti, nonch&eacute; di pi&ugrave; di 6000 piloti partecipanti. Un anedotto dall'elevato tasso pionieristico riguarda invece il pilota neozelandese&nbsp;Sid Jensen, il primo pilota della storia del motomondiale a far rombare il proprio motore nella sessione di prove di un GP. Per assicurarsi il primato, nel cuore della notte precedente Jensen aveva piazzato la sua AJS 350 sulla linea del traguardo, sei ore prima dell'inizio del turno, in programma alle 5 di mattina. Mentre lui si riposava in un posto limitrofo, alcuni amici facevano la guardia alla moto.&nbsp; Sebbene la dicitura "campionato del mondo" evidenziava la matrice globale della competizione, i primi anni furono connaturati da una forte prevalenza europea, in particolar modo di Inghilterra e Italia, le due potenze riferimento nell'ambito sia dei piloti che delle case costruttrici. Il mondiale nacque, come detto, nel 1949, un anno prima della creazione della Formula 1, a dimostrazione di una comunit&agrave; e di un contesto che erano gi&agrave; pronti da tempo ad esordire in senso mondiale. Tuttavia la seconda guerra mondiale ritard&ograve; i lavori; al termine della stagione sportiva del 1948, la Federazione Internazionale dei Club Motociclistici, istitu&igrave; il campionato del mondo, rinominando in tal modo il precedente "campionato motociclistico d'Europa" (in vita dal 1924) con l'intento di attirare nuove case e nuovi piloti anche da oltreoceano. Il campionato d'Europa venne caratterizzato in lunga parte dai piloti inglesi e da quelli italiani e la prima edizione del mondiale vide la prosecuzione di questo trend in tutte e quattro le categorie previste: 125, 250, 350, 500.&nbsp;Nello Pagani trionf&ograve; tra le piccole cilindrate in sella alla F.B. Mondial, la prima casa italiana a vincere un mondiale in 125. Successo tricolore a tutto tondo anche nella classe 250, in cui a imporsi fu&nbsp;Bruno Ruffo insieme alla Moto Guzzi. A spartirsi le categorie maggiori furono gli inglesi Freddie Frith, campione del mondo della 350 in sella alla Velocette, e Leslie Graham, primo campione del mondo della classe regina, la 500, in sella alla AJS, casa motociclistica inglese che smise di produrre moto nel 1974. MotoGP, KTM ha scelto: VInales e Bastianini coppia 2025 Pilota e moto, un connubio evolutosi nel tempo Il fascino dell'evoluzione sia fattuale che percettiva del motomondiale ha coinvolto l'equazione di base della nostra passione, ovvero il connubio tra uomo e macchina, tra pilota e moto, con tanto di progresso, scientifico, tecnologico e umano, in entrambe le accezioni. Negli anni '50 e '60, l'allenamento dei piloti era molto meno strutturato e scientifico rispetto a oggi; in molti si affidavano principalmente alla loro abilit&agrave; naturale e all'esperienza accumulata in pista. L'allenamento fisico era spesso limitato e non esistevano programmi di allenamento specifici per i piloti di moto. La preparazione consisteva principalmente in pratica e competizioni, con poca attenzione alla dieta, alla forza muscolare o alla resistenza aerobica. Un trend che con il due volte campione del mondo della 500 (1950,1952),&nbsp;Umberto Masetti&nbsp;prima, (considerato il primo "divo" del motociclismo), ma specialmente con&nbsp;Giacomo Agostini&nbsp;poi, &egrave; radicalmente cambiato, avvicinando il motorsport ad un approccio pi&ugrave; professionale e maggiormene canonico. I piloti moderni seguono, infatti, programmi di allenamento molto rigorosi e scientificamente studiati. L'allenamento include una combinazione di esercizi cardiovascolari, allenamento di forza, flessibilit&agrave; e reattivit&agrave;. Molti piloti adesso lavorano con personal trainer, nutrizionisti e psicologi sportivi per ottimizzare ogni aspetto della loro performance, aspetti impensabili agli albori del motomondiale. La tecnologia ha anche rivoluzionato l'allenamento, con simulatori di guida, analisi dei dati e altri strumenti avanzati che permettono ai piloti di migliorare costantemente. In un certo senso, i piloti degli anni '50 e '60 rappresentavano l'essenza della sfida umana contro l'ignoto e il pericolo, con tutte le annesse problematicit&agrave; del caso legate alla sicurezza.&nbsp;Erano esploratori di un nuovo mondo, affrontando l'incertezza con coraggio e determinazione. Le loro storie sono un tributo alla resilienza umana e alla volont&agrave; di spingersi oltre i limiti. I piloti moderni, invece, incarnano l'evoluzione della disciplina e della tecnica, la loro dedizione alla preparazione e all'ottimizzazione riflette il cambiamento della nostra comprensione del potenziale umano e tecnologico. Non si tratta pi&ugrave; solo di affrontare il pericolo, ma di padroneggiare ogni aspetto della performance umana e sportiva attraverso la scienza e la tecnologia. Essi rappresentano la fusione tra uomo e macchina, in cui &egrave; evidente un cambiamento nella concezione di spettacolo, coraggio e preparazione. Passa alla prossima pagina &nbsp; Il primo decennio: da Carlo Ubbiali a Geoff Duke e John Surtees Il dominio delle case costruttrici italiane: su tutte Benelli, Gilera, Moto Guzzi e Mondial, s'interruppe nel 1957 quando le sopracitate, insieme alla MV Agusta, (quest'ultima pro tempore) si ritirarono dalla scena del motomondiale a causa dei costi sempre pi&ugrave; elevati e dell'incertezza del ritorno dell'investimento economico sull'asse competizione\mercato stradale. Fino a quel momento, per&ograve;, Gilera ed MV Agusta in prevalenza, avevano fatto il bello e il cattivo tempo in classe regina, portando al successo piloti come Geoff Duke (Gilera), leggendario corridore inglese vincitore di 6 titoli mondiali; John Surtees (MV Agusta) sette volte iridato nonch&eacute; unico pilota della storia del motorsport ad aver vinto almeno un titolo sia nel massimo campionato mondiale su due ruote che in Formula 1, e Libero Liberati, (soprannominato "il ternano volante") campione del mondo proprio nel 1957. Quegli anni segnarono anche il dominio di un'altra figura leggendaria del motociclismo italiano e mondiale, Carlo Ubbiali, il mago delle piccole cilindrate dall'alto dei suoi sei sigilli in 125 e dei tre nella 250. I primi passi di Honda ed il dominio Giacomo Agostini-MV Agusta&nbsp; Nel 1961 una casa costruttrice proveniente dal Giappone inizi&ograve; a muovere i suoi primi vincenti passi, si trattava della Honda, il colosso di Tokyo vinse il suo primo titolo in 125 grazie al pilota australiano Tom Phillis, il quale segn&ograve; l'inizio di un lungo e fortunato percorso nelle competizioni motociclistiche per la casa dell'ala dorata. Honda port&ograve; al successo anche Mike Hailwood, in 250 nello stesso anno, e apr&igrave; un ciclo vincente con il rhodesiano Jim Redman, due volte campione della 250 prima di cedere lo scettro a Phil Read, futuro compagno di squadra di Giacomo Agostini in 500. Gli anni sessanta furono contraddistinti in un primo momento dalla prima rivalit&agrave; storica delle due ruote, ovvero quella tra Hailwood, (soprannominato "Mike The Bike" per la sua abilit&agrave; di andar forte con qualsiasi mezzo a motore) e Giacomo Agostini (memorabili i duelli delle edizioni 1966 e 1967 sull'Isola di Man); e in un secondo dal dominio assoluto del 15 volte iridato, capace di trionfare in classe regina per ben otto edizioni, al quale vanno aggiunte i sette sigilli della 350, per un totale di 122 vittorie nei GP. Numeri che ancora oggi lo rendono il pilota pi&ugrave; vincente di sempre sia in termini di mondiali che di GP vinti. Brivio su Roberts: "Ci piacerebbe avere un pilota americano" Passa alla prossima pagina &nbsp; L'esclusione del TT e l'avvento del motore 2T A Giacomo Agostini sono legati due tra gli avvenimenti pi&ugrave; significativi della storia del motomondiale; ci riferiamo all'esclusione definitiva della gara del TT sull'Isola di Man dal calendario mondiale e dell'avvento dei motori a due tempi, pronti a subentrare ai quattro tempi. Il Tourist Trophy dell'Isola di Man fu parte integrante del calendario del motomondiale fin dalla sua istituzione nel 1949 e fu escluso dalle competizioni mondiali nel 1976 a causa delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza dei piloti. Numerosi incidenti mortali e gravi infortuni segnarono la storia della corsa, alimentando le crescenti preoccupazioni tra i piloti e gli organizzatori. Nel 1972, Giacomo Agostini, sicuramente il pilota pi&ugrave; illustre ed ingombrante del circus, rifiut&ograve; di correre al TT, citando le condizioni insostenibili di sicurezza del percorso. La sua presa di posizione fece eco tra molti altri piloti, evidenziando un problema che non poteva pi&ugrave; essere ignorato e che port&ograve; successivamente alla decisione del 1976. Durante gli anni '60, diverse case motociclistiche iniziarono a sperimentare e a sviluppare le loro moto con i motori a due tempi. Questi motori offrivano alcuni vantaggi significativi rispetto ai motori a quattro tempi, tra cui una maggiore potenza per unit&agrave; di cilindrata e una costruzione meccanica pi&ugrave; semplice e leggera. Questo rese le moto due tempi particolarmente competitive nelle classi inferiori del motomondiale, come la 125cc e la 250cc. La svolta decisiva avvenne per&ograve; negli anni '70, quando le moto a due tempi cominciarono a dominare anche nelle classi maggiori. Yamaha e Suzuki furono le principali protagoniste di questa transizione. Nel 1975 Yamaha vinse il suo primo titolo mondiale nella classe 500 con Giacomo Agostini, che fu tra i primissimi a capire il cambio di passo che la suddetta tecnologia avrebbe portato, lasciando la sua storica compagna di viaggio, la MV Agusta, per approdare presso la corte di Iwata; una scelta che si rivel&ograve; tanto azzardata quanto vincente. Anche la Suzuki inizi&ograve; a ottenere successi significativi con i motori a due tempi, grazie ai titoli di Barry Sheene nel 1976 e del 1977, andando cos&igrave; a confermare la nuova tendenza.&nbsp; L'epopea dei "cowboys": da Kenny Roberts a Kevin Schwantz Mentre Angel Nieto dominava le piccole cilindrate (la classe "80" e la "50" a cavallo tra gli anni 70' e 80'; 13 mondiali per lo spagnolo), la 125 fu segnata dai successi dello svedese Kent Anderson, nel biennio 1973-1974, e degli italiani Paolo Pileri e Pierpaolo Bianchi, entrambi in sella alla Morbidelli, fino al titolo del 1978 di Eugenio Lazzarini con la MBA. In 250 furono Walter Villa prima e Anton Mang dopo ad ergersi a dominatori; tre titoli consecutivi dal 1974 al 1976 per l'italiano insieme alla Harley Davidson, e nel 1980\81 e 87 per Mang, prima con Honda e poi con Kawasaki. In classe regina fu invece il momento del tanto raccontato ed intrigante periodo dell'epopea americana. L'avvento dei piloti a stelle e strisce segn&ograve; ben pi&ugrave; di un decennio della classe regina, regalando delle gare mozzafiato nonch&eacute; una spettacolarit&agrave; che non fece altro che far guadagnare interesse attorno a tutto circus.&nbsp; Il tutto ebbe inizio con l'arrivo di Kenny Roberts, non a caso soprannominato, in maniera alquanto azzeccata vista la popolarit&agrave; che ebbe il seguente appellativo, "il Marziano". L'americano si rivel&ograve; sin da subito vincente, tanto da conquistare tre titoli consecutivi del 1978 al 1980, riuscendo nell'impresa di vincere subito nell'anno da rookie (impresa ripetuta solamente da Marc Marquez nel 2013) e portando con s&egrave; uno stile di guida innovativo legato all'appoggio del ginocchio in curva, che andava ad evolvere la stessa originale metodologia che qualche anno prima si era vista con il finlandese Jarno Saarinen. Gli americani continuarono a dominare per tutto il periodo successivo; dopo i sigilli di Marco Lucchinelli nel 1981 e di Franco Uncini nel 1982, i protagonisti furono Eddie Lawson, vincitore di quattro titoli, Wayne Rainey, dominatore dal 1990 al 1992, Kevin Schwantz, campione nel 1993 e Freddie Spencer, vincitore nel 1983 e nel 1985, nonch&eacute; ultimo pilota della storia a riuscire a vincere due titoli in due categorie differenti nello stesso anno (nel 1985 vincendo sia in 500 che in 250). Passa alla prossima pagina &nbsp; L'ultima fase della 500 2t e Mick Doohan Negli anni '90, nonostante il dominio continuo dei motori a due tempi, cominciarono a emergere le preoccupazioni riguardo alle emissioni e all'efficienza. Inoltre lo sviluppo di quei motori ormai portava a miglioramenti ridottissimi in fatto di prestazioni. Cos&igrave;, nel 2002, FIM e Dorna introdussero la MotoGP, una nuova classe che permetteva l'uso di motori a quattro tempi fino a 990cc. Da quel momento in poi, i motori a quattro tempi hanno riconquistato il loro posto, e oggi dominano tutte le classi del motomondiale.&nbsp; Tornando alle corse, il declino dell'era dei piloti americani coincise con l'ascesa al trono del pilota destinato a chiudere i battenti della lotta al titolo per ben cinque anni consecutivi, ovvero l'australiano Mick Doohan. Insieme alla Honda NSR 500 e all'innovativo motore a scoppi irregolari, moto tra le pi&ugrave; iconiche della storia del motomondiale, l'australiano domin&ograve; come non si vedeva dai tempi di Agostini, per un totale di 54 vittorie nei GP. Se in classe regina la scena fu presa totalmente dall'alfiere della Honda, nelle piccole cilindrate inizi&ograve; a svilupparsi l'alba del movimento italiano destinato a caratterizzare i primi anni 2000, creando una vera e propria dinastia. Loris Capirossi vinse due titoli in 125, nel 1990 e del 1991, trionfando poi nella classe di mezzo nel 1998. Oltre al pilota cresciuto a Borgo Rivola, a prendersi la scena in terra italica, tanto in pista quanto sotto i riflettori mediatici, fu&nbsp;il romano Max Biaggi, pilota dal talento cristallino e dalla guida fluida e scorrevole che domin&ograve; la 250 per quattro stagioni consecutive, dal 1994 al 1997, vincendo tre titoli con l'Aprilia (un quarto arrivo con la Honda NSR 250), creando un binomio divenuto cult nell'immaginario collettivo. La MotoGP al suo massimo: l'era di Valentino Rossi&nbsp; Nel 1998 "il Corsaro" esord&igrave; in 500 divenendo il principale rivale per il titolo di Doohan, il tutto mentre nella quarto di litro debuttava Valentino Rossi, gi&agrave; campione del mondo l'anno precedente in 125 e destinato a cambiare la rotta del motomondiale da l&igrave; a poco. L'impatto di Valentino Rossi nel motomondiale (nove volte iridato, sul gradino pi&ugrave; alto del podio in 115 GP e autore di 235 podi) fu come un meteorite dagli esclusivi benefici per tutto il movimento. Un connubio paragonabile a quello di Michael Jordan e la NBA. Il carisma, la personalit&agrave;, il modo di guidare ed il modo di festeggiare alle innumerevoli vittorie ottenute, oltre che di intavolare le rivalit&agrave; sportive sia in pista che fuori, (su tutte quella con Max Biaggi, divenuta la rivalit&agrave; per eccellenza) fecero le fortune della MotoGP, che crebbe in maniera smisurata grazie anche al progresso tecnologico in ambito di media e comunicazione, relativamente alla popolarit&agrave;, al seguito e all'appeal. I trionfi di Rossi e la sua era divennero la cartolina migliore della MotoGP grazie ad un pilota che in maniera trasversale ha coinvolto per la prima volta non solo fan e addetti ai lavori. La Spagna all'attacco: Marc Marquez e i giorni nostri La competitivit&agrave; di piloti come Loris Capirossi, Max Biaggi, Marco Melandri, Andrea Dovizioso,&nbsp;e il compianto Marco Simoncelli, diedero linfa costante e vincente al movimento italiano, il quale precedette, in quello che possiamo definire un nuovo passaggio di consegne, l'avvento dell'epopea spagnola, in parte ancora in atto, grazie a piloti come: Jorge Lorenzo, cinque volte campione del mondo, Daniel Pedrosa, tre volte campione del mondo e Marc Marquez, otto volte campione del mondo. L'impero di quest'ultimo, iniziato nel 2013, riport&ograve; in vetta la Honda, che negli anni precedenti dovette subire le vittorie della Yamaha di Rossi e Lorenzo e della Ducati di Casey Stoner. La storia iniziata con Pagani, Ruffo, Frith e Graham prosegue oggi, a distanza di 75 anni, con il nostro Pecco Bagnaia e l'egemonia Ducati, in un altro dei cicli che resteranno nella storia.  WDW 2024, MotoGP, SBK e BSB: sfida totale nella race of champions        

Nato nel 1949, nel suo lungo percorso il campionato del mondo (poi Motomondiale) ha scritto pagine epiche che hanno lasciato un solco nel mondo sportivo e nell'immaginario collettivo

Il motomondiale compie 75 anni: una storia di moto e campioni

        Gi&agrave; da qualche tempo ormai, il nome di Pecco Bagnaia &egrave; costantemente accostato ai grandi personaggi della storia del Motomondiale; e non potrebbe non essere cos&igrave; in virt&ugrave; del gi&agrave; ricco palmar&egrave;s del campione di Chivasso, tre volte iridato in carriera e bicampione in MotoGP, con buoni margini per conquistare la terza corona consecutiva, impresa riuscita solamente a Valentino Rossi e Marc Marquez nell'era recente del Motomondiale. Ad impressionare, relativamente ai numeri e alle statistiche che l'italiano ha saputo collezionare nelle ultime tre stagioni, &egrave; il dato relativo ai successi maturati nelle ultime 53 gare, e cio&egrave; dal primo sigillo in carriera in top class, ottenuto ad Aragon 2021. Ben 22 sono infatti i trionfi dell'italiano, dominatore assoluto dell'ultimo triennio della MotoGP, come dimostra anche il fatto che il primo inseguitore in questa particolare classifica &egrave; Jorge Martin, a quota 6! MotoGP: la top 5 dei piloti pi&ugrave; vincenti dell'attuale griglia della top class I pi&ugrave; vincenti di sempre in classe regina: comandano i piloti italiani Inevitabilmente, Bagnaia sta scalando a ritmi sostenuti le posizioni di vertice della storia della classe regina, avendo eguagliato a quota 22 trionfi piloti leggendari del calibro di: Kenny Roberts, Geoff Duke e John Surtees. L'italiano, che con la vittoria di Barcellona ha staccato Freddie Spencer a quota 20, adesso punta ai 24 trionfi di Wayne Rainey e ai 25 di Kevin Schwantz, due risultati alla portata dell'alfiere Ducati, che qualora mantenesse la competitivit&agrave; mostrata fino ad ora, al termine della stagione potrebbe avvicinarsi (ai fini di un sorpasso che avverrebbe nel 2025 verosimilmente) ai 31 sigilli di Daniel Pedrosa ed Eddie Lawson. Pi&ugrave; staccati, ma raggiungibili in virt&ugrave; della giovane et&agrave; del campione di Chivasso, Mike Hailwood e Casey Stoner, rispettivamente a quota 37 e 38. La top five della classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti in termini di GP in classe regina (MotoGP\500) &egrave; aperta da Jorge Lorenzo, a quota 47, preceduto da Mick Doohan con 54. Terzo posto per Marc Marquez che con 59 vittorie punta alle 68 di Giacomo Agostini, secondo. In vetta troviamo Valentino Rossi, con 89 vittorie.  MotoGP, Marquez e Lorenzo: da Honda a Ducati... e viceversa         

La vittoria del Mugello avvicina ulteriormente il campione del mondo ai nomi storici delle due ruote, in termini di vittorie in classe regina

MotoGP: Bagnaia eguaglia alcuni piloti leggendari: ecco chi sono

        L'inizio straripante di Pedro Acosta in MotoGP ha attirato le attenzioni di tutti, non ha fatto eccezione Randy Mamola, leggendario esponente dell'epopea vincente dei piloti americani negli anni 80\90 e quattro volte vice campione del mondo della 500: nel 1980 (alle spalle di Roberts), nel 1981 (dietro Marco Lucchinelli), nel1984 (con Eddie Lawson vincitore) e nel 1987 (alle spalle di Wayne Gardner). Come riportato dalla testata spagnola "Motosan", Mamola ha lodato il valore del rookie di Maz&agrave;rron, paragonandolo ai grandi dell'era recente della MotoGP, tra cui Marc Marquez: "Acosta &egrave; fantastico, trova il ritmo ideale sulla moto, si vede che &egrave; uno dei pochi piloti sulla KTM in grado di farlo. &Egrave; successo lo stesso con Marquez e la Honda all'inizio". MotoGP di Francia da "Ora della verit&agrave;" per Bastianini Le parole del tre volte vicecampione del mondo: "Acosta &egrave; diverso da Marquez" Mamola ha poi proseguito accennando ad una differenza con l'otto volte iridato, relativamente al modo di guidare ed al carattere: "Marquez era anche divertente, ma non come Acosta. Pedro ha il talento e semplicemente emerge, &egrave; uno di quei bambini prodigio. &Egrave; un Casey Stoner, &egrave; un Valentino Rossi, quei tipi di piloti".&nbsp;L'americano ha successivamente concluso: "Questo ragazzo ha grandi istinti. &Egrave; al limite, ma su una traiettoria che controlla perfettamente. &Egrave; sempre consapevole di cosa far&agrave; la moto, &egrave; qualcosa che non si pu&ograve; insegnare". Acosta si prepara ad affrontare il quinto round della stagione, sulla storica pista di Le Mans, un tracciato che non ha mai amato particolarmente in termini di risultati, come dimostra il suo miglior piazzamento in carriera, l'ottavo posto in Moto3, nel 2021.  MotoGP, Di Giannantonio: "Marquez? Non lo vedo pi&ugrave; come un extraterrestre"        

Il leggendario pilota americano ha speso parole importanti per il rookie spagnolo, spiegando, inoltre, la differenza con Marc Marquez

L'elogio di Randy Mamola: "Acosta è nella stessa categoria di Rossi e Stoner"

        Vittorie come quelle di Jerez segnano una carriera, per la modalit&agrave; con la quale viene posta in atto, per il valore dell'avversario da battere e anche per il simbolismo che ne deriva. Nel successo andaluso ci sono tutti questi ingredienti, che rendono Bagnaia l'uomo del momento e nuovamente il riferimento della top class. La proverbiale sicurezza verso i propri mezzi che Bagnaia ha dimostrato di sapere sfruttare, oltre alla lucidit&agrave; e al talento cristallino che lo contraddistinguono, hanno permesso di piazzare l'affondo decisivo in Spagna. Il due volte campione del mondo a Jerez ha centrato la seconda vittoria di stagione dopo quella della gara d'apertura in Qatar, agguantando cos&igrave; facendo, il 19esimo sigillo in classe regina. Numeri importanti che restituiscono a Bagnaia il meritato status attorno alla sua figura e che vengono impreziositi anche da un altro aspetto, nonch&eacute; da un altro record. Dall'Igna: "Forse la miglior gara di sempre. Pecco non deve dimostrare pi&ugrave; nulla a nessuno" Sorpassato Loris Capirossi, raggiunto Luigi Taveri La vittoria di Jerez coincide con il trentesimo successo nel motomondiale di Bagnaia, un risultato che gli permette di superare Loris Capirossi nella classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti di sempre in termini di GP se considerate tutte le classi e di raggiungere Luigi Taveri. Adesso, nel mirino del bicampione del mondo, ci sono il quattro volte iridato, Eddie Lawson ed il sudafricano Kork Ballington (quattro volte campione del mondo tra 250 e 350), entrambi a quota 31 successi. Qualora Bagnaia riuscisse a vincere i prossimi tre appuntamenti in calendario (impresa complessa ma non inverosimile), raggiungerebbe il sei volte iridato Geoff Duke, e a quel punto punterebbe Luca Cadalora a quota 34, diventando cos&igrave; il quinto pilota italiano pi&ugrave; vincente di sempre in termini di GP. In bagarre per la vittoria: Bagnaia due, Marquez zero Ad impreziosire ulteriormente il valore di una vittoria gi&agrave; caratterizzata da una perfezione di guida da far leccare i baffi a fan e addetti ai lavori, c'&egrave; il ruolo del rivale, l'otto volte campione del mondo Marc Marquez, l'avversario pi&ugrave; ostico da trovare sulla propria strada specialmente in bagarre. Proprio sotto quest'aspetto Bagnaia pu&ograve; vantare un'importante statistica, essendo in vantaggio nei confronti dello spagnolo relativamente ai duelli per la vittoria. Il parziale &egrave; 2-0 per l'italiano, capace di avere la meglio al termine di un'intensa lotta non solo a Jerez, ma anche ad Aragon, nel 2021, in quella che fu la prima vittoria in MotoGP del pilota di Chivasso.  MotoGP: Nel 2021 gare pi&ugrave; veloci di quasi 10 secondi, anche grazie a Michelin&nbsp;        

Grazie al formidabile successo di Jerez, il campione del mondo di Chivasso scala ulteriormente la classifica dei piloti pi&ugrave; vincenti di sempre

MotoGP: trentesima vittoria per Bagnaia, adesso nel mirino Eddie Lawson

&Egrave; un successo storico quello di Maverick Vinales, non solo per la casa di Noale che centra la sua seconda doppietta Sprint-Gara dopo quella di Barcellona grazie ad Aleix Espargaro, ma soprattutto per Maverick Vinales che conquistando la sua decima vittoria nella classe regina entra in una ristrettissima &eacute;lite composta da solo altri 4 piloti.  MOTOGP DIRETTA GARA: GP DI AUSTIN 2024, SEGUI LA LIVE MINUTO PER MINUTO  Vinales nella storia  Dopo averla sfiorata in pi&ugrave; occasioni, Maverick Vinales &egrave; riuscito finalmente a portare l&rsquo;Aprilia sul gradino pi&ugrave; alto del podio nel GP delle Americhe. Per lo spagnolo aver centrato il successo con la casa di Noale lo elegge in una &eacute;lite del motociclismo. Grazie al successo in Texas, Vinales si &egrave; unito al ristrettissimo gruppo di piloti che sono riusciti a conquistare una vittoria con almeno tre case differenti. &ldquo;Top Gun&rdquo; ha gi&agrave; infatti vinto con due case differenti: con Suzuki nel 2016 a Silverstone alla sua seconda stagione in MotoGP e poi vincendo in altre otto occasioni con la Yamaha tra il 2017 ed il 2021. Fino ad oggi in questo ristrettissimo gruppo rientrano solo quattro piloti: Mike Hailwood, Randy Mamola, Eddie Lawson e Loris Capirossi.  Mike &ldquo;The Bike&rdquo; riusc&igrave; a vincere una gara con la Norton prima di firmare con MV Agusta con la quale vinse 4 titoli e 28 gare in 500 prima di vincere nel finale di carriera 8 gare con Honda. Randy Mamola non &egrave; mai riuscito a vincere un titolo mondiale tuttavia &egrave; stato in grado di vincere 5 GP con Suzuki e altre 8 gare met&agrave; delle quali con Honda e la restante met&agrave; con Yamaha. Eddie Lawson invece regal&ograve; nel finale di carriera il primo successo in 500 alla Cagiva dopo aver raccolto 26 successi in Yamaha e 4 in Honda. Ultimo ma solo per ordine cronologico Loris Capirossi, l&rsquo;italiano ha legato gran parte della sua carriera tra 500 e MotoGP prima al marchio dell&rsquo;ala dorata e poi a Ducati. Con queste due case &ldquo;Capirex&rdquo; ha festeggiato rispettivamente 1 e 7 volte, ma pochi ricordano che prima del titolo conquistato in 250, il pilota di Castel San Pietro Terme disput&ograve; nel biennio 1995/1996 due stagioni in 500 la prima con Honda mentre la seconda con una Yamaha e proprio nell&rsquo;ultima gara stagionale ad Eastern Creek riusc&igrave; a conquistare il suo primo successo nella top class.   

Lo spagnolo entra in una ristrettissima &eacute;lite di piloti in grado di conquistare il successo nella classe regina con Aprilia, Yamaha e Suzuki

GP delle Americhe, Vinales entra nella storia vincendo con tre case in MotoGP

        Hanging in the balance, the Argentinian GP may go the same way as the Kazakhstan round, albeit for different reasons. While there has been racing at Termas de Rio Hondo for years, riders and paddock staff may have to go without a visit to the Sokol Circuit, just as they did with Finland. Meanwhile, a return to Hungary looks likely. New government and related issues: Argentina without MotoGP As was the case for SBK, more or less. Argentina is experiencing a sort of political revolution, which means the country is tightening its belt. The production-derived event scheduled to take place last autumn was cancelled because the local San Juan authorities cut funding for the event, a figure that none of the other parties involved could guarantee. As for MotoGP, the issue is even more complicated, in that it regards central government. Newly elected President Javier Milei is implementing a plan for economic return that spans all sectors considered "surplus", or rather not essential to the survival of the country. This includes sport, which is not only sport, but rather a vehicle for communication, visibility, and the bankrolling of national activities. And so if round three of the championship were to be cancelled, the South American continent will not feature on the calendar at all, unless Brazil were to make a return. Kazakhstan enormous, but "alien" to MotoGP There were two new events scheduled for 2023: Kazakhstan and India. But while the racing went ahead at the Buddh International Circuit, there was nothing doing with regard to the&nbsp;Sokol International Track. And now another cancellation is looking likely. The circuit is still to be homologated, with services and structures yet to be completed, and then there are those extra-sectorial obstacles, so perhaps it&rsquo;s best avoided. The enormous country is, after all, "alien" to motorcycle racing. Hungary ready to substitute in MotoGP There has been a lot of talk about the Balaton Ring over the years, though the circuit is yet to feature on any MotoGP calendar. The world championship does have previous experience of Hungary though, albeit many years ago, as demonstrated by the cover photo of Eddie Lawson. The American won aboard the Cagiva, making history with the brand. The spectators loved it, but the Hungaroring would continue with Formula 1, doing without the two-wheel prototypes. But now, thanks to Argentina and Kazakhstan, there might be room for a return. It&rsquo;s incredible to think that two of the year&rsquo;s rounds may be cancelled. Perhaps one event, but the cutting of two seems excessive. Though we might be wrong of course. But replacing Termas or Sokol with Hungary is a legitimate possibility. Particularly Sokol, if only for a question of the weather, considering that the Argentinian round was scheduled for April and Kazakhstan for July...       

Financial and organisational problems could lead to the cancellation of the Termas and Sokol rounds. Hungaroring ready to serve as a substitute

Argentina and Kazakhstan at risk: MotoGP looks to Hungary

In bilico e dato&nbsp; per (quasi) cancellato, il Gran Premio MotoGP di Argentina potrebbe aver la medesima sorte della tappa fissata in Kazakistan, seppur con differenti modalit&agrave;. Mentre a Termas de Rio Hondo si &egrave; corso per anni, dell Sokol Circuit piloti e addetti ai lavori potrebbero addirittura farne a meno, un po&#39; come &egrave; accaduto per la Finlandia. Contrariamente, si sta delineando il ritorno dell&#39;Ungheria, nel confronto diretto contro la Rebubblica Ceca, valevole di imposizione est-europea.  Governo rinnovato e problemi: Argentina senza MotoGP  Pi&ugrave; o meno, come per la SBK. In Argentina sta avvenendo una sorta di rivoluzione politica, con l&#39;ennesima esigenza di rivedere i bilanci e le spese. Il round derivato di serie programmato nello scorso autunno salt&ograve;, perch&eacute; il Governo locale di San Juan tolse i fondi destinati all&#39;evento, che nessuna delle altre parti coinvolte pot&egrave; garantire.  Nella fattispecie MotoGP, il discorso &egrave; ancora pi&ugrave; complesso, e riguarda lo Stato centrale. Il Presidente Javier Milei,&nbsp; fresco di mandato, sta attuando un piano di rientro economico, che coinvolge ogni settore ritenuto &quot;extra&quot;, ovvero, non utile alla sopravvivenza del Paese.  Viene toccato lo sport, che poi non &egrave; solo sport, bens&igrave; veicolo di comunicazione, visibilit&agrave; e possibilit&agrave; di foraggiare le attivit&agrave; del posto. Qualora, davvero, il terzo appuntamento stagionale fosse passivo di annullamento, il continente sudamericano rimarrebbe fuori dal calendario, in attesa che il Brasile rientri nei giochi iridati.    Kazakistan enorme, ma &quot;alieno&quot; di MotoGP  Erano due le novit&agrave; inserite nel calendario 2024: Kazakistan e India. Al Buddh International Circuit l&#39;evento &egrave; stato completato, al Sokol International Track no. E, stando all&#39;attualit&agrave;,&nbsp; l&#39;ipotesi di ulteriore cancellazione potrebbe rivelarsi pi&ugrave; che tale.  Circuito da omologare,&nbsp; servizi da allestire, strutture da completare, oltre a &quot;impicci extra settore&quot;, onde meglio tralasciare. Di fatto, la MotoGP con relative classi mai ha raccontato gesta e risultati su un enorme territorio, appetito da molte aziende petrolifere e di estrazione, &quot;alieno&quot;&nbsp; &nbsp;nei confronti delle competizioni a due ruote.  Ungheria pronta alla sostituizione in MotoGP  Ci avrete fatto caso, come da anni si parli del Balaton Ring, in realt&agrave; mai pervenuto su calendari o eventi ufficiali della MotoGP. Eppure, il Motomondiale conosce l&#39;Ungheria, malgrado siano passati anni dall&#39;ulltima edizione ivi disputata, come spiegato dalla foto di Eddie Lawson posta in copertina.  L&#39;americano vinse con la Cagiva,&nbsp; scrivendo la storia del Marchio, affermandosi quale mito della classe regina. Il pubblic&ograve; si appassion&ograve;, ma l&#39;Hungaroring continu&ograve;&nbsp; con la Formula 1, rinunciando ai prototipi a due ruote. La speranza di tonare ora c&#39;&egrave;, materializzata proprio da Argentina e Kazakistan.  Pensare a una doppia cancellazione d&#39;annata &egrave; incredibile. Magari a un Gran Premio si far&agrave; a meno, due sembrano troppi. Sapendo che potremmo sbagliarci. Invece, inserire l&#39;Ungheria al posto di Termas o Sokol &egrave; lecito, puntando ala seconda opzione. Non per altro: in aprile era lo spazio lasciato all&#39;Argentina, luglio per il Kazakistan. Bisogna pure tener conto al meteo a cui si va incontro...  &nbsp; 

Problemi economici e organizzativi potrebbero far saltare le trasferte di Termas e Sokol. Hungaroring pronto a una sostituzione

Argentina e Kazakistan a rischio: la MotoGP punta all&#39;Ungheria

        La verit&agrave;, Mick Doohan si era abituato a non dirla. In particolare agli ingegneri, quando la sua Honda funzionava come uno Stradivari. A orientarlo in questa direzione era il rischio che il reparto corse giapponese abbassasse la guardia sul fronte dello sviluppo. Il ritornello con i tecnici era sempre: fare di pi&ugrave;, essere ancora pi&ugrave; virtuosi. Tanto che nel 1999, il suo ultimo anno in sella, l&rsquo;australiano aveva convinto l&rsquo;HRC a fornirgli una moto particolare. Oltre alle due NSR 500 ufficiali, come da prassi, nel suo box c&rsquo;era una terza versione nata come esperimento per sistemare il punto debole delle mezzo litro che pure gli avevano portato 54 vittorie nella classe regina, tradotte in cinque Mondiali consecutivi. Passa alla prossima pagina Johnny Cecotto, bello e dannato | Storie Sprint &nbsp; Storie Sprint: Mick Doohan  Da sempre, la due tempi nipponica a centro curva non girava, e per Doohan era un problema: cos&igrave; il marchio del Sol Levante aveva elaborato un telaio molto simile a quello della Yamaha, il riferimento in quel dettaglio. Che la moto &ldquo;laboratorio&rdquo; fosse stata realizzata soltanto per assecondare le richieste dell&rsquo;australiano divenne chiaro dal terzo GP della stagione, quando il campione in carica incapp&ograve; a Jerez nella caduta che lo spinse al ritiro: da quel momento, la terza moto non si vide pi&ugrave;. Neppure l&rsquo;australiano sa che fine abbia fatto. Doohan definisce questo episodio come lo specchio dell&rsquo;attenzione che dedicava all&rsquo;arte di motivare gli uomini HRC, con cui il rapporto era iniziato una decina d&rsquo;anni prima, nel 1989, quando aveva 23 anni. Per lui, l&rsquo;esordio era stato con un pacchetto tecnico lontano dai migliori: nella prima stagione aveva chiuso a meno di 30 secondi dalla vetta soltanto tre volte. Nell&rsquo;anno successivo firm&ograve; la prima pole alla terza gara e vinse alla penultima, in Ungheria. Poi la conferma, con il titolo del 1991 perso per nove punti e l&rsquo;annata successiva iniziata alla grande: cinque successi e due podi nei primi sette appuntamenti, prima dell&rsquo;infortunio che rischi&ograve; di diventare la tomba della sua carriera. Una gamba quasi amputata, quattro GP saltati e il titolo sfumato per quattro punti. I rivali erano Wayne Rainey e Kevin Schwantz, nemmeno loro capaci di sfuggire a barelle e infermerie in un periodo in cui il ritiro non era una scelta propria, ma la conseguenza dei problemi fisici. Dal suo infortunio peggiore Doohan riemerse come un tornado e dal 1994 spazz&ograve; via una concorrenza rimasta orfana prima di Rainey e poi di Schwantz. Tre anni pi&ugrave; tardi firm&ograve; il dominio pi&ugrave; schiacciante: vinse 12 gare su 15, con l&rsquo;unico zero nell&rsquo;ultimo round, a ennesima prova della sua determinazione e testardaggine. A una decina di giri dalla bandiera a scacchi del GP Australia, l&rsquo;ufficiale Honda guidava la corsa con un margine immenso, eppure continu&ograve; a spingere come un dannato siglando il giro veloce. Ma poi perse l&rsquo;anteriore della sua NSR, provando comunque a tenerla su. Per lui quello di Phillip Island era un circuito stregato: ci ha vinto una sola volta, l&rsquo;anno dopo, a poche gare da un ritiro non programmato, a causa del volo a 180 all&rsquo;ora a Jerez. Numerose fratture, tanto bast&ograve; per alzare bandiera bianca dopo aver dominato un&rsquo;era. Un koala come mascotte, lo stile di guida avvitato in sella, sui fianchi delle Honda le livree Rothmans prima e Repsol poi. Fumo e lubrificante, tabacco e carburante, per un pilota con il fuoco dentro. Ma quando le cose andavano lisce come l&rsquo;olio, non lo ammetteva mai. Soprattutto agli ingegneri. Il GP della tua pole numero uno, Jerez 1990: caduto in prova, ti si incastr&ograve; una gamba nella parte posteriore della moto, tanto che i commissari impiegarono parecchio per liberarti. In gara scattasti male, recuperasti firmando il giro veloce, finendo per&ograve; fuori dal podio, quarto.  &ldquo;Stavo ancora cercando di capire le 500: prototipi molto leggeri, attorno ai 115 chili di peso, con telai rigidi, completamente diversi da quelli che avevo utilizzato fino a quel punto. Avevo esordito nel Motomondiale l&rsquo;anno precedente, mentre nel 1988 avevo corso con una Superbike e nella stagione prima con una Yamaha 250 derivata di serie che avr&agrave; avuto meno del 30% della potenza delle mezzo litro. Il salto fu decisamente grande: mi dovevo adattare, e se fare un giro veloce era una cosa, avere la fiducia necessaria per andare al massimo in tutta la gara era differente&rdquo;.  Nel 1989 avevi esordito come pilota Honda: il tuo materiale era come quello dei piloti di punta, Eddie Lawson e Wayne Gardner?  &ldquo;Non direi. Se non sbaglio il mio telaio era sette versioni pi&ugrave; indietro del loro- Poi c&rsquo;era la questione pneumatici: certi ufficiali ricevevano le gomme migliori, noi prendevamo il resto. La differenza sul giro, in qualifica, poteva essere di un secondo. C&rsquo;era praticamente una gara nella gara, decisa da questi aspetti&rdquo;.  Era una situazione difficile da accettare?  &ldquo;Diciamo che ci ho dovuto fare i conti. Poi arriv&ograve; la Suzuki, che mi fece un&rsquo;offerta per il 1991: mi voleva accanto a Schwantz. Restai in Honda perch&eacute; ebbi la garanzia di ottenere lo stesso materiale degli altri ufficiali. Nel team non ci sarebbe stato pi&ugrave; un numero uno, le novit&agrave; tecniche sarebbero state distribuite in modo equo&rdquo;.  A proposito di Schwantz: delle cinque volate per il primo posto che vi hanno coinvolti, ne hai vinta una e perse quattro.  &ldquo;Kevin era un pilota sensazionale, faceva cose straordinarie. Uno dei pi&ugrave; talentuosi contro cui abbia corso. La sua filosofia era rischiare tutto, vincere o cadere, mentre io ero anche disposto ad accettare un secondo posto, o il miglior risultato possibile, perch&eacute; pensavo che una stagione andasse affrontata cos&igrave;. Kevin era veloce, probabilmente il pi&ugrave; coraggioso di tutti noi. Quando gli andava bene trionfava e festeggiava. Quando andava male, finiva con un ruzzolone. Ed &egrave; accaduto spesso&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan: intervista esclusiva  Il primo successo arriv&ograve; in Ungheria, su un tracciato pieno di buche e in condizioni critiche, tanto da sollevare le proteste dei piloti perch&eacute; non sicuro: ci voleva del pelo?  &ldquo;In quel caso, penso che quello che descrivi come coraggio fosse il frutto di una fiducia costruita in anni di corse. A ci&ograve; faceva da contraltare la paura, quell&rsquo;ingrediente che a volte ti fa esitare abbastanza da farti evitare un viaggio in ambulanza. L&rsquo;importante era conoscere il limite. Altrimenti sarebbe stato pericoloso: per s&eacute; e per gli altri&rdquo;.  Parlando di incidenti, nel 1993 a Donington generasti la carambola coinvolgendo la coppia Suzuki: tamponasti Alex Barros, finendo poi addosso a Schwantz.  &ldquo;Avevo visto un varco in frenata, ma poi Alex chiuse lo spazio e ci fu il patatrac. Lo tamponai e, cadendo, andai addosso a Schwantz. Un casino: le moto che strisciavano a terra, sembrava di essere al bowling. Per fortuna c&rsquo;era una via di fuga abbastanza ampia davanti a noi. La responsabilit&agrave; fu mia: stavo tentando di approfittare di una situazione e improvvisamente il varco in cui volevo infilarmi non c&rsquo;era pi&ugrave;&rdquo;.  Un salto in avanti fino al 1998: a due minuti dalla fine delle qualifiche di Assen la sessione venne interrotta dalle bandiere rosse. Eri secondo, in prima fila, ma decidesti comunque di rientrare e spingere, chiudendo per un soffio il giro di lancio e poi stampando la pole. Nonostante quattro Mondiali gi&agrave; vinti non lasciavi agli altri nemmeno le Briciole.  &ldquo;Pi&ugrave; vinci, pi&ugrave; vuoi vincere, e pi&ugrave; senti che dovresti vincere. &Egrave; un appetito che viene mangiando. Ero abituato a essere in pole e quando non succedeva ero deluso. In quella specifica occasione, correvamo su una pista in cui i piloti equipaggiati con le Dunlop avevano un vantaggio, mentre io ero con le Michelin, pi&ugrave; costanti da un circuito all&rsquo;altro ma a volte non al livello della concorrenza. Volevo demoralizzare gli avversari, ecco il motivo. Era un gioco mentale&rdquo;.  Cinque titoli vinti e due sfiorati: eri in sella alla moto migliore?  &ldquo;Da pilota non ti senti mai al 100%, pensi che esista sempre del margine per migliorare. In alcune occasioni la mia Honda si comportava in maniera fantastica, ma quando succedeva non lo dicevo agli ingegneri. C&rsquo;era il rischio che si rilassassero. Ecco perch&eacute; nel 1999 nel mio box c&rsquo;era una moto con un telaio copia di quello Yamaha. Ero stato io a spingere per averlo. Appena mi sono ritirato, &egrave; sparito&rdquo;.  Qual era il tallone d&rsquo;Achille delle NSR? &ldquo;Avevano una gran velocit&agrave; di punta, ma non voltavano: era nel loro DNA. Yamaha e Suzuki in inserimento erano pi&ugrave; facili, e a centro curva per noi non c&rsquo;era modo di cambiare la traiettoria impostata, mentre loro riuscivano a chiudere meglio. Noi, per farlo, dovevamo rallentare troppo. Il telaio &egrave; stato il punto debole delle NSR nell&rsquo;arco di tutta la mia carriera, l&rsquo;aspetto a cui ho dedicato pi&ugrave; impegno. Per fortuna, di margine per lavorare ce n&rsquo;era parecchio: non c&rsquo;erano le limitazioni ai test e allo sviluppo come succede oggi in MotoGP. Arrivava sempre qualcosa di nuovo&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan il motivatore  Di preciso, su quel fronte qual era il tuo ruolo?  &ldquo;Da pilota, ero la componente organica che l&rsquo;ingegnere non poteva costruire o analizzare. Il tassello che poteva fare la differenza, perch&eacute; riportavo il mio feedback, le sensazioni. In questo senso, le abilit&agrave; risiedono anche nel modo di comunicare: come parli, quali gesti usi e via dicendo. In sostanza, devi farti capire. E non &egrave; cos&igrave; scontato, perch&eacute; hai davanti persone che parlano diverse lingue, dall&rsquo;italiano al francese, e vengono da culture a volte distanti, come quella australiana oppure europea, con approcci e modi di lavorare diversi che devono trovare una sintesi e funzionare&rdquo;.  Chi teneva le redini di tutta la faccenda?  &ldquo;Ero io il leader del box. Come penso fosse Michael Schumacher in Ferrari. Quando resti al top a lungo, com&rsquo;&egrave; successo a me, impari ad affrontare tutti gli aspetti: non sei un atleta che la domenica viene estratto da una scatola e messo su una moto per performare e basta, ti confronti con un ricco contorno. Relazioni con amministratori delegati, rappresentanti di aziende, sponsor, politici. Ci devi navigare, in mezzo a tutta quella roba, e il modo in cui lo fai pu&ograve; essere decisivo. E poi c&rsquo;&egrave; un team che lavora per te. Devi saperlo motivare e tenere unito&rdquo;.  Come si fa?  &ldquo;Con un comportamento da professionista: disciplina, puntualit&agrave;, etica lavorativa, determinazione. Il fatto &egrave; che io odiavo perdere. Lo detestavo proprio. Se vincevo lavoravo duro, e se non ce la facevo, lavoravo ancora di pi&ugrave;. Dopo un successo non ho mai pensato di rilassarmi, n&eacute; fisicamente, n&eacute; mentalmente. Dicevo al team: &egrave; stata una grande gara, ma ecco quali aspetti possiamo migliorare&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Mick Doohan e l'ossessione per la vittoria  &nbsp;Eri ossessionato?  &ldquo;Se ero impegnato nel mio mestiere, s&igrave;. Ma riuscivo a dividere il lavoro dalla vita privata. Penso ai pugili: quando sono sul ring, si trasformano&rdquo;. Esiste un segreto, per vincere?  &ldquo;A volte la differenza tra finire primo o secondo &egrave; piccolissima e dipende da quanto lavori sodo. Se mi chiedi chi era il pi&ugrave; forte fra me, Kevin, Wayne o altri, non penso fossimo cos&igrave; diversi nelle capacit&agrave; di guida. A essere decisivo era l&rsquo;aspetto mentale, relativamente sia a una gara che a un&rsquo;intera stagione. Correre &egrave; tutta questione di testa. Perch&eacute; devi gestire una marea di cose: la pressione, la posizione in cui ti trovi, la concentrazione e poi le distrazioni. Vince chi gioca meglio le sue carte. Magari sei in testa con cinque secondi di vantaggio e cadi. Se succede, &egrave; perch&eacute; hai avuto un calo di concentrazione&rdquo;.  Hai citato tante virt&ugrave;: ce le avevi dentro o le hai dovute acquisire?  &ldquo;Ci ho lavorato, non &egrave; successo in uno schiocco di dita. &Egrave; molto raro imparare qualcosa senza commettere errori. Da pilota, cerchi di ridurli al minimo e prepararti al massimo per prevenirli, ma sai che prima o poi qualcosa succeder&agrave;. Purtroppo, a differenza di altri sport, nelle moto il conto pu&ograve; essere salato. Perch&eacute; ci si fa male&rdquo;. Sito Pons: "Ho fatto scoprire la 250 alla Spagna" | Storie Sprint       

L'australiano: "Motivare il proprio gruppo di lavoro &egrave; un&rsquo;arte: quando dominavo, chiedevo alla Honda sempre qualcosa in pi&ugrave;. Come Schumi in Ferrari"

Mick Doohan: "Ero esigente con tutti. Odiavo perdere" | Storie Sprint

Dopo l&#39;excursus sui piloti che negli anni 70&#39; hanno lasciato un&#39;impronta particolarmente intensa nella storia del motociclismo, arriviamo in una decade tanto significativa quanto importante. Gli anni 80&#39; sono stati un periodo vincente per le due ruote in versione prototipo, come dimostra l&#39;avvento dell&#39;era dei piloti americani, dominatori della top class dal 1978, con l&#39;iride di Kenny Roberts, fino al 1993, con l&#39;ultimo mondiale vinto da un pilota a stelle e striscie (salvo poi tornare alla vittoria con Kenny Roberts jr nel 2000 e Nicky Hayden nel 2006). Nel mezzo si sono succeduti tanti corridori entrati nella storia del motomondiale, sia per il palmar&egrave;s acquisito che per l&#39;impronta umana e l&#39;eredit&agrave; tecnica trasmessa.  A svettare in questi rispettivi campi nelle piccole cilindrate furono Stefan Dorflinger, quattro volte campione del mondo tra la classe &quot;50&quot; e la &quot;80&quot;; Jorge Martinez, quattro volte iridato tra la &quot;80&quot; e la &quot;125&quot;; Fausto Gresini, bicampione nella &quot;125&quot; e infine Anton Mang, tre volte vincitore della classe di mezzo, la &quot;250&quot;. Per ci&ograve; che riguarda la top class, i piloti in grado di fare la storia in questa fortunata decade furono: Eddie Lawson, Wayne Gardner, Freddie Spencer, Marco Lucchinelli, Franco Uncini, Randy Mamola.  MotoGP, analisi delle lesioni pi&ugrave; comuni tra i piloti  Jorge Martinez, Stefan Dorflinger e Anton Mang monopolizzano le piccole cilindrate  La stagione 1983 fu l&#39;ultima per la classe &quot;50&quot;, che consegn&ograve; il testimone alla categoria &quot;80&quot; dal 1984 al 1989 (salvo poi essere definitivamente abbandonata). Lo svizzero Stefano Dorflinger fu l&#39;ultimo campione della pi&ugrave; piccola delle cilindrate, grazie ai titoli del 1982 e, appunto 1983, in entrambi i casi su Eugenio Lazzarini. Il computo totale dei mondiali vinti dal pilota svizzero sale a quattro considerando i mondiali vinti nella classe &quot;80&quot; nel biennio 1984\85, rispettivamente su Huberto Abold e Jorge Martinez. Proprio lo spagnolo fu l&#39;altro grande dominatore delle piccole classi, in virt&ugrave; delle conquiste iridate del 1986, 1987 e 1988 e del titolo in &quot;125&quot;, sempre nel 1988. In quest&#39;ultimo caso Martinez batt&egrave; la concorrenza di Ezio Gianola, mentre i primi tre campionati arrivarono precedendo in classifica rispettivamente Manuel Herreros (86&#39; e 87&#39;) e Alex Criville.  Il compianto Fausto Gresini fu uno dei piloti di riferimento del panorama motociclistico italiano nelle piccole cilindrate, in particolar modo nelle annate 1985 e 1987, quando vinse il titolo avendo la meglio su PierPaolo Bianchi e Bruno Casanova. Nel 1987 Gresini vinse in ben dieci gare su undici disputate, in sella alla Garelli. Con cinque titoli conquistati, il tedesco Anton Mang entra di diritto nella ristretta cerchia dei piloti pi&ugrave; iconici degli anni 80&#39;, in virt&ugrave; dei sigilli del 1980 e 1981 in &quot;250&quot; su Jon Ekerold e Kork Ballington, del 1987 sempre in &quot;250&quot; su Reinhold Roth ed infine del biennio 1981\1982 in &quot;350&quot; su Jon Ekerold e Didier De Radigues.&nbsp;  L&#39;era dei piloti americani domina in 500  Come detto, gli anni 80&#39; rappresentarono una fortunata decade per la top class del motomondiale, caratterizzata da un forte ed intrigante equilibrio tra piloti destinati ed abili a lasciare un forte segno per carisma e narrazione sportiva. Tra essi merita una prestigiosa citazione Randy Mamola, per ben quattro volte vice-campione del mondo ma talmente iconico per stile di guida ed irruenza in sella alla moto, da meritarsi un posto in questo speciale raggruppamento. Gli anni 80&#39; si aprirono con la doppia affermazione italiana rappresentata dai successi di Marco Lucchinelli, nel 1981 ai danni proprio di Mamola e di Franco Uncini l&#39;anno seguente su Graeme Crosby. Nel 1983 Freddie Spencer irruppe sulla scena della classe regina, vincendo il titolo in sella alla Honda davanti a Kenny Roberts. L&#39;americano biss&ograve; il titolo nel 1985, abdicando l&#39;anno prima, nel 1984, in favore di Eddie Lawson. Lo stesso Lawson firmer&agrave; poi altre tre affermazioni, nel 1986 e nel 1988 sull&#39;australiano Wayne Gardner (quest&#39;ultimo vincitore del titolo 1987), e nel 1989 sul connazionale Wayne Rainey.    MotoGP, Martin: &quot;Battere Marquez mi far&agrave; diventare uno dei migliori della storia&quot;  &nbsp; 

Da Jorge Martinez ed Anton Mang fino al periodo dei piloti americani con Eddie Lawson, Freddie Spencer e Randy Mamola.&nbsp;

MotoGP: I piloti pi&ugrave; iconici degli anni 80&#39; tra tutte le classi del motomondiale

Iconici, amati sia dai piloti che dagli appassionati, piste che hanno caratterizzato la storia del motociclismo e su cui tutti desiderano mettere le ruote

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