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Prova su strada: MV Agusta Brutale 800 Dragster

Compatta, aggressiva, bellissima. È la sorella anabolizzata della Brutale 800
Prova su strada: MV Agusta Brutale 800 Dragster

20 ago 2014

Dietro il fanale tondeggiante della Dragster e appena più in alto del tre cilindri, c’è un serbatoio che non tradisce le sue stesse origini ed un codino appena accennato, intangibile. La strettissima parentela che la lega alla Brutale 800 non è suggerita ma viva, presente in molti dettagli. Ma a guardarla bene, questa sembra tutta un’altra moto. Lo è. Il carattere aggressivo della nuda è presente più che mai e basta salire in sella, accennare una carezza alla manopola del gas, per scoprire che poco è cambiato, nonostante le migliorie apportate al ride by wire. Innegabilmente bellissima. La coda tronca, il frontale carico e ricco, le ricercate finiture e i molti (non tutti) raffinati dettagli, la pongono subito nell’Olimpo delle moto che si possono comprare anche solo per essere mostrate. Qualcuna finirà così: sarà come un quadro, che magari un giorno ci farà pensare: “Ecco, anche questo facevamo quando sapevamo fare le moto”. Molte saranno invece usate davvero. Porteranno in giro proprietari a tratti galvanizzati dalla gioia di possederne e guidarne una, a tratti maledicenti. Perché stando in sella qualche “moccolo” prima o poi si tira, è inevitabile. Parliamo di comfort? Pochissimo, quasi inesistente. La Dragster è ben dimensionata: serbatoio, manubrio e pedane sono distanziate come si vorrebbe. Però basta poggiare le natiche sulla sella per scoprirsi a bordo di qualcosa che ricorda da vicino una di quelle panchine al parco, di ferro e basta. Durissima, punto. Il suo mestiere non è però essere una compagna di viaggio. È una risposta ai bisogni della quotidianità. È pensata per regalare qualche minuto di brivido e di intenso piacere. Ed è un lavoro che svolge benissimo. Se fosse donna, sarebbe un’amante. Focosa, bellissima. Il tre cilindri è una trascrizione del principio della passione: ad ogni rotazione del polso destro corrisponde un brivido che sale lungo la schiena e va ad insinuarsi in un posto che sta più o meno al centro del petto. Il suono, che al minimo è un respiro quasi impreciso, un rantolo, col salire dei giri diventa un urlo lacerante, un coro perfetto di tre pistoni che suonano la stessa nota, in tempi diversi e vicinissimi. Basterebbe questo per giustificare i 13.490 euro richiesti per entrarne in possesso. La verità è che non è così, che questa moto ha sì una sua ragione d’essere ma non è comune alle altre tre cilindri con i 37 titoli mondiali sul serbatoio.  Proviamo a scoprire perché. Il testo completo della prova lo trovate su Motosprint in edicola da martedì 19 agosto. Strumentazione-21 Tecnica_20

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