SBK, Montella: "Il paddock MotoGP può essere spietato, mi sono ricostruito grazie alla mia testardaggine"

L'INTERVISTA - Yari a 360°: "Quando a 20 anni sei in Moto2 e tutto scivola via, un po' fa male. Dalle mie parti in pochi mi conoscono, con Barni ormai è una storia seria"

SBK, Montella: "Il paddock MotoGP può essere spietato, mi sono ricostruito grazie alla mia testardaggine"

Gianmaria Rosati Gianmaria Rosati

7 ago 2025

Nel motociclismo odierno la possibilità di vivere tre o quattro carriere diverse nel giro di pochi anni è un qualcosa che tutti i piloti emergenti devono mettere in conto, ma per mantenere la testa alta e reggere l’urto serve mente lucida e coraggio. Un mix di caratteristiche che a Napoli riassumono nella parola cazzimma, quella che ad un campano come Yari Montella non manca. Del resto partire dalla provincia salernitana ed arrivare sino alla Moto2 non è da tutti, così come non lo è rialzarsi dopo la fine di quella esperienza, con la necessità di ricostruirsi una volta di più. Di tutto questo e non solo abbiamo parlato con Yari, che oggi difende i colori del team Barni ed è pronto a farlo anche nel 2026.

Come si descriverebbe Yari come pilota?

“Innanzitutto parlerei un pilota che ci mette tutto sé stesso, ed è anche abbastanza testardo. Il classico pilota che davanti ad un problema ci sbatte contro fino a quando non trova una soluzione, o finchè il problema stesso cede. Forse è un po’ una caratteristica dei capricorni, almeno così si dice. Metto il cuore in tutto quello che faccio, cercando anche di rubare qualcosa a chi in quel momento è migliore”.

E come persona invece?

“Non cambia molto dato che riesco ad essere abbastanza me stesso anche nella vita di tutti i giorni. Magari in quel frangente sono meno egoista, dato che il motociclismo è uno sport individuale e tendi ad essere un po’ più egoista, pensando più a te ed a mettere in crisi l’avversario. Nella vita di tutti i giorni per me è il contrario, mi piace aiutare chi è in difficoltà e magari dare un consiglio in base alla mia esperienza”.

Quanto è stato difficile per un ragazzo campano inseguire il sogno di correre in moto?

“Abbastanza, del resto la Campania non è la Romagna. Non tanto per le infrastrutture quanto per la mentalità che non c’è: il motociclismo è uno sport poco conosciuto, di conseguenza anche la ricerca di sponsor non è facile, dato che ti presenti e spesso il tuo interlocutore non sa neanche di cosa parli. Con queste premesse però essere arrivato dove sono è un motivo d’orgoglio, e l’obiettivo è quello di rimanere qui per più tempo possibile. E’ un qualcosa che mi stimola, anche pensando alle persone che mi conoscono: per assurdo da me non mi conosce nessuno, ma semplicemente perché lo sport non è conosciuto, quindi per esempio ha meno forza mediatica della squadra locale di calcio”. 

 

Il poster in camera, l'avventura in Moto2 e le lezioni imparate

Lo Yari ragazzo di chi aveva il poster in camera?

“Onestamente di Marquez (sorride ndr). Non tifo nessuno perché non è nella indole, ma se devo studiare qualcuno devo studiare il più forte, che in questo momento è Marc. Non c’è molto da girarci intorno”.

Come hai gestito la separazione da Boscoscuro nel 2021? È stato il momento più difficile della tua carriera?

“Decisamente, il momento più basso. Sono arrivato a meritarmi quell’occasione dopo alcuni alti e bassi, ed una volta arrivato in quel contesto sentivo quasi di aver raggiunto uno dei miei obiettivi: del resto volevo arrivare al mondiale e imparare il più possibile. Poi però, quando vedi che tutto questo ti scivola dalle mani per un infortunio, è stato difficile da accettare. Mi sono dovuto ricostruire, per fortuna dalla Supersport, e piano piano ne sono venuto fuori. Resta il momento più basso della mia carriera: quando un ragazzino di 20 anni si vede in Moto2 e tutto sfugge a causa di un infortunio, un po’ fa male. Per fortuna ho avuto la mia famiglia vicino, anche se i momenti di sconforto non sono mancati: ero pronto a lasciare tutto, dato che non riuscivo a venirne fuori, però grazie a chi c’è stato sono riuscito a rialzare la testa, diventando quello che sono oggi. Ora posso dire che ho tratto del positivo da quella vicenda e seguo la mia strada”.

Cosa ti ha lasciato la Moto2?

“Il paddock MotoGP in generale mi è sembrato molto spietato. Il fattore umano è inesistente, mentre in SBK c’è più umanità. Stando alla mia esperienza, in Moto2 mi sono sentito eliminato senza tante spiegazioni: da un lato lo capisco pensando alle cose in ballo, ma dal punto di vista del pilota tutto questo non ti regala tranquillità, e ti costringe anche a muoverti in un certo modo dal punto di vista mediatico, per cercare di costruirti un nome prima di cogliere risultati. Abbiamo visto piloti che grazie al loro nome sono rimasti in categoria, ottenendo la continuità utile per arrivare a cogliere risultati. A me non piace apparire prima di aver dimostrato chi sono, e forse questa è un’arma a doppio taglio”.

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