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SBK, Troy Corser: "Vincere con la Suzuki è stato speciale"

L’australiano è stato il solo a portare la Suzuki sul trono della Superbike: "E questa 'unicità' mi ha fatto gustare il titolo del 2005 più di quello vinto nove anni prima con la Ducati. Con Batta avevo trovato il mio team ideale, e con la GSX-R in gara potevo fare quello che volevo, e proprio come volevo"

SBK, Troy Corser: "Vincere con la Suzuki è stato speciale"
© GpAgency

Mirko ColombiMirko Colombi

9 lug 2021

Al pari di James Toseland, Troy Corser è uno dei due piloti nella storia della Superbike ad aver vinto il titolo con due differenti Marche. Mentre l’inglese trionfò con la Ducati nel 2004 e riuscì a ripetersi in Honda nel 2007, l’australiano conquistò il primo alloro nel 1996 in sella a una rossa 916 e, nove anni più tardi (un record nella distanza tra due titoli in SBK), centrò il bis con una Suzuki K5. Bicilindrico o quattro in linea? Ducati o GSX-R? Guardandosi indietro, Corser non appare per nulla indeciso, se chiamato a scegliere l’impresa preferita: “Ovviamente, il primo Mondiale vinto sarà sempre indimenticabile – svela il quarantanovenne di Wollongong – tuttavia ricordo con maggiore piacere il successo ottenuto la seconda volta. Il motivo è semplice: nel 1996, correndo con una Ducati, sapevo di avere la moto migliore della griglia e confermai quel pensiero affermandomi con una 916 già pronta al successo. Invece, pensando alla vittoria con la Suzuki, mi viene in mente che nessuno prima di me era riuscito a realizzare ciò che concretizzai io. Perciò, dico che vincere con la GSX-R 1000 è stato davvero speciale. Per me quel 2005 resta la soddisfazione più grande di tutta la mia carriera, inoltre correvo per il miglior team della SBK. Dopo l’esperienza vissuta in Petronas, la Suzuki mi diede l’opportunità di gareggiare per le posizioni importanti e io la sfruttai al meglio”.

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"Correre per il Team Alstare era sempre stato un mio sogno"


Gli anni in Petronas avevano un po’ inficiato le tue quotazioni.

“Correndo con la Suzuki, è stato bello ritrovare la sensazione di poter essere competitivi. Avevo sempre sognato di correre per il Team Alstare Corona, una squadra presente in Superbike da tanti anni. Ho potuto beneficiare della loro esperienza professionale, con il supporto di Francis Batta e della moglie Patricia. Ammetto che desideravo entrare in Alstare già dai tempi in cui vinsi il titolo con la Ducati. Stiamo parlando, addirittura, del 1996”.

È stato più difficile realizzare la prima impresa oppure ripetersi?

“La 916 e la GSX-R erano moto piuttosto simili in termini di competitività, però bisogna notare che nel 2005 il Team Alstare non era veramente ufficiale. Con la Ducati, invece, avevo uno status “factory” vero e proprio. Assieme alla Suzuki ho lavorato a stretto contatto con gli ingegneri nella squadra e con il supporto della Casa; abbiamo avuto l’opportunità di provare parti nuove per la nostra moto e svilupparle bene. Secondo me, la Suzuki GSX-R è stata la moto con cui ho creato la maggiore simbiosi. Potevo derapare, impennare, fare quello che volevo in gara, anzi, farlo come volevo. Soltanto in un paio di tracciati non mi sono ritrovato contento al 100%. Il pacchetto Suzuki è stato quello più completo che io abbia avuto”.

Si dice che tu utilizzassi poca elettronica, forse pochissima.

“Lo confermo al 100%. La mia GSX-R 1000 aveva a disposizione un grande pacchetto elettronico, però Massimo Neri – il mio elettronico – aveva già lavorato con me e sapeva di quanta poca elettronica io avessi bisogno. Non abbiamo mai usato tutto il potenziale offerto, anzi, ne abbiamo sfruttato soltanto una piccola parte, il minimo indispensabile, principalmente per conservare le gomme in alcuni particolari tracciati. Mi piaceva avere il controllo totale dal mio polso destro perché, da buon australiano, sono cresciuto nel Cross, nel Dirt Track e nel Flat Track. Proprio come hanno fatto Wayne Gardner, Mick Doohan, Garry Mc Coy e Casey Stoner. Per loro e per me, imparare a guidare in quel modo, cioè di polso, risultò naturale”.

La sfida con Vermeulen


Cosa ha significato per l’azienda Suzuki vincere il titolo in SBK?

“Ha significato tantissimo: chi correva con la Ducati, andava ‘sul sicuro’, poiché c’erano stati numerosi piloti campioni del Mondo. Con la Suzuki, invece, nessuno ci era mai riuscito. Farcela con la GSX-R mi ha lasciato una soddisfazione immensa. Una soddisfazione ancora più importante per i Batta, al meritato trionfo dopo anni di gare. Il rapporto che abbiamo costruito per vincere è l’emozione più grande che io possa ricordare. Per me il Team Alstare era paragonabile a una grande famiglia. Dai meccanici agli ingegneri, sino ai piloti, andavamo d’accordo e ci divertivamo. Con Yukio Kagayama il rapporto era perfetto, non avevo mai avuto una squadra così valida e corretta. Per noi il risultato complessivo era più importante di quello individuale e questo caricava tutti allo stesso modo”.

Nel 2005, grazie a otto vittorie, cinque secondi posti e cinque terzi, hai relegato il connazionale Chris Vermeulen, con la Honda, a più miti consigli.

Chris era veloce e forte ma, soprattutto, molto più giovane di me. Aveva quasi 11 anni in meno, ed è stato uno degli avversari più competitivi e talentuosi che io abbia sfidato e battuto; senza l’infortunio che ne ha segnato la carriera, avrebbe potuto ottenere anche di più. Vermeulen faceva parte di quel gruppo di australiani davvero forti venuti in Europa”.

Quando vedremo in SBK il prossimo Troy Corser?

“In Australia il campionato nazionale sta crescendo. Per tanti anni le corse erano con moto di serie, i piloti avevano poco supporto dalle Case. Adesso c’è più coinvolgimento, ci sono ragazzi interessanti con buone squadre e opportunità. Non tanti piloti hanno più di una o due stagioni per mettersi in luce, quindi ci vorrà più tempo per vedere australiani al top. Non c’è tempo oggi per costruire una carriera di 15 anni come la mia, forse tre o quattro stagioni rappresentano la chance attuale, poi arriva qualcun altro. Il denaro conta parecchio, nel passato era più importante la velocità”.

Tra Motomondiale e SBK, nell’era moderna la Suzuki non ha raccolto tantissimo. Perché?

“Onestamente non saprei dirlo. Forse le altre Case hanno messo più supporto nel racing, inserendo quella voce come priorità della sezione business. Al Team Alstare, il marchio Corona aveva offerto un buon budget: se prima, in SBK, la Suzuki non aveva uno sponsor del genere, con i finanziamenti di Corona abbiamo fatto promozione, sessioni di test, avevamo una bellissima hospitality, presentazioni di livello e lo sviluppo della moto. Tutto il resto è arrivato di conseguenza: e ovviamente parlo del titolo del 2005 (ride)”

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