Polvere di Stelle: la storia delle intuizioni all'italiana

Polvere di Stelle: la storia delle intuizioni all'italiana

Il trend dei motori pluricilindrici venne dettato anche dalla Bianchi, con la 500 collaudata da Alberto Ascari, e dalla Benelli, con modelli che tuttavia furono meteore

25.07.2022 ( Aggiornata il 25.07.2022 21:09 )

Benelli


Nel 1939 la Benelli vinse con l’inglese Ted Mellors la classe 250 al Tourist Trophy lasciandosi alle spalle, con un distacco di quattro minuti, Ewald Kluge, pilota ufficiale DKW. La sua monocilindrica bialbero aspirata erogava 27 CV e al TT in prova aveva stabilito un fantastico record sul giro, migliore anche di quello delle 350. La Casa pesarese disponeva di una 250 estremamente competitiva, ma di fronte ai continui incrementi di potenza esibiti dalle Moto Guzzi sovralimentate, puntò su un ulteriore sviluppo, dapprima applicando anch’essa un compressore alla monocilindrica, quindi “saltando il fosso” realizzando una rivoluzionaria quattro cilindri bialbero sovralimentata.

La bancata era disposta in linea trasversale, leggermente inclinata in avanti e raffreddata ad acqua. Con alesaggio e corsa di 42x45 mm, l’accensione a magnete e un compressore Cozette azionato da ingranaggi collegati alla trasmissione primaria, il motore erogava l’impressionante potenza di 52 CV a 10.000 giri. Tanta innovazione non trovava riscontro nel telaio che praticamente era lo stesso della 250 “mono” adattato per ospitare il propulsore di maggiore ingombro. Due interessanti episodi di cui fu protagonista questa moto emersero in una conferenza tenuta nel 1995 dall’AISA (Associazione Italiana per la Storia dell’Automobile).

Il relatore, Augusto Farneti, uno dei massimi esperti dell’evoluzione del motociclismo in Italia, purtroppo scomparso nel 2014, raccontò che il collaudatore della Benelli-4, Salvatore Baronciani, una volta cadde, disarcionato in accelerazione dal bolide, ma un’altra stabilì sulla strada Pesaro-Fano il primato non ufficiale di velocità per una 250, a oltre 230 km/h. La guerra pose fine ai collaudi e alla vita della rivoluzionaria moto pesarese. Il prototipo però si è salvato e per anni è stato il pezzo più pregiato del favoloso museo Morbidelli.

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