Polvere di stelle: ascesa e declino della Caproni

Polvere di stelle: ascesa e declino della Caproni

Dopo la riconversione, l’azienda trentina passò dai velivoli alle moto, ed ebbe successo con il Capriolo, ma non bastò per evitare la crisi di inizio anni ‘60

11.03.2022 17:08

Divenuto portabandiera dell’industria aeronautica italiana durante la Prima Guerra mondiale, nei vent’anni successivi Giovanni Battista Caproni aveva consolidato questa sua posizione espandendosi industrialmente anche all’estero, conquistando record mondiali e mirando a traguardi tecnici sempre più ambiziosi.

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Dagli idrovolanti alle due ruote


Fra questi, l’idrovolante per passeggeri Ca.60 “Transaereo” del 1921, il più grande del Mondo nel suo genere, con tre ali triplane e otto motori, e il Campini-Caproni CC-2 del 1940, che fu preceduto nella sperimentazione della propulsione a reazione soltanto dall’Heinkel HE-178, ma che stabilì un primato mondiale nel 1941 volando da Milano a Roma. Poi l’Italia precipitò nel disastro della sconfitta militare della Seconda Guerra mondiale e con essa la Caproni, che da industria aeronautica d’avanguardia dovette subire l’onta del fallimento e mettersi alla ricerca di nuovi orizzonti produttivi, presto individuati nella motocicletta.

L’approccio con le due ruote motorizzate avvenne nel 1946, dapprima con un motorino ausiliario per biciclette progettato in proprio a Taliedo e rimasto allo stadio di pre-serie per l’eccessiva complessità e i costi di produzione a essa legati. Nello stesso anno, però, lo stabilimento di Arco di Trento, in accordo con il progettista del Ducati “Cucciolo” iniziò a produrre in serie un telaio elastico speciale, un’operazione che diede buoni frutti e convinse i dirigenti della Caproni ad accettare nel 1949 una commessa della Mondial per la costruzione di 1000 telai per le 125 dei fratelli Boselli.

Il passo successivo - pressoché inevitabile - fu la progettazione di un’intera motocicletta. Si cominciò nel 1950 con l’allestimento del prototipo di ciclomotore di 48 cm³, non uno fra i tanti, bensì un motorino del tutto originale, con ciclo a quattro tempi, albero motore rotante in senso trasversale rispetto all’asse del veicolo, coppia conica per la trasmissione primaria e distribuzione con coppia conica inferiore, asta verticale e tazza orizzontale con camme agenti su due bilancieri.

Il Capriolo


Evidentissima l’intenzione del progettista di proporre qualcosa capace di distinguersi nel panorama tecnico non soltanto nazionale. Il ciclomotore, battezzato “Capriolo”, non ebbe successo, ma la Aero-Caproni trentina non si arrese e nel 1951 presentò lo stesso motore con cilindrata di 75 cm³ e con un telaio anch’esso decisamente originale: un doppia culla chiusa in lamiera stampata con forcella idraulica a steli inferiori e sospensione posteriore a forcellone oscillante con ammortizzatori a frizione. Il Capriolo 75, a differenza del 48, incontrò il favore del pubblico: i suoi 3,5 CV erano sufficienti a garantirgli buone prestazioni e forse fu anche l’originalità tecnica, nonché la fama di quel marchio glorioso e indimenticato, ad assicurargli il successo commerciale. Avuta così la conferma della bontà delle soluzioni adottate, i progettisti della Aero-Ca proni nel 1952 si spinsero ancor più avanti creando il Capriolo Cento-50, con motore bicilindrico boxer replicante le caratteristiche tecniche del 75.

In Italia, per l’epoca, una 150 a due cilindri era una moto importante, una “top di gamma” che si proponeva ai motociclisti più appassionati e appartenenti alla borghesia medio-alta; ricordo che nella mia città, Faenza, ce n’era una e apparteneva a un farmacista. Il prestigio del Cento-50 non riuscì però a prevalere sulla crescente fama del Capriolo 75, alla quale contribuì la constatazione che la piccola moto Caproni era in grado di ben figurare anche nelle corse di Velocità e di Regolarità. Sopportava infatti anche generose elaborazioni senza perdere nulla in affidabilità, e lo dimostrò il pilota Claudio Galliani che nel 1954 e 1955 portò la 75 alla vittoria rispettivamente nella Milano-Taranto e nel Motogiro.

Alla fine del 1956 al Salone del Motociclo di Milano debuttò il Capriolo 125, che manteneva il caratteristico telaio in lamiera stampata e la distribuzione monoalbero in testa con alberino verticale e camme a tazza, ma il motore era completamente ridisegnato, con l’adozione dell’albero motore in posizione classica a rotazione longitudinale. Tale modello fu l’ultimo marcato Aero-Caproni: dal 1957 la Regione Trentino-Alto Adige si accollò la gestione e la proprietà dell’azienda, entrata in profonda crisi finanziaria nonostante il buon andamento delle vendite, e la ragione sociale mutò in Aeromere (dapprima Aero-Metallurgica-Regionale, poi Aero-Meccanica-Regionale). Nel volgere di quattro anni, la gamma produttiva fu completamente rinnovata: nel 1958 fu presentato il Capriolo 75 in tre versioni, con il nuovo motore basato su quello del 125 e un telaio monoculla chiusa in lamiera stampata munito di sospensioni teleidrauliche. Tale ciclistica fu adottata nel 1959 sul 125, infine nel 1961 fece la comparsa il modello 100 con le medesime caratteristiche tecniche del 75 e del 125.

Il declino


Se nei primi cinque anni del decennio il Capriolo 75 si era distinto nelle corse di Velocità, specialmente sulle lunghe distanze, dal 1958 al 1961 il 75 e il 125 divennero quasi imbattibili nelle corse di Regolarità, vincendo anche numerose medaglie d’oro alla Sei Giorni Internazionale. Ma tutto questo non bastò a evitare la crisi definitiva dell’azienda: il crollo generalizzato del mercato motociclistico, motivato dal boom dell’utilitaria a quattro ruote, unito a errori di gestione, portò dapprima la dirigenza a sperimentare soluzioni produttive diverse, come un motoscafo entrobordo, poi alla cessazione dell’attività industriale alla fine del 1962. C’era, a Vizzola Ticino, nei pressi di Busto Arsizio, una seconda fabbrica motociclistica avviata dalla Caproni nel 1953, nello stabilimento in cui – finché gli eventi bellici non lo avevano impedito – si erano costruiti aeroplani. La Caproni-Vizzola, a differenza della Aero-Caproni di Trento, scelse di produrre motociclette con ciclistica di propria progettazione e motore NSU.

Va precisato che in quel momento la fabbrica tedesca era qualitativamente ai vertici della produzione mondiale, per cui il modello Max 250, con cui la Casa lombarda debuttò sul mercato presentando una moto dal design più raffinato dell’originale tedesco, ottenne un buon gradimento, limitato comunque dal fatto che tale cilindrata aveva ancora una scarsa diffusione per motivi economici. Per questo motivo, al modello Max vennero affiancati il Lux 200 con motore NSU a due tempi da 8,6 CV, decisamente meno appetibile del Max anche se più economico d’acquisto, e il 175 motorizzato da un monocilindrico FBM a quattro tempi. Nel 1955 infine entrò in produzione il Capriolo Quickly 48 propulso da un NSU a due tempi due marce. La Caproni-Vizzola non riuscì mai a conquistare quote soddisfacenti di mercato, per cui già nel 1959 cessò la produzione motociclistica e fu ceduta alla Agusta.

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