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Il neoiridato si descrive in esclusiva: "Sono riflessivo e in pista guido conservativo. Il titolo è per mio padre, che mi ha fatto conoscere le corse"
18 nov 2024
Occhi profondi e sinceri, una stretta di mano decisa e rispettosa e un sorriso timido dietro quella apparente calma tipica degli asiatici. È il primo impatto con Ai Ogura, che con il titolo della Moto2 ha riportato il Giappone sul tetto del Mondo.
Dopo aver scherzato nel box con i membri del Team MT Helmets-MSi, si fa serio per l’intervista, in cui pondera ogni risposta, prendendosi il tempo necessario. Con tre vittorie e quattro secondi posti, Ogura è stato il terzo giapponese a vincere il titolo nella classe di mezzo dopo il successo di Hiroshi Aoyama nel 2009 (ultimo anno della 250) e del compianto Daijiro Kato nel 2001, proprio l’anno in cui Ogura è nato.
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Hai avuto modo di metabolizzare la gioia: che effetto fa aver vinto il titolo?
“Ha un buon sapore. Ho realizzato che abbiamo fatto qualcosa di grande. Vedo che le persone del mio box sono molto felici e rilassate, è molto bello”.
Cosa è successo nel “dietro le quinte” di questo titolo?
“Potrei dire tante cose… Seriamente, il momento chiave della stagione è stata la vittoria di Misano, dopo il mio infortunio (si tocca la mano destra, nde), ma anche la scelta azzeccata delle gomme a Motegi. Questi due episodi sono stati molto importanti per il campionato”.
Il momento più difficile è stato l’incidente in prova al Red Bull Ring?
“Sì, quando mi sono infortunato. Ho pensato che forse la mia lotta per il titolo si esauriva lì, è stato il momento peggiore. Tra l’altro si trattava soltanto della mia seconda caduta dell’anno: la prima era stata nei test di Jerez”.
Com’è andata?
“Quando ho provato ad alzare la moto, ho sentito qualcosa di strano alla mia mano. Ho subito pensato che ci fosse qualcosa di rotto. Poi ho cominciato a non sentirmi bene, a sudare e ho pensato che non avrei preso parte al GP. Ero molto triste. Per fortuna la frattura non è stata qualcosa di complicato e ad Aragón ero di nuovo in moto”.
Il giorno più bello, invece, qual è stato?
“Eccetto la domenica della vittoria del titolo, direi il primo successo ottenuto a Barcellona. In quel momento gli altri tre piloti sulle Boscoscuro (Sergio Garcia, Fermin Aldeguer e Alonso Lopez, nde) avevano già vinto una gara e io ero l’unico a non esserci ancora riuscito. Il mio compagno di squadra, Garcia, ne aveva già vinte due, sentivo la pressione. Per questo il primo successo è stato importante e da quel momento le mie prestazioni sono migliorate”.
Quando hai capito che potevi vincere il titolo?
“Durante la stagione non ho mai pensato che fosse impossibile lottare per il titolo: eravamo consapevoli del nostro potenziale. Sapevamo di poter lottare per la vittoria, per il podio, chiudere il gap. Forse con la vittoria di Misano 1, dopo il mio infortunio, ho davvero pensato di potercela fare”.
Cosa pensi di aver avuto in più rispetto ai tuoi rivali?
“Sono stato molto più costante, ho commesso meno errori, penso di aver gestito meglio le situazioni. Ma quello che riuscivano a fare loro in pista è stato incredibile. Garcia, Aldeguer, Lopez, sono tutti grandi piloti, molto veloci. Alcune volte non ho potuto fare niente per batterli, ma in generale, in 20 gare, sono stato migliore. Ci ho sempre creduto, anche prima che cominciasse la stagione. Sono molto felice del lavoro svolto quest’anno”.
Cosa significa questo traguardo per te?
“Il mio sogno era quello di vincere un titolo, a prescindere dalla categoria. È un sogno che si è realizzato. È tutto quello che volevo nella mia carriera”.
E cosa significa per il Giappone?
“Come abbiamo visto, negli ultimi dieci anni il Giappone non è stato così forte come negli Anni ‘80 o ‘90. Però da quando è cominciata l’Asia Talent Cup sono arrivati molti giapponesi competitivi, penso anche ad Ayumu Sasaki e Kaito Toba. Senza questa generazione, il Giappone avrebbe faticato a tornare in alto, per questo sono molto felice, e sono orgoglioso di essere il giapponese che ha riportato il nostro Paese così in alto. Ora possiamo tirare un’altra linea da cui possono ripartire altri nostri connazionali. Questo titolo ha un’importanza notevole per noi, spero che arrivino molti giovani piloti giapponesi”.
Dall’Asia Talent Cup a diventare campione del Mondo: cosa c’è stato in mezzo?
“Ho avuto una carriera piuttosto ‘normale’. Ho vissuto due stagioni nell’Asia Talent Cup, due nella Rookies Cup, due anni nella JuniorGP, altri due in Moto3. Ho dato tutto me stesso ogni anno e poi è arrivata la Moto2. Due anni fa ho avuto la prima occasione di vincere il titolo, e dopo tanto allenamento l’ho ottenuto. Passo dopo passo”.
A chi dedichi questo titolo?
“A mio padre. È stato un pilota e mi ha portato lui nel mondo delle corse. È sempre con me negli allenamenti che svolgo quando torno a casa. Durante la stagione vivo a Barcellona, mentre la mia famiglia è in Giappone".
Quando hai realizzato che saresti diventato un pilota?
"Ho cominciato a prendere sul serio questo sport con l’Asia Talent Cup. Prima i miei genitori mi portavano ogni fine settimana nei circuiti, ma in fondo era soltanto divertimento, non avevo il sogno di diventare pilota. Poi ho capito che i miei genitori investivano molto tempo ed energie per me e a quel punto è stato tutto differente”.
Chi è stato il tuo idolo?
“Quando ero piccolo non guardavo la MotoGP perché ero soltanto interessato alla mia moto e ai miei weekend in pista: non ero un fan delle gare. Per questo non ho mai avuto un vero e proprio idolo, ma so bene che Daijiro Kato è stato il miglior pilota giapponese. Mi è sempre piaciuto”.
Adesso è il tuo turno di approdare in top class.
“Sì, sono pronto. Sono un po’ preoccupato di mettermi alla guida di una MotoGP e andare a 350 km/h. I nomi dei rivali sono quelli di grandi piloti. Mi auguro di prendere le misure nei pochi giorni di test, perché al momento non conosco la moto e la categoria”.
Sarai sull’Aprilia del Team Trackhouse.
“Ho parlato diverse volte con Davide Brivio. Non lo conosco molto bene, così come non conosco molto il team in cui andrò, ma lo farò presto, perché a breve inizierà quel nuovo capitolo”.
Con il ritiro di Takaaki Nakagami sarai l’unico rappresentante giapponese in MotoGP. Ne avete parlato?
“Con lui non parlo tanto. Sono più vicino ai miei connazionali che corrono in Moto2 e Moto3”.
Come ti descrivi come persona e come pilota?
“Sono un ragazzo di 23 anni, e mi considero piuttosto normale. Sono una persona calma. Dicono di me che sono un anziano nel corpo di un giovane, per la mia mentalità. Riguardo al mio stile di guida, direi che sono un pilota che controlla, più conservativo, ma so che ho bisogno di andare un po’ oltre. È quello che mi manca, sono sulla buona strada per riuscirci”.
Sarai anche un caso più unico che raro di giapponese su moto non giapponese.
“Non la vedo come una cosa negativa, è uno step normale per me, quello di un pilota che passa dalla Moto2 alla MotoGP. Può essere buono perché in futuro un altro giapponese magari potrà più facilmente passare su una moto che non sia giapponese”.
Sei cresciuto con la Honda, con loro è un addio o un arrivederci?
“Io vorrei finire la mia carriera sportiva con la Honda. Un giorno spero di tornare con loro. Ma ora sono felice dell’occasione con l’Aprilia e mi concentro su questa”.
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