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Mirko Colombi
17 lug 2025
Occhi dapprima lucidi, poi bagnati di lacrime. Tante parole, magari preparate ad hoc, ma emozioni naturali. Il "ciao" alla stampa, il "come stai" degli addetti ai lavori. Lo sgabello della conferenza in TV, unico, dedicato a lui, al centro della stanza. Come quando aveva vinto il titolo MotoGP perché, ricordiamolo, Jorge Martin è il numero 1 della classe regina. Nonostante l'effige, forse per forzate assenze, mai ha palesato autorità o sudditanza, perché a lui interessa solo una cosa: correre, il più veloce possibile, battendo tutti. Il resto, malgrado si abbia citato il vil denaro, conta. Fino a un certo punto. E, probabilmente, il ventisettenne di Madrid, che parla un ottimo inglese, se ne è reso conto.
Se conoscete Jorge, quanto leggerete vi sembrerà di averlo già letto. Oppure, no: Martinator non è un cyborg, anzi: quando lui salta in sella, usa più cuore che testa, mettendolo al servizio della guida e dando tutto quanto può. Anni di contatti e parole ci suggeriscono il concetto: Martin vuole vincere per sé stesso, altrettanto per gli altri.
Quindi, ripercorriamo quanto accaduto in circa sei mesi, anzi, nove. Ottenuto l'alloro assieme al team Pramac, le strade si sono divise. La squadra è passata a Yamaha, il pilota in Aprilia. E' stato come separare due coniugi di un matrimonio perfetto.
Ovunque sarebbe andato, Jorge ne avrebbe trovato differenze. Ancora più grandi, nella fattispecie: Borgo Panigale - frequentata da "satellite" - e Noale sono vicine, ma solo in termini geografici. I due mondi sono talmente differenti, da sembrare estranei. E lui se ne è accorto, per la prima volta in carriera investito ufficialmente. La novità, in parte, lo ha travolto. E dire che, ci crediamo, il binomio Martin-Aprilia può battere Marc Marquez con la Ducati. Questo è l'obiettivo.
Cadi, rompiti, ricadi, rompiti di nuovo, cadi ancora, rompiti per l'ennesima volta. Il tutto, condito con sale operatorie, dolori, antidolorifici e letti duri come marmo, per giunta attorniati di solitudine. Mentre i rivali, sì quelli battuti, correvano, Jorge stava male.
Fuori, lo sappiamo. Pure dentro. Un pilota è così: vuole guidare, rischiando consapevolmente, ma chissene: è felice solo quando affronta il pericolo. Per un purosangue quale Martin, il pericolo rappresenta l'ossigeno, che faticava ad arrivare quando i polmoni erano bucati.
La paura, spesso stigmatizzata dai piloti, esiste. Eccome se esiste. E' lì, silenziosa. E, meno la senti, più fa baccano, giungendo improvvisamente, a volte nemmeno si sa perché, nel caso del numero 1, consapevolmente: e se succede quanto è già successo, quale emozione dovrò gestire. La psiche, complicata e protettiva, fa giustamente il proprio lavoro. Come? Mettendoti dubbi di ogni sorta, tra cui: "Mica dovrei stare qui. Sono il migliore, merito il meglio, anche economicamente. Zero sconti". Pensiamo l'abbia pensato.
MotoGP di Brno in TV: guardala anche tu!
Usare i media per avvertire, usare la stampa per chiedere, usare i social per precisare, usare la moto per tornare sé stesso. Martin, in sintesi, ha camminato sul filo sottile, pronto a spezzarsi. Il pilota e Albert Valera, manager da tempo, volevano cambiare aria, ma un'aria ancora da respirare.
Se entro tot gare la RS-GP non occupa certe posizioni, me ne vado. Più o meno. Peccato che lui, l'Aprilia, in gara l'abbia condotta solo a Lusail. Facendosi male e, per fortuna, si è "solo" fatto male. Niente, me ne vado. Honda mi vuole e, vi dirò, pure io la voglio. Laggiù mi pagano di più. Il duo assistito-assistente, l'ha pensato. Dai.
Aprilia All Stars, la sella ripresa, i sorrisi, il calore del pubblico. L'apertura di Massimo Rivola, la gentilezza dello sfaff. A Noale hanno capito: dobbiamo volergli bene. Ehi, ma già glielo volevano. Sì, pero qui va dimostrato. Anche usando la forza avvocatizia. Perché se si convince, ricomincia d'accapo. E più forte che mai. Il ragazzo, seduto sullo sgabello e circondato dal buio, lo stava per ammettere. E presto lo farà.
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