MotoGP Story: il 2003 e quel Valentino Rossi "condannato a vincere"

MotoGP Story: il 2003 e quel Valentino Rossi "condannato a vincere"© Milagro

Nella prima stagione monopolizzata dalle quattro tempi, e con una griglia ricca di campioni, al consueto dominio Rossi unì la rottura con la matrigna Honda. Il 2003 passò alla storia anche per la tragedia di Kato e il primo successo della Ducati

12.12.2021 ( Aggiornata il 12.12.2021 20:16 )

Mentre la pecora Dolly, emblema della clonazione animale, incappava in un’infezione polmonare che l’avrebbe portata alla morte, andò in scena una delle più grandi riproduzioni nella storia della Honda. Alle due RC211V del 2002, raddoppiate nel finale di stagione, si aggiunsero ulteriori tre esemplari in inverno. Tutti volevano le moto dell’Ala Dorata dopo che all’esordio avevano mancato soltanto due GP, vincendo non soltanto con Valentino Rossi, ma anche con Tohru Ukawa e Alex Barros.

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Le ambizioni di Biaggi e Barros


Così, accanto alle due Honda ufficiali, affidate al campione in carica Valentino e a Nicky Hayden, reduce dalla conquista del titolo AMA Superbike a 21 anni – età record per gli standard statunitensi – si aggiunsero le due del Team Pons per Max Biaggi e Ukawa, quella di Pramac per Makoto Takada (unica gommata Bridgestone) e le due di Gresini Racing per Daijiro Kato e Sete Gibernau che lasciò la Suzuki portandosi dietro il munifico sponsor Telefonica. Uno schieramento che fece dire a Biaggi: “Sarà uno dei campionati più belli degli ultimi tempi, pieno di colpi di scena e senza un dominatore. Stavolta ci sarà più di un italiano a lottare per il titolo, credetemi!”.

Non meno battagliera la sfidante Yamaha, convertitasi all’iniezione elettronica, grazie a un organico composto da Carlos Checa, Norifumi Abe e dall’iridato della 250, Marco Melandri, con il grande acquisto Alex Barros (Tech 3) che negli ultimi quattro GP del 2002 aveva colto due successi, totalizzando un punto in più di Rossi. Un’impennata che gli fece lanciare il guanto di sfida: "Punterei su di me, voglio approfittare di questa occasione". Ma più che le minacce sportive dei pretendenti allo scettro, a preoccupare Rossi per settimane furono quelle fisi che indirizzategli da un gruppo anarcoinsurrezionalista spagnolo contrassegnato dalle cinque C sotto forma di volantini inviati all’Iberia a Malpensa e Fiumicino, e alla Rai. La sua colpa? Avere a che fare con il marchio petrolifero Repsol, dal quale si sarebbe dovuto liberare.

Decisamente risentito fu anche l’universo Superbike, ai tempi della britannica Octagon, perché in un colpo solo tre dei primi quattro della classifica del Mondiale 2002 passarono dall’altra parte della barricata: Colin Edwards, campione uscente, e Noriyuki Haga firmarono con l’Aprilia che mise a capo del progetto il trentaseienne Gigi Dall’Igna, mentre Troy Bayliss re stò fedele alla Ducati, pur cambiando campionato. A fargli da compagno sulla Desmosedici dello storico debutto di Borgo Panigale fu Loris Capirossi, che nei test IRTA di Barcellona lasciò tutti di sale, aggiudicandosi la prima BMW messa in palio per il più veloce, toccando pure i 328 km/h.

La morte di Kato e la sfida Rossi-Gibernau


Il primo atto del Mondiale 2003, a Suzuka, fu caratterizzato dal podio interamente tricolore, un’impresa riuscita laggiù in 500 soltanto agli statunitensi nel 1989. Vincitore ancora una volta Rossi su Biaggi e Capirossi, che riportò la Ducati sul podio, dove mancava dal GP Nazioni 1972. La tragedia di Kato, per il quale non fu nemmeno esposta la bandiera rossa, oscurò però l’aspetto sportivo. Due settimane dopo l’incidente avvenuto ad altissima velocità alla staccata della variante, il cuore dello sfortunato giapponese cessò di battere ma a 14mila km di distanza il suo ricordo diede un’energia particolare a Gibernau, che riuscì a resistere alla rimonta di Rossi, per metà del GP Sud Africa confinato al 4° posto. Il successo garantì al nipote del fondatore della Bultaco la promozione sul campo al rango di ufficiale al cento percento.

A Jerez invece salì in cattedra il desmodromico, con le prime due posizioni in griglia, ma nel giro di allineamento Capirossi tamponò Bayliss: “Avevo sette piloti davanti. Troy, il primo, ha rallentato di colpo, gli altri si sono aperti a ventaglio e me lo sono trovato davanti all’improvviso” disse Loris. Il manubrio storto e il braccio contuso costarono al poleman la caduta dopo 12 giri ma l’inno di Mamelì suonò ugualmente grazie a Rossi. Non volendo perdere davanti a 128.423 connazionali, Gibernau esagerò e finì a terra, rimediando un pesante “zero”.

Sete si riscattò subito in Francia, aiutato dalla nuova norma per la pioggia, che stabiliva la ripartenza senza distacchi, preferita dai piloti alla neutralizzazione con Safety Car. Valentino, che conduceva con tre secondi di margine si ritrovò con un pugno di mosche in mano, se così si può definire il secondo posto. Quel giorno, per la prima volta nel Mondiale, i piloti spagnoli vinsero in tutte e tre le classi ma nessuno immaginava che nel giro di un decennio sarebbero diventati la Nazione di riferimento. Festeggiò anche la Yamaha con il terzo posto di Barros ma rappresentò un fuoco di paglia: fu l’unico podio stagionale. La serie vincente della Honda continuò al Mugello con Rossi, che in precedenza aveva dato “buca” al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, davanti a Loris e Max, loro sì presenti al Quirinale assieme a Giacomo Agostini e altri.

La prima vittoria della Ducati


Una settimana dopo, al Montmelò, Capirossi regalò il primo trionfo alla Ducati dopo un duello con Rossi, impossibilitato a lottare fino al traguardo da un lungo nella ghiaia dopo aver rischiato il tamponamento. Ad Assen, sotto il diluvio, e a Donington Gibernau e Biaggi si spartirono primo e secondo posto con Rossi sempre terzo, anche se in realtà in Inghilterra tagliò il traguardo davanti a tutti. Al secondo giro aveva però infilato Capirossi in regime di bandiere gialle e così a fine gara le proteste della Ducati e del Team Pons portarono a dieci secondi di penalità. Una delusione cocente che fece il paio con quella del Sachsenring: alla penultima curva il figlio di Graziano passò Gibernau ma in quella dopo si difese con una traiettoria interna che gli costò l’incrocio e il sorpasso sul traguardo.

Quattro GP di fila senza vincere fecero scattare un campanello d’allarme, troncato dal successo di Brno, ultimo GP con in pista una 500 due tempi (Chris Burns con una ROC-Yamaha) in volata sul rivale spagnolo. Sentendosi condannato a vincere Rossi festeggiò con la palla al piede e il berretto da ergastolano (numero 111-46). Trionfando pure all’Estoril (un altro 1-2-3 dell’Italia) e Rio, Valentino superò i 50 punti di vantaggio. Il titolo divenne suo il 12 ottobre, con la vittoria in Malesia, nel giorno in cui la Ferrari conquistò il Mondiale con Michael Schumacher.

Valentino verso la Yamaha


Non contento, Rossi dominò pure in Australia, vanificando dieci secondi di penalità per un altro sorpasso con le bandiere gialle, e a Valencia. Nove vittorie, 16 podi e 357 punti: leggendo i risultati, non si direbbe che nella seconda metà della stagione fosse maturato l’addio alla Honda, con l’autentico salto nel buio rappresentato dalla Yamaha (reduce da un’annata fallimentare). Per tutti, forse, non per Valentino, intenzionato a mostrare il predominio dell’uomo sul mezzo tecnologico.

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