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Il 15 volte campione del mondo racconta la sua avventura con la Casa varesina: "Fui io a propormi, senza immaginare che avremmo vinto così tanto"
Giovanni Cortinovis
18 apr 2022
Qual è la MV che ha più amato e quella invece meno gradita?
“Sicuramente la più amata è la tre cilindri 350, perché la collaudai io stesso e la feci su mia misura. La meno amata è la quattro cilindri del 1972 e 1973 perché aveva un sacco di guai. Difetti di pesantezza a livello di telaio e problemi al motore. Non nascondevo nulla, ma se io dicevo bianco, Phil Read diceva rosso. Decisi di non provarla a Monza, ritenendo inutile la cosa, allora arrivò Read ma dopo un’ora e mezza ruppe il motore e ripartì”.
Lei ha guidato soltanto le MV 350 e 500 o anche altri modelli?
“Feci pure una gara, vincendola, con la 250 bicilindrica, nel febbraio 1966, al mio esordio in Spagna perché l’anno prima il GP Spagna era riservato alle piccole cilindrate. Mi invitarono sul circuito cittadino Vistahermosa di Alicante, così presi in prestito una delle MV che negli anni precedenti erano state guidate da Carlo Ubbiali e Gary Hocking”.
Mai pensato di correre tre gare per Gran Premio?
“Mi bastavano le due classi, già finivo la giornata con i calli alle mani”.
Perché scelse di andarsene, a fine 1973?
“È stata dura, lasciavo il mio grande amore, ma se volevo vincere dovevo cambiare, passare ai due tempi che ogni anno miglioravano. Avevo rifiutato in precedenza perché erano ancora troppo fragili, ma poi risolsero quel problema. Avevo capito che con i quattro tempi c’erano poche possibilità per lottare al top, e la MV non aveva progetti di motori a due tempi”.
Come comunicò il suo addio?
“Scrissi una lettera al conte Corrado, subentrato al fratello Domenico morto nel 1971, una lettera di ringraziamento in cui spiegavo il dispiacere che provavo, il sacrificio che stavo facendo”.
Poi, però, nel 1976 tornò a correre e anche a vincere con la MV, la moto del suo ultimo successo nella 500.
“Vinsi a fine agosto il mio ultimo GP in 500 con una MV che gestivo con un mio team, alternandola alla Suzuki, battendo Marco Lucchinelli proprio al Nürburgring, dove avevo conquistato il mio primo GP iridato, pensa te il destino. Anche se le due piste erano differenti: nel 1965 corremmo su quella da 7,7 km mentre nel 1976 c’era la versione da 22,8 km”.
Come era cambiato il motociclismo in quegli undici anni?
“Tanto, era diventato più professionale, le tute più colorate e si era lavorato tantissimo per la sicurezza, passando dai caschi a scodella agli integrali, e finalmente c’erano le vie di fuga. Avevamo detto addio per esempio al Tourist Trophy nel 1972 dopo l’incidente mortale del mio amico Gilberto Parlotti in 125”.
La prima cosa che le viene in mente pensando alla MV Agusta?
“È un marchio unico che ha lasciato un segno indelebile nelle competizioni. Ci hanno corso grandi campioni, Surtees, Hailwood, Ubbiali, Agostini, vincendo tantissimi Gran Premi e Mondiali. Ovunque vai, nel Mondo, tutti si esaltano quando parlano della MV”.
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