12 cilindri a V, il capolavoro incompiuto di Giancarlo Morbidelli

Come racconta Gambini, collaboratore di Morbidelli: "La suggestione era nella possibilità di sentire una moto cantare come una Ferrari"

12 cilindri a V, il capolavoro incompiuto di Giancarlo Morbidelli
© Fermino Fraternali

Jeffrey ZaniJeffrey Zani

22 feb 2024

Circondato dalle scintille, mentre si sbarazzava con una mola a disco dei supporti anteriori del motore di una Honda CBR600RR violandone il telaio, Roberto Gambini qualche perplessità ce l’aveva. Ma era lì per seguire indicazioni, non per prendere decisioni. Perché le scelte appartenevano a un uomo spinto da una visione che incrociava musicalità e velocità, melodia e sana follia: si trattava di Giancarlo Morbidelli, intenzionato a costruire una moto spinta da un 12 cilindri a V dopo aver già scritto il proprio nome nell’albo d’oro dei GP.

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Morbidelli e il sogno di un 12 cilindri a V


Tre volte trionfatore come costruttore e quattro con i suoi piloti, fra il 1975 e il ’77 nelle classi 125 e 250 del Motomondiale, l’ex imprenditore pesarese nei primi anni 2000 era ancora una figura rispettata, addirittura venerata, nell’ambiente delle due ruote. Competente e innovatore, sul finire del decennio precedente aveva completato una otto cilindri curata nella parte estetica da Pininfarina. Chiusa quell’avventura, inseguiva una nuova sfida, stimolata da un sogno: “La suggestione era tutta nella possibilità di sentire una moto cantare come una Ferrari" ricorda oggi Gambini, 84 anni, principale collaboratore di Morbidelli nel progetto. "È nato tutto così, per inseguire questo obiettivo”. E si è manifestato, nelle prime fasi, sulla carta: “Giancarlo elaborò i disegni del motore nell’arco di un anno, lavorando al tecnigrafo dopo aver raccolto spunti e bozze su semplici fogli di carta, affidando poi la versione finale a una figura specializzata”.

In quel periodo, il marchigiano aveva già deciso su quale base realizzare la sua creatura: si trattava proprio della Honda finita nelle mani di Gambini, spedita dal Giappone e arrivata nell’officina allestita al primo piano del museo di Pesaro che portava il nome di Morbidelli. In esposizione circa 300 esemplari, soprattutto dal secondo dopoguerra agli Anni ‘80: mentre le sale in cui era disposta la collezione celebravano il passato, dunque, nel laboratorio al piano superiore si lavorava su qualcosa di decisamente avveniristico.

L’idea di Giancarlo era di usare il motore della CBR come base per un V12 da 750 cm³ che sarebbe stato alloggiato nel telaio originale della moto di serie. Volendo mantenere il cambio e la parte inferiore del quattro in linea giapponese, visto che i cilindri non si potevano sfilare come succede per altri propulsori perché erano un tutt’uno con la parte superiore dei carter, decise di segarli via”. Ancora scintille, dunque, dopo quelle che avevano illuminato l’officina quando Gambini era intervenuto sul telaio nuovo di zecca: “In quel caso avevo eliminato le piastre motore anteriori che scendevano dai due travi principali, perché il 12 cilindri sarebbe stato ovviamente più largo del quattro. Anche se compattissimo”.

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