Cosa accadrà ai piloti orange? Intanto alla top class servirebbero più Case, ma la Kawasaki, Suzuki hanno altre proprità e BMW avanza a piccoli passi
Si possono obbligare la Case a partecipare? No, e la Suzuki lo testimonia: nonostante l’accordo firmato fino al 2026, quelli di Hamamatsu hanno preferito smantellare con largo anticipo e, si dice, pagare le onerose penali. Danni di immagine o reputazione? Macché, in Giappone la pensano diversamente. Ecco il motivo per cui la Kawasaki è assente: ad Akashi non interessa l’ipotetico prestigio che la vetrina potrebbe (condizionale) garantire: laggiù sono pragmatici, per cose fatte soltanto se hanno un reale tornaconto. La Ninja ha spopolato in SBK per anni, ma ora le “mille” non si vendono più come una volta: perché, quindi, produrre una nuova ZX-10RR? I prototipi sono fini a loro stessi, con scarsa riconducibilità alla circolazione stradale? Niente prototipi, e “chissene” se i verdi uscirono nel 2008, improvvisamente, lasciando il materiale usato da John Hopkins e Anthony West a Marco Melandri con la squadra Hayate Racing iscritta nel 2009. La pressione esercitata dalla Dorna fu notevole: con le entry list in calo, lo staff spagnolo voleva a ogni costo quella moto nera, priva di marchi, ma quantomeno presente.
Il picco minimo venne toccato nel 2012, quando soltanto Ducati, Yamaha e Honda duellarono tra i cordoli iridati: la SBK invece proponeva Ducati, Yamaha, Honda, Suzuki, Kawasaki, Aprilia e BMW. Notare bene: né da una parte, né dall’altra la KTM.
All’epoca sì che impazzava l’allarme rosso, evitato nel passato recente dall’impressionante contingente di Desmosedici, otto fino al SolidarityGP di quest’an no, il prossimo ridotto a sei. Notizia bella, due Yamaha in più, grazie al passaggio di Pramac da Desmosedici a M1. A Iwata ci credono, tanto da aver accolto la struttura di Paolo Campinoti, capace di conquistare titoli team e piloti nel recente biennio. Le quattro cilindri dei tre diapason faranno bene? Ancora non si sa, però sono raddoppiate. Se la KTM saluta, lascia a piedi Acosta? Dipenderà dai vari spostamenti ma, ripetiamo, c’è da ricordare Binder, Bastianini e Viñales.
Il numero minimo e necessario per validare il campionato è di 20 unità, ora siamo a 22, con lo scenario appena descritto. Cosa succederebbe, qualora Mattighofen servisse l’addio? I piloti arebbero da ricollocare, a scapito di alcuni colleghi. La griglia sarebbe da rimpolpare, e mai più parlare di CRT o esperimenti ibridi giusto per fare numero. Qui servono i costruttori, non scritte GASGAS utili all’esercizio di marketing. La Kawasaki ha le orecchie tappate? Perché non offrir loro un programma conveniente, facendoglielo udire con parole misurate? La Suzuki temporeggia? Facciamoli accelerare, mettendo sul piatto un programma irrifiutabile. La BMW ci pensa? Meglio fare che pensare. Certo, scriverlo su carta è facile. Nella pratica, tutt’altro. La MotoGP è il meglio del meglio a due ruote, fattore innegabile, ma ci chiediamo: che male ci sarebbe nel coniugare qualità, quantità e varietà?
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