Confrontarsi con Jonathan Rea è sempre un’esperienza. La scelta delle parole da parte del pilota più vincente nella storia della Superbike è sempre calibrata al millimetro, come le traiettorie in pista, anche in quello che probabilmente è il momento meno brillante della sua carriera. La scelta di passare in Yamaha a fine 2023 non ha ad oggi regalato i risultati sperati, così è tempo di bilanci e proiezioni future, tra la voglia di vincere questa sfida e quella di realizzare gli ultimi sogni rimasti nel cassetto.
Come descriveresti questo momento della tua carriera?
“Difficile, e credo che tutto sia stato ingigantito dall’infortunio di inizio stagione. Una situazione molto simile allo scorso anno, con tre cadute violente a Phillip Island che mi hanno costretto ad iniziare la stagione in condizioni non ottimali. Quest’anno sto sicuramente capendo maggiormente la moto: a Cremona rientravo dall’infortunio, Most è stato il primo fine settimana in cui ho iniziato a costruire qualcosa, mentre il bilancio di Misano appare negativo a causa della caduta in Gara 2, ma in Superpole Race ho colto un buon risultato. Nel complesso comunque difficile è la parola giusta, non bisogna nascondersi: sono dispiaciuto ma l’unica soluzione è lavorare. Mi ha fatto molto piacere vedere Locatelli vincere ad Assen, dato che ha dimostrato che il potenziale della moto è alto”.
Sin dal tuo approdo in SBK hai sempre vinto o gravitato intorno alle prime posizioni. Come si affronta questo primo momento di difficoltà?
“Ai tempi di Honda ero più competitivo, ma in realtà nel complesso vi sono tante similitudini tra quel periodo e quello attuale. Momenti del genere regalano grandi possibilità di riscossa, ed io voglio davvero risalire la china e far funzionare questo progetto. So che affronteremo altri momenti difficili, io faccio il massimo e di più non posso. L’importante è non mollare, e sono sicuro che prima della fine dell’anno potremo parlare di momenti più felici”.
Come e quanto è cambiata la SBK dal giorno in cui hai debuttato?
“E’ una bella domanda. Il livello dei piloti credo sia molto simile, dato che bisogna dare il giusto credito a corridori come Biaggi, Melandri, Bayliss, Haga, Checa e Spies, mentre ora abbiamo altri talenti come Bulega, Razgatlioglu e Bautista. Ho affrontato piloti di ere diverse, ma quello che è cambiato negli ultimi due o tre anni è il livello dei team indipendenti. Prima era impossibile pensare di vincere con una Ducati indipendente o lottare per il podio con una Yamaha o Honda indipendente: le strutture private possono avere lo stesso materiale degli ufficiali e questo le rende più attraenti, anche agli occhi di piloti di alto livello. Non dico quindi che il livello dei piloti sia più alto o più basso, ma per certo il gruppo è molto più compatto: se prendi una gara qualsiasi di dieci anni fa il distacco dalla vetta del 15° è alto, mentre ora si aggira intorno ai sei o sette secondi, a seconda delle piste”.