Polvere di Stelle: la storia della moto nata in Fiat

Polvere di Stelle: la storia della moto nata in Fiat

La Major di Salvatore Maiorca venne realizzata negli stabilimenti Aeritalia, appartenenti al Gruppo torinese. Una meteora, come le Officine Meccaniche Calabresi

18.05.2022 ( Aggiornata il 18.05.2022 21:03 )

Apro questa puntata della storia dei tecnici torinesi Giovanni e Emilio Ladetto e Angelo Blatto con la segnalazione di un mio errore sul precedente Polvere di Stelle. Ho scritto che nel 1928 Alfredo Panella su Ladetto & Blatto 175 vinse il campionato d’Europa a Ginevra, e che conquistò anche il titolo italiano della medesima classe.

OMC


Purtroppo non ho precisato che Panella fu campione nazionale con la moto torinese nel 1929. Nel 1930 Blatto interruppe la società con i Ladetto, che continuarono l’attività proseguendo con soltanto il loro cognome come marchio, esattamente come era stato prima dell’arrivo, tre anni prima, di Blatto. In quel periodo il crollo della Borsa di Wall Street costrinse alla resa moltissime aziende di diversi settori anche in Italia. La Ladetto purtroppo fu tra queste: per due anni resistette sul mercato e presentò anche un nuovo modello di 175 cm³, ma a fine 1932 dovette chiudere i battenti.

Quella stessa crisi mondiale aveva colpito una grande industria calabrese, la OMC di Gerace Marina, di proprietà di Vincenzo Bruzzese, un ingegnere che, dopo quattro anni di esperienza a Torino come vice direttore dello stabilimento Diatto, era tornato nella sua terra, dove aveva fondato la Officine Meccaniche Calabresi, divenuta in poco tempo una delle principali industrie pesanti del Sud. Intenzionato a diversificare la produzione per uscire dalla crisi, Bruzzese affiancò all’attività principale la costruzione di motociclette e con questo obiettivo si rivolse a Giovanni Ladetto, cha aveva conosciuto durante la sua permanenza a Torino.

Questi accettò l’incarico di progettare le moto della OMC, lasciò quindi al fratello Emilio la responsabilità di guidare l’azienda di famiglia (che di lì a poco, come detto, avrebbe chiuso) e si trasferì a Gerace Marina dove realizzò una 175 monocilindrica a quattro tempi di ottima fattura.

Per questo primo modello si prospettava un buon successo di mercato, anche per il prezzo competitivo con analoghi prodotti di più affermate marche del Nord Italia, ma purtroppo tutto ebbe fine a causa di invidie e disonestà nei confronti di Bruzzese, che nel 1934 fu accusato di truffa ai danni della banca di Gerace – nel frattempo fallita – arrestato e condannato a quattro anni di carcere, per poi essere assolto con formula piena in appello. Fu la fine assurda di un’impresa nata e condotta con grande lungimiranza e capacità; Giovanni Ladetto, mantenutosi vicino a Bruzzese, guidò la produzione di circa 200 motociclette OMC fino alla chiusura dello stabilimento, avvenuta nel 1934.

L'opera di Blatto


Neppure Blatto restò con le mani in mano. Uscito dalla società con i fratelli Ladetto, presumendo probabilmente la fine dell’impresa, quando questa cessò l’attività si associò con il torinese Carlo Broglia e insieme, a fine 1932, rilevarono le officine “B.E.S.T.” dove erano state prodotte le Ladetto & Blatto, fondando la OMB (Officine Meccaniche Broglia). Anche questa azienda non ebbe lunga vita: operò fino al 1935 producendo modelli come “Normale”, “Spinto”, “Ladetto”, tutti 175 cm³ quattro tempi, progettati da Blatto. La OMB di Carlo Broglia non va confusa con la OMB (Officine Meccaniche Benesi) che dal 1949 al 1953 produsse il motorino a rullo Tauma, con un motore a due tempi di 50 cm³ da montare sulla ruota anteriore di una bicicletta.

E non ha nulla in comune nemmeno con la OMB (Officine Meccaniche Bazzanesi) che nel 1947 presentò al Salone di Milano una grintosa 350 monocilindrica da 27 CV a 7000 giri dotata di un sistema di distribuzione esclusivo e brevettato.

Il progettista della moto era il bolognese Enrico Pedrini, collaboratore tecnico di numerose industrie tra cui Weber, Ducati, Idroflex, Marzocchi e Innocenti. Aggiungo, per completezza di cronaca, che la moto, nonostante il lancio al Salone, non venne mai prodotta e che il figlio di Enrico, Roberto Pedrini, è stato campione italiano di sidecar nel 1975 e 1979.

Torniamo dunque ad Angelo Blatto, la cui fama di progettista si era mantenuta intatta nonostante gli insuccessi commerciali delle diverse società con cui si era impegnato. Ma prima di occuparci nuovamente di lui dobbiamo dare la precedenza alla nascita di una moto specialissima, che rimase allo stadio di prototipo, ma che tutt’oggi è considerata un capolavoro: la Moto Major.

Salvatore Maiorca era un ingegnere aeronautico approdato nell’anteguerra a Torino per lavorare alla Fiat, specializzatosi nella progettazione e nella realizzazione di carrelli d’atterraggio per gli aeroplani. Terminato il conflitto, anche per la Fiat si manifestò la necessità della riconversione della produzione bellica. Non è certo che fra le opzioni prese in esame dalla grande industria torinese ci fosse anche la motocicletta, tuttavia alcuni lo sostennero quando, nel 1947 alla Fiera di Primavera di Milano, fu presentata la Moto Major progettata appunto da Salvatore Maiorca (da qui il nome Major) e costruita nelle officine Aeritalia appartenenti al Gruppo Fiat.

Moto Major


La moto Major era dotata di una carenatura sinuosa e aerodinamica che si spingeva fino a comprendere il fanale e a coprire buona parte della ruota anteriore; avvolgeva ergonomicamente le gambe del pilota e nascondeva completamente il propulsore. La struttura portante era monoscocca in acciaio, lo sterzo era indiretto, con forcella rigida verticale a due bracci collegata al cannotto con due lunghe aste orizzontali. L’innovazione più eclatante consisteva nella mancanza delle sospensioni tradizionali, sostituite da ruote brevettate il cui elemento elastico era costituito da 12 coppie di cilindretti di gomma da 50 mm inseriti fra il mozzo e il cerchio. La ruota elastica Maiorca permetteva un’escursione ammortizzante di 50 mm e la rigidezza torsionale necessaria, inoltre una prova al banco simulante un percorso di 40.000 km permise di verificare un consumo minimo degli elementi in gomma.

Esteticamente, lo stile della moto era filante, elegante e scrupolosamente curato, come nel disegno dei due tubi di scarico con terminali a coda di pesce appiattita orizzontalmente, uno solo dei quali era funzionante, mentre l’altro manteneva l’equilibrio estetico. In realtà il secondo tubo di scarico era ciò che rimaneva della prima idea della Moto Major, inizialmente bicilindrica e raffreddata a liquido.

E qui ritroviamo Blatto, il progettista del motore. Scartata l’opzione a due cilindri, Blatto realizzò un monocilindrico a valvole in testa di 350 cm³ (76x77 mm) con raffreddamento ad aria forzata tramite un ventilatore calettato sull’estremità anteriore dell’albero motore longitudinale, che posteriormente si collegava in linea alla frizione multidisco a secco e al cambio a quattro rapporti con comando a pedale. La trasmissione finale era ad albero.

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