Esclusiva Mugello: Marco Melandri scrive per noi

Esclusiva Mugello: Marco Melandri scrive per noi

Vent'anni dopo il suo ultimo successo sulla pista toscana, il ravennate l'ha raccontata sotto vari punti di vista: sportivo, umano, emotivo

27.05.2022 ( Aggiornata il 27.05.2022 16:23 )

Con il Mugello ho avuto un rapporto di amore e odio. Dico amore perché di per sé è una pista incredibile, una delle più belle di tutto il Mondiale. Correre in casa è qualcosa di indescrivibile a parole, perché la sensazione che provi è un misto di farfalle allo stomaco e di felicità, di tensione e nervosismo. Quel mix ti fa passare da uno stato d’animo di
euforia a uno quasi di paura. La pista non è semplice, è davvero tosta, a questo si aggiunge l’atmosfera, il fatto di essere in casa e la pressione, che mi mettevo anche da solo, perché nel proprio Paese si vuole sempre ben figurare.
Dal punto di vista del pilota la pista è tutta difficile. Una volta si diceva che il tempo lo si faceva alla Casanova-Savelli e all’Arrabbiata 1 e 2, ma non è proprio così: ogni curva è importante, anzi fondamentale. Le varianti sembrano tutte uguali ma in realtà sono molto diverse l’una dall’altra, quindi bisogna capire sempre quale sia la linea giusta da
tenere e cosa sia importante privilegiare: se la velocità di percorrenza della curva, la frenata o l’uscita di curva. Questo dipende anche dalla cilindrata della moto. Le Arrabbiata 1 e 2 sono curve veloci, ma nel Mondiale ce ne sono anche di più veloci: però è la fluidità di guida, con quel susseguirsi di curve che rendono così veloce il movimento in sella, a
far sembrare che si vada ancora più forte.

Nel 2002 vinsi in 250 e quello è un ricordo indelebile per gli appassionati di moto, nonostante siano passati vent’anni. Salire sul gradino più alto del podio al Mugello è incredibile, con gli amici e i parenti lì sotto. Soprattutto dopo la gara i genitori mi fermavano davanti ai loro bambini e dicevano: “Lui era quello vestito da Spiderman”. È una delle emozioni più grandi che mi porto dentro da sempre. Vincere vicino a casa, davanti ai tuoi tifosi, fa sentire ancora di più la scarica di adrenalina dopo il traguardo. E la passione. Leggi nei loro occhi l’emozione che sei riuscito a regalare. Questo vale più di un trofeo o dello spumante sul podio.
Un altro bel ricordo è la gara del 2005 in MotoGP: è vero che sono stato l’ultimo italiano dei quattro al comando, e quindi non sono andato sul podio, però sono quello più “ricordato” di quella gara. L’ho animata più degli altri, dal sorpasso su Valentino Rossi e Max Biaggi alla San Donato, quello su Loris Capirossi alla Bucine, anche se poi mi ha ripassato. Non potevo essere veloce al punto da salire sul podio ma ho dato spettacolo.
Allo stesso modo anche nel 2009 con il Team Hayate, partivo 15° sul bagnato e dopo pochi giri ero in testa. Poi c’è stato il cambio moto quando la pista si è asciugata, e tutto è andato a rotoli, però fin lì avevo fatto una gara da paura.
Quella del Mugello è sempre stata una settimana intensa, sentivo le ore passare e sentivo il momento clou avvicinarsi. C’erano tutti gli eventi promozionali, gli sponsor, gente che magari non sentivo da decenni che chiamava per chiedere il pass per entrare nel paddock. Ne succedevano un po’ di tutti i colori. La notte mettevo i tappi alle orecchie e in qualche
modo dormivo. Mi piaceva da morire quando sentivo la voce di Giovanni Di Pillo che svegliava il Mugello: salutava tutti, dai commissari, agli organizzatori, era proprio una sorta di sveglia, un’abitudine che vivevi soltanto in quella cornice.

Cosa mi manca del Mugello? Forse un podio in MotoGP… Guidare con le emozioni a quelle velocità, portare al limite una moto lì dentro, all’uscita della Biondetti piuttosto che della Bucine, che gusto incredibile! E la prima staccata alla San Donato? Quando arrivavamo in gruppo in MotoGP in scia non si vedeva nulla, la moto veniva risucchiata dai piloti davanti, a ripensarci adesso dico: “Tanta roba! Facevamo qualcosa che era veramente per pochi”. Allora ero talmente coinvolto che nemmeno me ne rendevo conto. Uno dei primi ricordi che ho risale il primo anno che corsi lì, era il
1998. Mio padre dopo le qualifiche mi disse: “Al Correntaio sei fermo”. Allora in gara tutti i sorpassi che facevo cercavo di farli lì apposta, mi aveva dato la sveglia. Lui poi mi guardava sempre in pista, alla Casanova-Savelli, vicino a uno schermo gigante, non stava mai nel box. Il giovedì sera era un must andare a cena con Alex Gramigni e alcuni amici
come Capirossi, Luca Cadalora, ma anche ex piloti. Andavamo fuori dal circuito, era una cosa alla buona, ma proprio queste poi sono le più genuine. Questo mi dava una bella carica. Per me correre al Mugello ha significato coronare un sogno. Quando nel 1993 il venerdì ero all’uscita della Luco-Poggio Secco a vedere le prove guardavo con ammirazione Rainey, Doohan, Schwantz, piuttosto che Cadalora, Reggiani, Capirossi, Gresini. Da piccolo sognavo di diventare uno di loro. Avercela fatta non ha prezzo".

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