Di fronte al salto che ti renderà immortale o spegnerà per sempre la tua vita, puoi scegliere solo se raccomandare la tua anima a Dio oppure al Diavolo. Prima di salire,
Evel Knievel ha voluto la benedizione del cugino padre Sullivan, prete cattolico, ma non cambia niente. Perché il diavolo è lui. E fra pochi istanti verrà sparato da un propulsore a reazione per la più pazzesca delle imprese mai tentata su due ruote, il salto dello Snake River Canyon, nell’Idaho: 485 metri da una sponda all’altra e, sotto, un baratro a cui è meglio non pensare. Con in mezzo il fiume, profondo, in cui c’è pure il rischio di annegare nel caso il salto fosse corto. Sempre ammesso che il razzo dietro la schiena non esploda prima.
Cosa passa per la testa di un uomo chiuso nella cabina di un missile a due ruote, mentre attende il calcio che gli mozzerà il fiato proiettandolo verso l’infinito? Evel Knievel il demonio dei salti, “The Daredevil”, che significa “il temerario”. Al secolo Robert Craig Knievel, nativo di Butte, cittadina mineraria del Montana, ma oramai universalmente noto con quel nomignolo che si richiama a “evil”, malvagio, scelto con una punta di malizia per l’assonanza con il cognome. Lo aveva voluto Bob Blair, proprietario della ZDS Motors e distributore Norton per la West Coast: lo aveva sponsorizzato dandogli una moto ai tempi dei suoi primi spettacoli, nel 1966, chiedendo però di introdurre nel titolo dello show il nomignolo escogitato nella notte passata in guardina.
Knievel era finito lì per una ragazzata in moto, manco a dirlo, ma negli States la polizia non scherza e la “guida pericolosa” gli era costata una notte al fresco. Perché stupirsi? Non molto tempo prima era stato licenziato dalle miniere di rame della Anaconda Mining Company perché, impennando una ruspa come fosse una moto, era finito dritto nella principale linea elettrica di Butte, travolgendola e lasciando la città senza corrente per alcune ore.
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