Yamaha Mondiale: Ben Spies, toccata, vittoria e fuga

Yamaha Mondiale: Ben Spies, toccata, vittoria e fuga© GpAgency

Una sola stagione bastò all'americano per conquistare il titolo Superbike, merito della rimonta ai danni del pilota che gli aveva "ceduto" la R1, Nori Haga

17.02.2022 ( Aggiornata il 17.02.2022 11:40 )

Veni, vidi, vici. È l’esperienza vissuta da Ben Spies in Superbike, trionfatore nella sola stagione, il 2009, condivisa con la Yamaha nel campionato dedicato alle derivate di serie. Un percorso vissuto prima di passare in MotoGP, sempre difendendo i colori della Casa di Iwata, nel team satellite Tech 3 e poi in forza alla formazione ufficiale. Dove nel 2011 prese il posto nientemeno che di Valentino Rossi.

L’americano ebbe meno fortuna rispetto a due anni prima, quando aveva sostituito un’altra bandiera Yamaha come Noriyuki Haga. E proprio battendo il pilota che gli aveva “ceduto” la R1, Spies ha regalato a Iwata l’unico alloro in SBK.

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Dagli USA al WSBK


Dopo titoli conquistati a ripetizione con la Suzuki nella serie statunitense AMA, il texano (nato però a Memphis), per nulla persuaso dalla scarsa voglia dei vertici di Hamamatsu di portarlo in Europa, cambiò Marchio. Il progetto allestito dalla filiale italiana dei tre diapason era importante, oneroso, appoggiato sulla nuova R1, quattro cilindri dal propulsore a scoppi irregolari che, oltre a incuriosire gli addetti ai lavori, prometteva di fare bene nei 14 round del calendario iridato.

Presentatosi in una sessione di test a Portimao con il numero 19. seduto nel silenzio del garage blu, nascosto dietro grandi lenti a specchio dei suoi occhiali da Sole preferiti, il riservatissimo e timido ventiquattrenne ricevette le attenzioni dei media, attirando anche le ammirazioni di numerose fans femminili. Al punto che la mamma-manager Mary dovette intervenire durante l’attività nel paddock: “Non è possibile, vai via! Lascia stare mio figlio, non vedi che ha altro a cui pensare?”.

La tifosa fu respinta, ma non si arrese, anzi: ancora più convinta, sfoderò un tatuaggio da poco realizzato sul polso destro, con cui l’avvenente appassionata apriva il gas della Yamaha R6 appena acquistata e dipinta con i colori della bandiera texana: "Dannazione, si è fatta imprimere sulla pelle il numero 19, con il simbolo Yamaha. Questa tizia è veramente determinata" tuonò nuovamente la madre, ben attenta che Ben facesse soltanto il proprio mestiere. Cioè partecipare alle corse e, possibilmente, vincerle.

Una stella nascente


Barricato nella bellissima casa in affitto nei pressi del lago di Como, Spies usciva esclusivamente per allenarsi e per i viaggi alla volta delle gare. Quell’anno, per lui da rookie, iniziò a Phillip Island, da dove uscì con un occhio triste e l’altro allegro. Siglata la Superpole e regolate le Aprilia, Honda e Ducati rispettivamente di Max Biaggi, del giovane Jonathan Rea e di Jakub Smrz, il debuttante, per nulla intimorito dalla inesistente conoscenza del tracciato australiano, fu buttato fuori dai giochi nella manche d’apertura. Scuro in volto e altrettanto freddamente, servì ai rivali la riscossa pomeridiana, con il primo trionfo davanti a Haga e Leon Haslam.

Era nata una stella e per molti si rivelò un incubo: gara dopo gara, Ben stesso coniò il soprannome “Texas Terror”, a dimostrare come la concorrenza avesse a che fare con uno pronto a tutto tranne agli scherzi: “Altrimenti, sarei rimasto negli USA. Là guadagnavo un mucchio di denaro, non avevo stress ed ero protagonista. Ho lasciato casa per confrontarmi con i migliori piloti del Mondo. Sono concentrato sul mio obiettivo: affermarmi in Superbike. Questo passo è il corridoio verso palcoscenici ancora più importanti”. La promessa ricevuta era la seguente: ottenuta la posta massima, gli sarebbe stato offerto quanto la Suzuki non gli aveva mai dato, a eccezione di qualche sporadica wild card: un posto in MotoGP.

Il percorso verso l'iride


Vincere e cambiare. Conquistare e salutare. Sorridere soltanto quando è necessario. Piangere mai, lamentarsi non serve. Crederci, in ogni caso. Agire e reagire. Sgomitare nel gruppo. Appunto, nel seguente mantra recitato mentalmente, l’asso americano riproponeva tra i cordoli il tanto apprezzato ed efficace stile di guida a gomito sempre strisciante sull’asfalto, manovre proficue ripetute anche a Losail, Qatar, altra pista mai frequentata, trasformatasi in luogo di doppietta: “Ho la capacità di memorizzare le traiettorie in tempi celeri. Forse perché i circuiti dell’AMA sono davvero complicati, e imparare tutto al meglio è di vitale importanza” spiegò il leader della classifica. Nel terzo appuntamento, a Valencia, un ritiro e un secondo posto.

Ad Assen, gradino più alto al mattino e “zero” rimediato qualche ora dopo. Fino ad arrivare a Monza, appuntamento “casalingo” per la formazione Factory Yamaha, con base a Gerno di Lesmo. Assicurandosi la pole, il tiratore scelto del team aveva messo il suo nome quale favorito assoluto, però accadde qualcosa di poco gradito: a seguito di un incidente, con bandiera rossa e successiva ripresa di Gara 1, la moto di Spies, in testa per tutta la corsa, si ammutolì a pochi metri dal traguardo. La benzina finì anzitempo, consegnando a Michel Fabrizio sulla Ducati la prima affermazione in SBK. Inutile descrivere l’umore di Ben, nero come le gomme Pirelli soffici montate nella seconda manche.

Enorme il divario tra lo statunitense e il compagno di garage Tom Sykes, futuro campione del Mondo con la Kawasaki, tuttavia in difficoltà sulla particolare quattro cilindri di Iwata: “Sebbene non sia la più veloce e potente – Spies precisò – sono riuscito a vincere pure a Monza. Adesso penso al Sud Africa”. A Kyalami, i leoni scorrazzano liberi vicino al paddock e, se avesse potuto, il texano avrebbe urlato come una iena. Un guasto alla Yamaha lo lasciò a bocca asciutta, proprio in piena caccia.

Mamma Spies era preoccupata, e teneva calmo il figlio a seguito di risultati scadenti, quarto e quinto, allontanando la minaccia di una potenziale fidanzata: “Non è il momento. Ne parliamo a stagione conclusa” chiosò Mary. Nel penultimo atto di Magny-Cours la speranza sembrò sopirsi con il quarto posto di Gara 2.

Ma nell’epilogo di Portimao, accadde per Spies la magia. Fatale lo zero rimediato da Noriyuki in una delle due sfide conclusive, decisivo il quinto posto di Ben in Gara 2 in Portogallo, ad accompagnare il primo colto in Gara 1 dell’ultimo weekend 2009. La R1 numero 19 resta a oggi l’unica Yamaha incoronata in SBK, grazie al pilota più fugace che la serie abbia mai raccontato: “Ehi, Mary, perché non dici a Ben di tatuarsi il ricordo di questa impresa?” suggerì un giornalista. “Va bene tutto, tranne il nome di una donna. Per quello, c’è ancora tempo”.

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