SBK: la carriera di Troy Bayliss (seconda parte)

SBK: la carriera di Troy Bayliss (seconda parte)© GpAgency

I trionfi in Superbike, le difficoltà vissute in MotoGP, fino alla vittoria a Valencia 2006. Nel 2008 l'ultimo titolo iridato 

13.06.2021 20:16

Nel 2001, Bayliss partiva come mina vagante della stagione. Al seguito di brillanti prestazioni, l’Aussie esplose ancora a Monza, di fronte a 100.000 persone accorse in Autodromo. La vittoria di Gara 1, dopo il contatto tra gomito e ginocchio con il campione Colin Edwards, mandò in delirio i tifosi. Nel pomeriggio, la doppietta. La Ducati aveva trovato una nuova bandiera.

Il drappello australiano sventolò più volte, fino al titolo da festeggiare a Imola, con una 996 tinta di argento, in onore di Paul Smart, vincitore della storica 200 Miglia quasi trent’anni prima. Non fu un epilogo fortunatissimo, però: Troy cadde, coinvolgendo l’Aprilia di Regis Laconi. I due si abbracciarono e finì con il neoiridato una clavicola spezzata. Meglio pensare al 2002 e al numero 1 da portare in gara.

Paolo Ciabatti: “Troy Bayliss è stato il ducatista per eccellenza”

Il 2002


Montecarlo non era Taree, ma ci si stava benone. Non gliene fregava un accidente a Troy di vetrine di lusso, barche lunghe come una pit lane e succinte modelle arriviste. Per lui il Principato era un posto dove poter vivere tranquillo e “protetto”, perché già ospitante colleghi come Loris Capirossi, futuro compagno di team, Biaggi e l’amico Doohan. In un test a Kyalami, Davide Tardozzi prese Troy da parte: “Mi fai incaz...., ogni volta che si porta in pista una moto nuova, sono soltanto lamentele. Sei il campione, esci e dimostralo”. Messaggio ricevuto. Il campione cominciò il 2002 con sei affermazioni consecutive, da Valencia al Sud Africa. Contenuti i danni nella temibile Sugo, poi ancora davanti, da Monza alla prima manche di Laguna Seca. Dove però si svegliò Edwards, caricato da una livrea a stelle e strisce sulla Honda VTR SP-2. L’inerzia del Mondiale cambiò, a favore del texano. Imola, settembre 2002. Un colpo d’occhio degno della Ferrari in Formula 1 e un punto a dividere i due contendenti. Siccome non furono sufficienti i biglietti del botteghino, l’organizzatore ricorse ai ticket dei cinema, dei parchi e di ogni attività che prevedesse un ingresso numerato. Quasi tutti erano al Santerno per Troy, alfiere della Ducati che giocava in casa, e che correva per il secondo alloro di fila. L’australiano le provò tutte, ma l’americano aveva una marcia in più. Gli aggiornamenti portati dal Team Castrol nel dopo-Suzuka e gomme dedicate Michelin consentivano a Colin una guida vellutata, mentre Bayliss era sempre al limite, scomposto.

Sul podio finale, l’invasione di pista celebrò entrambi, poi partenti per altri lidi, la MotoGP. Il vinto si complimentò con il vincitore. Il Down Under perse il duello ma guadagnò nel cuore degli appassionati il titolo di sportivo senza confini né gelosie.

La MotoGP


La Desmosedici 2003 spingeva dalla quarta alla sesta marcia come la 998 in prima e seconda. Terribile la MotoGP di Borgo Panigale, ben gradita da Troy che, anche sul prototipo, si muoveva come un ginnasta e sfiaccolava a centro curva. Uno show. Per lui, passato al numero 12, tre podi complessivi. Il più esperto Capirossi ottenne anche un primo posto, a Barcellona. Il debutto del Team Ducati Marlboro risultò molto soddisfacente e il Motomondiale aveva protagonisti in più. Nel 2004, qualche pressione in più da sopportare e una moto non propriamente riuscita misero in difficoltà TB, che non riuscì a raccogliere quanto seminato in mesi di allenamento, duro lavoro e adattamento a un paddock non altrettanto festoso. La squadra Ducati era composta da professionisti e personale in gamba, ma al ragazzo di Taree mancavano i “suoi” uomini, coloro che ne avevano condiviso le gesta in SBK. Un solo podio a Valencia e l’addio da Borgo Panigale. Il Team Honda-Pons rappresentava la nuova sfida di Bayliss, che cercava una seconda occasione in MotoGP. Ma la RC211V proprio non gli piaceva, anche perché non poteva scalare le marce come usava fare: senza usare la leva della frizione.

Un infortunio in allenamento decretò il secondo addio, in quel caso al Motomondiale. KIM era convinta: "Troy, torniamo a casa. Non abbiamo bisogno di soldi, lasciamo l’Europa e andiamo in Australia. Ritroveremo la nostra serenità". Giammai. Le parole dell’onnipresente moglie caricarono il marito come una molla che, nel ritorno in SBK nel 2006, rimbalzò la forte concorrenza. Portando in alto la (per lui nuova) 999 gommata Pirelli. Dopo essersi sbloccato a Phillip Island, uno score di 12 gradini più alti, buoni per il secondo iride. La Ducati, richiamandolo alle armi, aveva fatto la scelta giusta e lui pure, con un festeggiamento a Imola che spazzò via i brutti ricordi del passato. A confermare questa tesi, ecco il GP Valencia 2006 in MotoGP, in una “gara premio” per Bayliss, chiamato a sostituire l’acciaccato Sete Gibernau. In sella a una Desmosedici profondamente diversa da quella abbandonata due anni prima, con coperture Bridgestone uniche nel loro comportamento, Troy riscattò in un weekend la reputazione lasciata nel paddock dei GP tempo addietro. Vincendo la corsa, davanti a Capirex e al neocampione Nicky Hayden, Baylisstic zittì i critici e pure qualcuno al vertice di Borgo Panigale. Per chi lo conosceva bene, presente nel garage Ducati, il primo posto non rappresentò una sorpresa. Anzi. Anche se per il grande pubblico, quel giorno è passato alla storia per il primo flop di Valentino Rossi nel Motomondiale, con la caduta nei primi giri fatale per la corsa al titolo.

 Il titolo vinto in SBK nel 2008 e il ritorno nel 2015


Nel 2007 la caccia al tris SBK. A Donington, però, l’episodio che compromise il cammino ma che lo fece divenire un mito. Caduto nella prima manche, Troy raggiunse zoppicante la Clinica Mobile: “Tagliatemi ‘sto c…. di dito, voglio correre”. Massimo Corbascio avrebbe voluto accontentarlo, fu soltanto una grossa emorragia nella zona testicolare a fermarlo. Kim gli consigliò di rinunciare e lui, a malincuore, abbassò la testa. Rapite furono le folle: siamo tutti “Figli di Troy”. Per sempre. Comunque andrà. Andò che l’idolo non si confermò campione, però grazie a una 1098 nuova di zecca e al suo polso destro ancora lesto, il trentanovenne ottenne nel 2008 il terzo Mondiale della carriera. Bayliss toccò nuovamente il Cielo a Magny-Cours poi, con una livrea dedicata all’Australia, salutò con la doppietta di Portimao, consapevole di avere la coscienza a posto. Le valigie potevano essere rifatte: casco, tuta, stivali e guanti sarebbero stati riposti senza il rammarico di aver lasciato qualcosa in sospeso. Uno così verace non se lo sarebbe perdonato.

Sette anni più in là, Troy si sarebbe ripresentato. Per farsi trovare pronto, meno birra e più pedalate. No problem. Ma era cambiato il motociclismo. Troppa elettronica a gestire tutto e uno stile di guida da rivedere. I piazzamenti a punti australiani e thailandesi non passeranno alla storia, ma di Bayliss è bello ricordare la voglia di correre, poi rimessa in pista nel “suo” campionato nazionale. Sempre con la sua Ducati, che ha rappresentato più volte nel WDW a Misano. A quando la prossima valigia?

SBK, Carl Fogarty: “Ducati mi faceva sentire il numero uno”

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi