Bulega si racconta: Bautista, Iannone, rivincite, emotività e... il restare in silenzio

PARTE 1 - Nicolò a 360°: "Alcuni spaccano tutto se vincono ma io no, sono un tipo chiuso. In griglia odio parlare con la gente, ecco perchè tengo il casco. Non esiste una medicina per svoltare"

11.06.2024 18:32

“Se l’intervista si fosse tenuta nel weekend di gara, non avresti trovato un capello fuori posto, l’ordine è fondamentale in certi momenti”. Ci ha accolto così Nicolò Bulega nel suo ufficio all’interno del bilico Ducati-Aruba, dove entra in “modalità gara”. Lo ha fatto durante i test di Misano, in preparazione di una gara speciale: giocherà in casa da protagonista della Superbike, dove ha vinto al debutto – soltanto in sette c’erano riusciti prima di lui, gli ultimi Max Biaggi e Alvaro Bautista – dimostrando di potersi sedere al tavolo con i big della categoria.
 
Nicolò, se 3 anni fa ti avessero detto che oggi saresti arrivato al tuo round di casa in lotta per il titolo Superbike, cosa avresti risposto?
 
“Nel 2021 non pensavo ancora alla Superbike, del resto ero ancora in Moto2, ma quando ho deciso di intraprendere il percorso in Supersport mi sono appassionato a questo paddock. Partendo dalla SSP l’obiettivo era ovviamente arrivare in SBK, ma per farlo serviva fare molto bene in Supersport, e comunque era obbligatorio farlo con il team giusto, perché il livello è alto. Cosa avrei pensato quella volta? Difficile, in quel momento ero molto in crisi, sicuramente mi avrebbe tirato su il morale saperlo. Sono contento del lavoro che ho svolto in questi anni: mi sono potuto togliere tanti sassolini dalle scarpe, e sono tornato a credere di più in me stesso, cosa che in Superbike mi sta aiutando tanto. Ho preso il fatto di sfidare anche degli ex piloti MotoGP come una sfida ancora più bella, con la voglia di fargli vedere che anche io posso fare bene. Sono partito bene, ora il difficile sarà continuare in questo modo (sorride ndr)”.
 
Sei stato portato molto in alto in fretta, ai tempi del “Mondialino”, sei caduto, sei risalito: quanto sei orgoglioso per il tuo percorso?

“Mi rende molto orgoglioso. Questo sport è bellissimo ma ha anche dei lati negativi, uno dei quali è che si ha poco tempo per dimostrare tanto, e se non sei nelle giuste condizioni è difficile esprimersi al massimo, anche se sei forte. A me questo è successo in parte, ma una volta arrivato qui ho capito di non avere più scuse, nonché la possibilità di dimostrare tutto il mio potenziale. Mi sono risollevato da un momento difficile, ed è una bella sensazione. Se ripenso a quegli anni non c’è una medicina per svoltare da un giorno all’altro, ci vogliono anni e serve che tutto sia a posto. Devi avere la forza di reagire, e cercare di guardare il lato positivo delle cose”.

La vittoria di Phillip Island e la griglia di partenza

Qual è stata la tua principale virtù in questo inizio di stagione?

“Sicuramente la velocità, dato che senza non puoi ottenere nulla, ma probabilmente anche la spensieratezza. Sapere di non dover per forza vincere il mondiale, permettendomi magari anche qualche errore ha aiutato nelle prime fasi. La prima gara è stata bella, vincere subito mi ha regalato una massiccia dose di fiducia”.
 
Eppure dopo il successo di Gara 1 in Australia sembravi reduce dai test, tanto eri tranquillo.

“Non sono molto emotivo, è vero. Vedo altri piloti che esultano per una vittoria come se avessero conquistato 10 titoli di Formula 1 in una giornata, tirando giù tutto, mentre io non ce la faccio. Caratterialmente sono un po’ chiuso: ovviamente è stato il giorno più bello della mia vita, ma non lo faccio vedere. Quando sono tornato a casa e ho rivisto la gara ho reagito in maniera simile, forse non mi ero ancora reso conto di aver vinto la prima gara in Superbike all’esordio, essendo tra l’altro l’unico ad esserci riuscito da campione in carica della Supersport. Ho notato di non aver festeggiato più di tanto, ma sono così, non mi sento di tirare giù il mondo. Alla fine è quello che mi piace fare, nonché il mio lavoro: ho solamente fatto la cosa giusta”.
 
Anche la griglia la vivi a modo tuo, restando tutto il tempo con il casco addosso.

“In quei momenti lì odio parlare con la gente, quelli che ti vengono a salutare o cose del genere mi danno fastidio. Una volta che esco da qui (dall’ufficio ndr) non parlo, considera che non saluto nemmeno la mia morosa. Quando arrivo al box le uniche persone con cui voglio parlare sono il mio capotecnico ed il mio telemetrista, per il resto meno persone mi parlano meglio è. In quei momenti penso a cosa devo fare e sono concentrato: non mi tolgo il casco in griglia proprio per evitare che qualcuno mi venga a parlare”.

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