Esclusiva SBK, Ruben Xaus: "Vi racconto il mio amore per Ducati"

Esclusiva SBK, Ruben Xaus: "Vi racconto il mio amore per Ducati"© GpAgency

Abbiamo incontrato lo spagnolo in occasione della presentazione del Team Go
Eleven. Dalla sua carriera all'attualità MotoGP e Superbike, ecco cosa ci ha raccontato 

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23.02.2023 ( Aggiornata il 23.02.2023 11:24 )

Se si pensa al numero 11, uno dei primi nomi a cui lo si associa è sicuramente quello di Ruben Xaus, che proprio con l’11 e il 111 è stato uno dei grandi protagonisti del mondiale Superbike nel primo decennio degli anni 2000, con anche un biennio passato in MotoGP.

Lo spagnolo, classe ‘78 e nativo di Barcellona, si è ormai ritirato dall’attività agonistica con undici – ironia della sorte – vittorie all’attivo in SBK e un podio nel Motomondiale, ma ha continuato a frequentare i paddock in diverse vesti, compresa quella di team manager.

Abbiamo incontrato Xaus in occasione della presentazione del Team Go Eleven, squadra capitanata da Gianni Ramello e Denis Sacchetti di cui è stato il co-fondatore, nonché primo pilota nell’ormai lontano 2006. Dalla sua carriera ai temi di più stretta attualità riguardanti sia le derivate di serie che la MotoGP, ecco cosa ci ha raccontato in esclusiva.

Xaus e il legame con Ducati


Ruben, tu hai un legame particolare con il Team Go Eleven: ci racconti come è nato?

“Il team è nato nel 2006, quando ho concluso la mia avventura in MotoGP e avevo bisogno di rilanciare la mia carriera in Superbike. Il nome richiama il mio numero di gara e il tutto nacque con Gianni Ramello e Marco Borciani, oltre al supporto di Ducati Cuneo; è un progetto che partì da zero, ma ora la squadra è una presenza fissa del Mondiale e sono orgoglioso di ciò che hanno ottenuto. Oggi sono ambasciatore del team e continuo ad aiutarli con la ricerca degli sponsor, oltre ad avere ancora un ottimo rapporto con Gianni”.

E poi è sempre un team della Ducati, marchio a cui sei molto legato...

“Esatto, da qualche anno è tornato alla Ducati dopo aver corso con altre Case come KTM e Kawasaki. Penso che il loro rapporto con l’azienda ora sia ottimo, anche perché quando si diventa legati a questo marchio è dura separarsi. È vero: costa di più rispetto ad altre moto, specialmente se sei un team satellite, ma hai la garanzia di avere un pacchetto tecnico competitivo con cui lottare per le posizioni di vertice”.

A proposito della Ducati, il 2022 per loro è stato davvero trionfale. Da ex pilota, come giudichi il lavoro di Borgo Panigale?

“Erano anni che la Ducati meritava il Mondiale, perché ha compiuto un grande salto di qualità in tutti i sensi, specialmente da quando è arrivato GIgi Dall’Igna, che ha sempre avuto le idee chiare sulla direzione da prendere per sviluppare le proprie moto e renderle vincenti, spingendo spesso la concorrenza a inseguire adottando le loro stesse soluzioni tecniche. Non è un caso che sia in MotoGP che in Superbike siano diventati campioni e abbiano la moto migliore in griglia, anche se con questo ovviamente non voglio sminuire la bella stagione di Alvaro Bautista e Pecco Bagnaia, visto che entrambi hanno meritato il titolo mondiale guidando alla grande”.

Parlando della Superbike, quanto è cambiata rispetto a quando eri uno dei grandi protagonisti?

“Rispetto a quando correvo io, oggi è cambiata tantissimo. La differenza più grande riguarda sicuramente l’elettronica, visto che oggi è un componente fondamentale, mentre prima era soltanto una questione di sintonia tra moto e pilota, con quest’ultimo che poteva fare forse anche più differenza. Inoltre, una volta c’era anche un maggior divario tra una moto e l’altra dal punto di vista prestazionale, visto che c’erano più imprevisti e venivano montati freni e gomme di marchi differenti. Ora invece è tutto più standardizzato, le strategie in gara sono importantissime e ci sono più piloti e team in grado di lottare al vertice; non posso dire che sia meglio o peggio rispetto a qualche anno fa. È soltanto diversa”.

Xaus: "Bayliss è stato il rivale più tosto"


Pensando alla tua carriera, hai qualche rimpianto?

“Sì, come penso ne abbia qualunque pilota. Sono felice di ciò che ho ottenuto nel corso della mia carriera visto che per tanti anni sono stato tra i protagonisti in Superbike, ho avuto l’occasione di correre in MotoGP e ho guidato tante moto fantastiche. L’unico vero rimpianto è quello di essermi trovato diverse volte nel posto giusto al momento sbagliato”.

Che cosa significa?

“In alcune occasioni ho avuto delle chances teoricamente vincenti, ma per una serie di vicissitudini non le premesse iniziali non sono state mantenute, come quando alla Suzuki saltò il progetto della TL1000 con cui avrei corso in Superbike o quando dovetti correre nell’IDM per rilanciarmi prima di tornare in Supersport ed entrare nell’orbita Ducati, o ancora quando corsi con la BMW il cui progetto era buono ma ancora acerbo. Come detto, però, sono felice della mia carriera e guardo al passato con il sorriso”.

Hai vissuto in prima persona l’epoca d’oro di una SBK ricca di personaggi: chi è stato il rivale più forte?

“Dico Troy Bayliss senza neanche pensarci. Ho condiviso la pista con piloti fantastici e fortissimi quali Ben Bostrom, Troy Corser, Regis Laconi, James Toseland, Neil Hodgson e Pierfrancesco Chili. Potrei continuare all’infinito, ma Troy aveva qualcosa di diverso ed è anche il pilota da cui ho imparato di più, perché è stato il mio compagno di squadra quando sono arrivato in Superbike a soltanto 21 anni e mi ha insegnato molto in quelle prime stagioni pur essendo il pilota di punta della squadra”.

Oggi in Superbike si parla della questione riguardante il peso minimo moto-pilota: cosa ne pensi?

“Penso che introdurre un peso minimo non sia la soluzione giusta. Quando correvo io era il contrario, perché se eri più basso e leggero avevi meno controllo in sella, mentre ora sei più aerodinamico, ma mi sembra impossibile creare una regola in grado di accontentare sia il Bautista che il Redding di turno. Una buona soluzione per livellare il tutto e avere un campionato equilibrato, invece, potrebbe essere l’introduzione degli scarti, in modo da permettere a tutti i piloti di togliere i due-tre risultati peggiori evitando troppe polemiche”.

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