Polvere di Stelle: da MV Agusta a BMW MotoGP, i motori fermati al debutto

Polvere di Stelle: da MV Agusta a BMW MotoGP, i motori fermati al debutto

Un altro capitolo sulle moto plurifrazionate mai viste in gara: dalla MV con motore "boxer" bloccata dallo Stato alla Ducati “inglese” fino al prototipo tedesco

23.08.2022 ( Aggiornata il 23.08.2022 16:40 )

Altra puntata della storia delle moto con più di due cilindri costruite con l’ambizione di vincere le corse e invece costrette a rinunciare alla potenzialmente gloriosa carriera agonistica.

I progetti che presentiamo non sono stati sacrificati, come la maggior parte di quelli esaminati in precedenza, dai nuovi regolamenti tecnici entrati in vigore a fine Anni ‘60, ma da radicali “cambiamenti di rotta” stabiliti dalla dirigenza delle Case dopo aver appoggiato, finanziato e sviluppato la nascita dei prototipi.

Polvere di Stelle: l'evoluzione della componentistica

Il "boxer" MV Agusta


Per cominciare, torniamo al 1974, un anno importantissimo per la MV Agusta perché coincise con l’addio di Giacomo Agostini, passato alla Yamaha, con cui fu campione del Mondo a fine stagione nella 350.

Il conte Domenico Agusta era morto prematuramente nel 1971 e aveva lasciato al fratello Corrado la responsabilità di un’azienda motociclistica in grave difficoltà economica e di un reparto corse in piena efficienza, ma costosissimo e alla soglia di una crisi dovuta alla superiorità che i motori giapponesi a due tempi stavano maturando nei confronti dei quattro tempi su cui la MV si era intestardita.

Nel 1974 a Verghera venne assunto un nuovo direttore tecnico, l’ingegner Giuseppe Bocchi, che si distinse operando sui quattro cilindri 350 e 500, impegnandosi anche nella progettazione di un motore inedito per la MV: un 500 quattro cilindri “boxer” per il quale, oltre alla tradizionale alimentazione a carburatori, si accinse a sperimentare anche l’iniezione.

Nel “boxer” MV vi erano una coppia di cilindri orizzontali affiancati frontemarcia e un’altra coppia parimenti disposta, ma rivolta all’indietro. In pratica, un V4 di 180° montato in senso longitudinale per contenere l’ingombro frontale e consentire la realizzazione di un telaio molto basso. Le caratteristiche specifiche di questo motore, che nella prima prova al banco rese 96 cavalli, non sono note.

Lo sviluppo era programmato, venne realizzato anche un telaio a traliccio, alla Dell’Orto vennero commissionati speciali carburatori, ma prima che il “boxer” – derivato come progetto dal motore V12 che l’ingegner Bocchi aveva costruito per la Tecno di Formula 1 – potesse mostrare tutto il suo indubbio potenziale, la MV Agusta moto chiuse i battenti e alla fine del 1976 la stessa sorte toccò al reparto corse.

Fu lo stato italiano, divenuto nel frattempo proprietario della MV, a decidere la fine del comparto moto in base a due ragionamenti: a Cascina Costa si producevano anche elicotteri apprezzati sul mercato internazionale e in grado di produrre utili molto elevati. Inoltre lo Stato possedeva anche la Ducati, che in quel periodo stava lanciando una moto di particolare prestigio, una bicilindrica di grossa cilindrata per la quale si prospettava una buona accoglienza sul mercato.

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