Polvere di stelle: Werner 1901, l'inizio di un'era

Polvere di stelle: Werner 1901, l'inizio di un'era

Dopo la svolta della trasmissione a cinghia, l’azienda realizzò la prima motocicletta moderna: le idee su telaio e motore aprirono una strada...

05.05.2021 12:35

Il nobile Méde de Sivrac, divertendosi a circolare nel 1791 a Parigi, in piena rivoluzione francese, con il “Celerifero” di sua invenzione, certamente percorreva qualche tratto tenendo i piedi sollevati da terra, ma non avrebbe mai pensato di poterlo farea lungo con un mezzo dotato di soltanto due ruote allineate longitudinalmente.

Non avendo una propulsione a pedali, il Celerifero avanzava spinto dalla pressione dei piedi del pilota sul terreno, che mantenevano nel contempo l’equilibrio a bassa velocità. In meno di un secolo, inventati lo sterzo, i pedali e la moltiplica, la bicicletta dimostrò invece di poter garantire un equilibrio dinamico in ogni condizione e divenne uno dei principali fenomeni sociali e industriali in tutto il Mondo. Ma quando le vennero applicati i primi motori, a vapore e a scoppio, il problema dell’equilibrio si pose nuovamente, come durante i primi esperimenti di De Sivrac.

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La svolta


Il triciclo, a parte la maggiore sensazione di stabilità dettata dal triangolo disegnato a terra dalle tre ruote, poteva ospitare a bordo un peso maggiore ed essere meno sensibile alla posizione in cui questo fosse collocato. I motori a vapore, per quanto miniaturizzati, erano comunque pesanti e ingombranti e su una bicicletta elevavano troppo il baricentro ai danni della stabilità, inoltre non potevano accogliere a bordo sufficienti scorte di acqua e carbone. Agli albori della motorizzazione le tre ruote furono quindi vincenti sulle due, al contrario di quanto era accaduto con la bicicletta, e anche quando dal motore a vapore si passò rapidamente a quello a scoppio per alcuni anni il triciclo mantenne una posizione dominante, soprattutto in virtù degli ottimi modelli prodotti dalla fabbrica parigina del conte Albert de Dion, diffusi, costruiti su licenza o copiati in tutt’Europa fino ai primissimi anni del 1900.

Fu però in questo periodo che la motocicletta riacquistò popolarità e il “trike” diminuì in proporzione. I motivi furono molteplici: innanzitutto la tendenza a montare sui tre ruote motori a benzina sempre più pesanti e potenti mise in evidenza carenze strutturali notevoli che lo resero un veicolo pericoloso e protagonista di numerosi gravi incidenti. Questo non avvenne per le biciclette a motore, leggere grazie ai piccoli propulsori di potenza quasi irrisoria, maneggevoli e stabili in quanto munite della flessibile trasmissione finale a cinghia, a differenza delle trasmissioni rigide dei tricicli.

Secondo un commentatore tecnico dell’epoca, fu proprio la trasmissione a cinghia, applicata per la prima volta dai fratelli Werner nel 1896, a costituire la svolta a favore della motocicletta, rendendola più sicura (una delle cause del fallimento della Hildebrand & Wolfmuller del 1894, la prima motocicletta prodotta industrialmente, era stata infatti la trasmissione a bielle). Il motore della Werner era montato davanti al manubrio e collegato da una cinghia alla ruota anteriore. Il baricentro alto e la trazione sulla ruota direttrice facevano sì che il suo equilibrio fosse abbastanza precario, tuttavia vinse il confronto con i tricicli e aprì la strada allo sviluppo industriale della moto.

Lo scetticismo nei confronti delle prime motociclette


Joseph Pennell, uno dei più famosi artisti americani di fine ‘800, che operò per molto tempo in Europa, era un appassionato motociclista. Possessore di una Werner a trazione anteriore nei primi anni del ‘900, al termine di un breve tour in Francia scrisse queste note: Una motocicletta può essere una pratica macchina da turismo? Pur essendo ottima per le brevi escursioni, temo di no. È una rivale della normale bicicletta da turismo? Non credo... Deve essere lubrificata ogni 15 miglia, e doversi fermare per farlo è davvero una noia, oltre al fatto che non può trasportare altro che una piccola quantità di lubrificante. Temo che la motocicletta non sia adatta per il turismo. Non mi riferisco in particolare alla Werner, che mi sembra l’unica motocicletta in assoluto praticabile; tutte le altre che ho visto hanno qualche difetto assurdo. Un motore, diciamo di uno o due cavalli di potenza, può essere montato su una bicicletta? La bicicletta può essere resa abbastanza resistente da sopportare le sollecitazioni di un simile motore? E, in tal caso, è sicura da guidare, su tutti i tipi di strade e in tutte le condizioni? Mi dispiace dirlo, temo di no...E se la si costruisse sufficientemente robusta, si potrebbe guidare in sicurezza a 12-25 miglia orarie in salita e in discesa, su asciutto e su strade bagnate e nel traffico? Sebbene sia molto affascinante, credo sia altrettanto pericoloso”.

Chi scriveva di motociclismo in quei giorni dava pareri molto simili. Se si considera che il telaio della motocicletta era leggermente più resistente di quello di una normale bicicletta “a trazione muscolare”, che le forcelle erano esattamente le stesse e non di rado si rompevano, che le gomme erano molto scadenti e che scivolare era abbastanza comune, non sorprende che le primissime moto fossero poco più di un eccitante giocattolo. Anche chi ne aveva avviato la produzione industriale doveva considerarla così, visto che non era prevista, per esempio, la lubrificazione del motore in movimento, ma ci si aspettava che uno si fermasse ogni poche miglia e versasse olio da una lattina empiricamente fissata da qualche parte sul veicolo. Soltanto i veri appassionati credevano nel futuro della motocicletta, mentre gran parte del pubblico era arrivato ad accettare il “trike” come una proposta pratica.

Furono ancora i fratelli Werner a mettere in produzione una bicicletta a motore capace di cancellare la maggior parte dei difetti ignorati dai tanti industriali improvvisati della prim’ora. La Werner con il modello 1901 presentò quella che oggi si può senz’altro classificare come la prima motocicletta moderna. Il primato era giustificato dalla presenza di un telaio specifico per le caratteristiche di un veicolo a motore, quindi non uno rinforzato da bicicletta, come facevano tutti i concorrenti, ma una struttura diversa, molto più robusta, con un doppio tubo orizzontale in prossimità dell’alloggiamento del motore, collocato per la prima volta al centro della “V” costituita dai tubi obliqui del telaio e vincolato a essi a integrazione della struttura. Questo posizionamento del propulsore nel telaio, nonché la buona qualità del motore e l’abilità e la resistenza di guida del pilota ufficiale della Casa, Hector Auguste Bucquet, fecero sì che nelle principali corse europee del triennio 1901-1903 la Werner risultasse pressoché imbattibile. Di conseguenza, dopo aver tentato tutte le strade possibili, posizionando il motore anche in punti assurdi, le più avanzate Case motociclistiche dei primordi nel volgere di pochi anni seguirono l’esempio della Werner sia nella costruzione dei telai che nella collocazione del propulsore.

continua

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