I tre cilindri "fantasma" | Officina

I tre cilindri "fantasma" | Officina

Dal bialbero Cardani, che non gareggiò per motivi economici, al deludente 350 Ricardo, fino alla “prova” dei tecnici Ducati

18.04.2024 ( Aggiornata il 18.04.2024 16:00 )

Alcuni lettori mi hanno chiesto di riprendere l’argomento della recente mail del sig. Consiglio e di sviluppare maggiormente la risposta, descrivendo con maggiore dettaglio i tricilindrici in questione. Effettivamente sono stato un po’ sintetico, ma lo spazio era quello. Ora posso utilizzarne di più e sono quindi in grado di soddisfare la loro richiesta. Ricordo che si trattava di tre motori in linea nati per impiego agonistico.

L'importanza dei cuscinetti volventi | Officina

Il bialbero Cardani


Il primo a essere realizzato, nel 1968 a Milano, fu il bialbero Cardani, montato su una bella 500 da GP dotata di una ciclistica allo stato dell’arte. Il telaio era a doppia culla continua in tubi e, come la forcella, era stato realizzato in Inghilterra. I freni a tamburo erano due di quelli da competizione prodotti all’epoca da Daniele Fontana, uno degli artefici della impresa (l’altro era Carlo Savarè). Il motore, dalle misure caratteristiche sensibilmente superquadre (62 x 55 mm), aveva quattro valvole per cilindro, che giacevano su due piani inclinati tra loro di circa 90°. Si trattava di un angolo molto elevato, scelto sia perché consentiva di raffreddare molto bene la parte centrale della testa (più sollecitata termicamente) che perché permetteva di montare valvole assai grandi. Ad attivare queste ultime provvedevano due alberi a camme che agivano su punterie a bicchiere del diametro di 28 mm; ad azionarli provvedeva una cascata di ingranaggi posta sul lato destro e alloggiata in una cartella in lega di magnesio. La testa era costituita da un’unica fusione in lega di alluminio mentre i cilindri, dotati di canne in ghisa installate con interferenza, erano individuali.

A vincolare i pistoni forgiati alle bielle in acciaio da cementazione, ricavate dal pieno, provvedevano spinotti del diametro di 16 mm. Dato l’elevato angolo tra le valvole, per ottenere il rapporto di compressione desiderato il cielo dei pistoni (che erano prodotti dalla Mahle e avevano il mantello intero) era dotato di una “cupola” molto accentuata. L’albero a gomiti composito, dotato di volantini discoidali, lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento e poggiava su quattro supporti di banco muniti di cappello. Per agevolare la realizzazione della “parte inferiore” del motore il cambio era in semiblocco e veniva fissato alla parte posteriore del basamento. In tal modo quest’ultimo in pratica si riduceva a una semplice scatola divisa in due parti da un piano mediano. Quella superiore, più sollecitata, era in lega di alluminio al 9% di silicio mentre quella inferiore era in lega di magnesio. 

In quanto alle prestazioni, si parlava molto ottimistica mente di 75 cavalli a 13.000 giri/min. A tali valori corrispondono una pressione media effettiva (PME) di 10,19 bar e una velocità del pistone di 23,8 metri al secondo. All’epoca la MV 500 tricilindrica erogava oltre 80 cavalli a 12.500 giri/min (ovvero 160 CV/litro) con una PME di 11,3 bar. I dati forniti per la Cardani, che non scese in pista per ragioni economiche, appaiono dunque esagerati. Tanto di cappello, comunque, a chi l’aveva progettata e realizzata.

Ricardo e Ducati


All’inizio degli anni Settanta la nuova dirigenza della Ducati intendeva puntare forte sulle corse. Parallelamente alla 500 bicilindrica costruita internamente decise di far realizzare esternamente una 350, con schemi diversi da quelli tipici della Casa (tutti dovuti all’Ingegner Taglioni). Stranamente si rivolse per il motore alla inglese Ricardo, ottima come ente di ricerca ma che ben poco aveva a che fare con moto e auto di altissime prestazioni. Il risultato fu un tricilindrico in linea, allestito nel corso del 1971, che effettivamente sembrava realizzato in base ai più recenti orientamenti della tecnica quattrotempistica da competizione, come dimostravano il raffreddamento ad acqua, le quattro valvole per cilindro e l’alimentazione a iniezione. La distribuzione, non desmodromica, era bialbero con comando a cinghia dentata. La testa era fusa in blocco con la bancata dei tre cilindri. Venne ipotizzata una potenza addirittura non lontana dagli 80 cavalli ma una volta messo al banco il motore fornì risultati deludenti.

Dagli iniziali 35 cavalli (circa) si giunse a fatica dalle parti dei 50, troppo pochi per essere competitivi. Dopo circa un anno di travagliato lavoro di sviluppo il programma venne cancellato. Di Ducati questo motore non aveva proprio nulla e nessuno lo ha rimpianto.

Motori a tre cilindri Ducati


La storia della tricilindrica di 750 cm³ realizzata nel 1972-73 durante il tempo libero da Franco Farnè e Piero Cavazzi, entrambi dipendenti della Ducati, è completamente diversa. I tricilindrici due tempi andavano forte nelle gare delle 750 e i due tecnici volevano vedere quali risultati si sarebbero potuti ottenere con un motore quattro tempi di analogo schema, impiegando la tecnologia della Casa bolognese per quanto riguarda la distribuzione. Spinti dalla passione realizzarono tre cilindri individuali, con canna in ghisa, e una testa unica, ottenuta per fusione, e li montarono sul basamento di una Kawasaki 750 cortesemente fornita da Paul Smart. In effetti la trasformazione fu tutt’altro che semplice. Vennero realizzati un nuovo albero e nuove bielle e il carter fu profondamente modificato all’interno (per non parlare del sistema di lubrificazione, realizzato ex novo). Per azionare l’unico albero a camme in testa venne adottata una cinghia dentata, posta sul lato sinistro.

Le valvole avevano un diametro di 40 mm all’aspirazione e 36 mm allo scarico e venivano comandate dallo stesso sistema desmodromico impiegato sui motori di serie. Pure le misure caratteristiche erano le stesse di tutti i 250 monocilindrici Ducati: 74 x 57,8 mm. Pare che al banco questo motore abbia erogato 116 CV a 11.800 giri/min, valore che appare decisamente ottimistico (a esso corrispondono una potenza specifica di 154 CV/litro e una PME di 11,6 bar). In ogni modo, tutto è finito lì. Il motore, nato per iniziativa personale, non fu realizzato pensando a un eventuale seguito…

Il raffreddamento dei motori | Officina

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