Officina: dagli aerei alle moto

Officina: dagli aerei alle moto

Non solo: anche le automobili hanno utilizzato le tecnologie aeronautiche

Redazione

17.01.2023 ( Aggiornata il 17.01.2023 14:16 )

Qualche mese fa abbiamo parlato delle soluzioni e delle tecnologie che sono arrivate al nostro settore dal mondo aeronautico.

Officina: il volano dimenticato

Travaso tecnologico 


In effetti il discorso è ancora più ampio e può essere opportuno riprenderlo in questa sede. D’altronde della ricaduta tecnologica da un campo nel quale i costi hanno ben poca importanza e gli investimenti sono enormi hanno beneficiato anche le aziende automobilistiche, che pure dispongono di mezzi ben superiori a quelli delle case motociclistiche. Non è fuor di luogo qui ricordare che per lungo tempo in passato marchi famosi a livello mondiale nel settore delle due ruote in effetti hanno utilizzato strutture assai modeste e di risorse limitate.

Quando subito dopo la seconda guerra mondiale Bert Hopwood entrò alla Norton, per la quale progettò il bicilindrico che si sarebbe evoluto fino ad equipaggiare il famoso Commando, rimase stupito del fatto di avere a disposizione una stanza di due metri e mezzo di lato che doveva condividere con un altro tecnico.

Edifici quasi fatiscenti e strutture obsolete completavano il quadro. Non c’è da stupirsi che sia ben presto passato alla BSA, sempre come capo progettista. Da noi le cose andavano decisamente meglio, ma le strutture e le dimensioni erano comunque pressoché artigianali (eccezion fatta per Piaggio e Innocenti, che però non costruivano motociclette). Di fare vere ricerche e sperimentazioni in campo motociclistico non se ne parlava e la situazione fondamentalmente non è cambiata fino agli anni Settanta. Di ben altri mezzi ha sempre potuto disporre l’industria automobilistica, che però risultava molto ridimensionata se la si paragonava a quella aeronautica, che poteva anche contare su un imponente supporto statale e per la quale, come detto, i costi non erano un problema.

Logico quindi che per decenni sia stato proprio il settore avio a mostrare la strada, in campo motoristico e a livello di materiali e tecnologie. E che dopo il termine del secondo conflitto mondiale parallelamente alla riconversione di aziende e strutture che avevano lavorato in campo aeronautico ci sia stata anche una autentica migrazione di tecnici di notevole livello verso altri settori, tra i quali spiccavano quelli automobilistico e motociclistico.

Aurelio Lampredi


Basta ricordare qui nomi come quello del grande Aurelio Lampredi, al quale sono dovute alcune delle migliori realizzazioni della Ferrari degli anni Cinquanta, a cominciare dal quattro cilindri della monoposto con la quale Alberto Ascari ha conquistato il titolo mondiale nel biennio 1952-1953. Passato poi alla Fiat, il grande tecnico toscano ha realizzato motori che hanno fatto la storia, e ha portato l’azienda torinese a mettere in produzione di gran serie i suoi primi modelli con distribuzione bialbero (e con comando a cinghia dentata).

Dal settore aeronautico e dalla stessa azienda (le Officine Reggiane, autentica fucina di grandi tecnici) proveniva anche Piero Prampolini, al quale si devono celebri motori di serie come il Mondial 175 monoalbero a cilindro inclinato e i famosi Motobi monocilindrici a uovo. In Germania aveva lavorato in campo aeronautico Kaaden, padre dei moderni motori a due tempi di alte prestazioni. Le sue MZ da competizione hanno mostrato al Mondo cosa si poteva ottenere con l’ammissione a disco rotante e con gli scarichi a espansione. L’elenco potrebbe continuare ma è forse il caso di parlare delle tecnologie e delle soluzioni “ereditate” dal settore avio.

Che, guarda caso, sono quasi tutte legate alle realizzazioni motociclistiche di più elevate prestazioni. Tanto per dire, quando l’ingegner Carcano ha realizzato alla Guzzi quell’autentico capolavoro della 500 a 8 cilindri, ha adottato una soluzione tipica della scuola aeronautica utilizzando due teste e canne in esse avvitate. Avevano del resto fatto la stessa cosa Gianini con il 500 a quattro cilindri in linea progettato per la stessa casa di Mandello e Lampredi per le sue Ferrari da Gran Premio. E forse non è stato un caso che nel bellissimo 125 bialbero nato in Cagiva nella seconda metà degli anni Ottanta sia stata adottata una analoga soluzione e che più o meno nel medesimo periodo lo stesso Lampredi sia stato consulente della azienda varesina. Quel motore, che aveva il cilindro ruotato di 180° (aspirazione davanti e scarico dietro) e che veniva familiarmente chiamato “vitone”, è purtroppo rimasto allo stadio di prototipo.

I due alberi a camme, che azionavano quattro valvole, erano comandati da una cinghia dentata.

Il Guzzi V8


Un’altra soluzione di stampo aeronautico impiegata nel Guzzi V8 era costituita dall’impiego di pastiglie in materiale tenero (lega di alluminio o di magnesio) piantate nelle due estremità degli spinotti, che non erano quindi vincolati assialmente dai consueti anelli elastici in acciaio. È qui opportuno ricordare che in campo aeronautico la sicurezza e l’affidabilità devono essere ai massimi livelli. Se il motore si ferma l’aereo precipita e non si arresta tranquillamente a bordo strada comepossono fare un’auto o una moto.

Per questa ragione si impiegavano le soluzioni appena descritte, che consentivano di eliminare il rischio di cedimenti della guarnizione della testa e di fuoriuscita degli anellini di ritegno dello spinotto dalle loro sedi. Veniva anche adottata la doppia accensione, con ognuna delle due candele collegata a un circuito indipendente, munito del proprio magnete.

Le bielle dotate di fusto con sezione ad H possono sembrare relativamente recenti ma venivano utilizzate dalla Hirth e dalla Argus già negli anni Trenta per i loro motori destinati a velivoli leggeri. Alla ditta Hirth è anche legato il raffinato metodo di collegamento tra le parti che costituiscono gli alberi a gomiti compositi che va sotto il suo nome. Tale sistema, estremamente costoso, prevede l’impiego di dentature frontali e di viti di unione assiali.

Nel nostro settore lo hanno impiegato alcuni motori da competizione, come i formidabili bicilindrici NSU 250 vincitori del mondiale nel 1953 e nel 1954.

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