Lucio e Massimo Castelli, i meccanici vincitutto | Storie Italiane

Lucio e Massimo Castelli, i meccanici vincitutto | Storie Italiane

Due generazioni di pluricampioni del mondo dietro le quinte: Lucio ha trionfato 17 volte con MV Agusta, Massimo ha prevalso nell'off-road

30.03.2023 ( Aggiornata il 30.03.2023 10:16 )

Nel Medioevo furono eretti in Europa centinaia di castelli, per permettere ai feudatari di difendersi dagli attacchi provenienti dall’esterno. Nel motociclismo, invece, i Castelli servono per andare all’attacco, conquistando l’intero globo.

La storia di Lucio e Massimo Castelli


Lo dimostrano Lucio e Massimo Castelli, da Gorla Minore (Varese), artefici rispettivamente di 17 titoli mondiali piloti in pista e otto nel Motocross.

Lucio compirà 90 anni il 30 giugno, ma è ancora lucidissimo e non si perde i raduni di Moto d’Epoca, a cui presenzia con una delle sue MV Agusta: “Lavoravo in officina da Mario Colombo, lui conosceva il Conte, Domenico Agusta, nel 1954 mi portò in azienda e venni assunto. Stavo in officina e quando, nel 1964, venne riaperto il Reparto Corse, Arturo Magni mi chiamò perché mi occupassi della ciclistica. Essendo assunto, quando nel 1976 il Reparto Corse chiuse, restai alla MV, ho fatto da autista al conte Corrado fino alla pensione, nel 1989”.

Rispetto al padre, Massimo, che la settimana scorsa ha festeggiato 62 anni, ha avuto un percorso lavorativo più tortuoso: “Iniziai nel 1978 all’Aspes come garzone, aiuto meccanico: imparavi lavando e smontando le moto, chiaramente senza responsabilità. Dopo la pausa per il Militare, nel 1982 andai alla Cagiva, restando fino al 1991, quando Michele Rinaldi mi propose di aggregarmi a lui”.

Il cambio di casacca non fu accolto favorevolmente in famiglia: “Papà si arrabbiò molto perché secondo lui la Cagiva, essendo una ditta, mi garantiva un lavoro sicuro come operaio, ma non mi andava di stare in catena di montaggio. Il Reparto Corse stava chiudendo, mi dissi ‘un treno così non passa più’ e andai da Rinaldi a Parma, per rimanerci dal 1992 al 1999. Passai al Team Freetime Yamaha Skittles di Reggio Emilia per cui correvano Yves Demaria e Pit Beirer. Dopo due anni aprii un’officina e conobbi Giacomo Gariboldi che nel 2005 diede vita al suo team, un po’ per gioco”.

Da quell’istante Massimo Castelli non ha più cambiato casacca, diventando uno dei capisaldi della formazione di Arsago Seprio, fino a occupare il ruolo di responsabile tecnico: “Il team fu messo insieme per aiutare i giovani: partimmo con il Regionale lombardo, poi l’Italiano. Nel 2009 vincemmo l’Europeo 250 con Christophe Charlier ma poco dopo la Yamaha ci abbandonò. Con un colpo di fortuna, o forse perché siamo stati bravi, siamo stati chiamati in HRC ed è arrivato Tim Gajser, con cui abbiamo vinto cinque Mondiali: nel 2015 in MX2, nel 2016, 2019, 2020 e 2022 in MXGP”.

Oltre alle superfici di gara, anche i compiti dei due Castelli si discostano non poco come racconta Lucio: Io facevo il telaista, guardavo tutta la ciclistica, forcella, ammortizzatori, ruote, freni, filo del gas. Avevo un libretto che indicava ogni quanti chilometri erano obbligatorie le sostituzioni. I freni, anche se erano ancora quasi nuovi, dopo tre gare andavano cambiati. Le gomme ce le portavamo noi, erano soltanto di due tipi, da asciutto e da bagnato. A volte si restava svegli il sabato notte per sistemare la moto dopo una rottura. I motori di scorta erano quattro, due per cilindrata e durante l’anno li ripristinavamo, mettendo a posto albero motore, pistoni, testa”.

Lucio e Massimo Castelli, dalla pista all'off-road


Vedendo il padre in azione in garage insieme allo zio Edoardo, anch’egli dipendente Cagiva, l’erede si è innamorato delle moto fin dalla tenera età: “Anch’io come papà cominciai come telaista, ma dopo, avendo la passione, ho imparato altre cose. Mi occupavo dei motori in Yamaha da Rinaldi e tutt’ora ‘faccio’ il motore di Gajser, sono responsabile del team a livello tecnico. Sopra di me ci sono Gariboldi, come team manager, e Marcus Freitas, che da anni è uomo HRC, il general manager che mantiene i contatti tra noi e il Giappone. Il lavoro è cambiato perché in Cagiva dovevi montare le gomme, revisionare la forcella, facevi proprio tutto. Adesso invece c’è chi ti porta il motore, la Pirelli fornisce le gomme, c’è un tecnico giapponese per le sospensioni e un altro tecnico nipponico che si occupa soltanto dell’elettronica. Lui fa la mappatura alla moto e noi inseriamo la schedina nella centralina. Anche per questo la gestione è più rapida, non si lavora più di notte come ai tempi della Cagiva”.

Persino l’incidenza dell’uomo appare agli antipodi, almeno a detta di Massimo: “Ai tempi di papà, le moto della 500 erano più difficili da gestire e il pilota contava parecchio. Credo che nella Velocità attuale il 70 percento lo faccia la moto, nell’off-road le percentuali sono invertite. Le moto nel Cross si equivalgono più o meno tutte, almeno considerando le ufficiali. Gajser può vincere ovunque, come era per Tony Cairoli. Il pilota è ancora molto più importante della moto, anche se chiaramente, se guida un ‘cancello’ non puoi pretendere che vinca”.

A differenza di Lucio, che ha conquistato sei titoli della 350 e 11 consecutivi della 500, dal 1964 al 1974 con Mike Hailwood (due), Giacomo Agostini (tredici) e Phil Read (gli ultimi due), il figlio ha trionfato in classi e con team differenti: “I primi due Mondiali li ho vinti in 125 con la Cagiva, nel 1985 e nel 1986 con Pekka Vehkonen e Dave Strijbos. Con la Casa varesina ho fatto pure un anno nella Velocità, nel 1990 con Randy Mamola, Ron Haslam e Alex Barros, e in inverno la Parigi-Dakar vinta da Edi Orioli. Nel 1992 in 250 ho conquistato il mondiale Cross con Donnie Schmit, al primo anno con Rinaldi, anche se non conoscevo nessuno e parlavo pochissimo l’inglese”.

Un’incombenza che il padre non ha mai avuto: “Non parlavamo lingue straniere – conferma Lucio – ci pensava Magni, sia per confrontarsi con Hailwood e Read che per le trasferte”. D’altra parte lavorava per un’azienda italiana, mentre Massimo ha a che fare con i giapponesi: “Da un lato lavori bene perché hai tutto ciò che serve, se ti dicono che domani arriveranno cinque motori stai sicuro che li avrai. Ma per far loro capire le cose serve tempo, il loro tempo di reazione è lungo.

La possibilità che la serie vincente continui con la terza generazione è però esclusa, sentendo Massimo a cui pesano sempre di più le lunghe attese in aeroporto: “Ho un figlio che va in moto, ha passione e ha voluto provare a fare l’aiuto meccanico. Alla fine ha scoperto che non è il suo mondo, troppi sacrifici, mentre i coetanei sono in giro a divertirsi: ha deciso di smettere e fa l’operaio”. Alla domanda su cosa serva per fare a lungo il meccanico in squadre così importanti, invece, i Castelli rispondono quasi all’unisono, usando la stessa parola chiave: “Se non hai passione… non ce la fai”.

Francesco Faraldo, l'inventore d'Oltremanica | Storie Italiane

  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi