Francesco Faraldo, l'inventore d'Oltremanica | Storie Italiane

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La storia di Faraldo: "Da pilota e autodidatta, mi sono trasformato in costruttore per le road races"

22.03.2023 ( Aggiornata il 22.03.2023 11:13 )

Per gli appassionati di gare stradali l’Isola di Man è ciò che la Mecca rappresenta per i musulmani: una località da visitare almeno una volta nella vita. Rapiti dall’atmosfera, tantissimi appassionati ci sono voluti tornare.

Il trentenne originario del senese Francesco Faraldo è andato oltre, trasferendosi sull’isola per sviluppare meglio l’attività di costruttore artigianale di moto da corsa.

La storia di Francesco Faraldo


“A fine 2015 sbarcai sull’isola, con la mia ragazza Helena e il furgone – racconta Faraldo – stavamo a Port Erin e lavoravo nella ristorazione. Restammo un anno intero ma volevo tornare in Italia per costruire qualcosa. Lassù non avevo un garage, così al rientro in Toscana iniziai ad allestire una Supertwin. Provando e riprovando, dato che sono un autodidatta, ho imparato a fare le carene e l’impianto elettrico”.

In precedenza avevi corso?

“Sì, a 18 anni, disputai tre stagioni nella Salita con un’Aprilia RS 125, una moto molto economica. I primi due anni… insomma, poi al terzo feci un podio all’ultima gara. Un altro podio, ma in condizioni particolari, l’avevo conquistato alla stagione d’esordio. Non sono mai stato un grande pilota e non ho mai avuto il budget giusto”.

In pista niente?

“Soltanto nel 2015, nel monomarca Yamaha 125: podio alla prima gara e poi sempre peggio. Ai tempi lavoravo in un ristorante, in sala, nel 2013 e 2014 ero stato anche a Londra, passando in cucina”.

Torniamo alla tua attività di costruttore.

“Il mio lavoro principale è rappresentato dalle carenature, dagli impianti elettrici e dai telaietti in alluminio, non faccio niente di meccanica. Non ho macchinari, tranne un piccolo tornio. Quello che faccio è tutto manuale, la vetroresina non ha bisogno di attrezzature, e uso il carbonio soltanto per piccoli pezzi come il parafango”.

La tua prima creatura?

“Una Supertwin su base Kawasaki, nel 2018: l’anno prima ero andato al TT per fare volantinaggio così da vendere i miei prodotti. Mi accordai con Rikki McGovern, io gli davo la mia moto, lui doveva metterci il motore. Andò male, alla NW 200 si ruppero due motori, al TT un altro. Per fortuna all’Isola di Man conobbi Derek McGee”.

La tua svolta.

“Preparai una Moto3 con motore Honda 250 e gliela affidai. Derek è il miglior pilota d’Irlanda anche se da noi è poco conosciuto. Nel 2019 mi trasferii in Irlanda del Nord per seguirlo tutto l’anno. L’intenzione iniziale era di vivere in Irlanda ma era troppo cara, così prendemmo casa a Moira, a una trentina di chilometri da Belfast, in affitto dagli sponsor di Derek. Vincemmo tutte le gare stradali a cui partecipammo. Non avevo ancora aperto l’azienda ma già producevo carenature e mi feci un po’ di clienti”.

Francesco Faraldo e la scelta della Moto3


Come mai la Moto3?

“La 600 e la Mille non mi fanno impazzire perché sono popolari e tutto ciò che è popolare non mi piace. Desideravo conoscere tutta la tecnologia della Moto3 e fare qualcosa di diverso. In Italia già esistono le 450, in Irlanda non sapevano cosa fossero”.

Perché le tue carene hanno successo?

“In Irlanda i piloti usavano carene oscene, io invece ho puntato su modelli Moto2 e MotoGP. Ho preso dalla Repubblica Ceca delle carene MotoGP replica e le ho adattate. La maggior parte, però, qui le usano per le Supertwin”.

L’esperienza in Irlanda del Nord non è stata tutta rose e fiori.

“Siamo andati via perché l’accento locale è veramente difficile, parlano proprio male e non si sforzano di aiutarti. Stavamo perdendo tutto l’inglese appreso. Per fortuna i miei piloti, come Derek, sono dell’Irlanda del Sud ed è davvero un altro parlare”.

Hai avuto rapporti con le celebrità?

“Evito le persone famose perché devi dar loro la moto gratis. E invece è giusto che i piloti paghino perché noi abbiamo delle spese e non riesco assolutamente a trovare sponsor, anche vincendo i campionati, in parte perché sono moto piccole e poi perché le sponsorizzazioni non vanno in base alla bravura ma alla conoscenza. Ho mandato 70 e-mail, mi han risposto in quattro, tutti no. Ho soltanto un paio di sponsor ma non ho tempo per ‘vendere’ me stesso, sto in officina dalle sette alle 21, sette giorni su sette. Comunque da me le moto gratis non le vedono”.

E poi la questione con i Dunlop.

“Ho dovuto combattere con il figlio di Joey, Gary, che gareggiando nella mia categoria voleva farmi squalificare da tutte le gare, ma essendo io in regola non ci è riuscito”.

Nel 2020 un’altra inversione.

“Ci siamo spostati a Douglas, sull’Isola di Man. La vita è molto cara ma sono riuscito ad aprire la società in un giorno, senza commercialista né spese. In Italia ci avevo provato, avevo sentito quattro commercialisti e ognuno diceva cose diverse, troppa burocrazia. Inoltre qui, anche se sono straniero, i clienti vengono e comprano: non conta chi sei, viene apprezzato ciò che fai”.

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