Tecnica: alla scoperta della Honda RCV

Tecnica: alla scoperta della Honda RCV

Dopo la fine dell'era 500, la moto giapponese è stata a lungo il riferimento della MotoGP, prima con un motore V5, poi V4

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16.08.2022 20:53

Quando la MotoGP ha sostituito la 500 come classe regina del Motomondiale la Honda è stata la Casa più pronta a lottare per il titolo, schierando una moto nettamente più avanti come preparazione rispetto a tutte le altre. Non soltanto, ma dal punto di vista tecnico era anche la più innovativa.

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Motore


Il suo motore era infatti realizzato con un’architettura inedita per il settore motociclistico: dotato di cinque cilindri, dei quali tre nella bancata anteriore e due in quella posteriore, era a V di 75,5°. A parità di rapporto corsa/alesaggio e di pressione media effettiva la potenza di un motore aumenta con il numero dei cilindri; crescono infatti il regime di rotazione raggiungibile con una stessa velocità media del pistone e la superficie dei pistoni. Si potrà obiettare che allora sarebbe convenuto realizzare un sei cilindri.

Si era invece optato per un V5 perché in base al regolamento poteva avere un peso sensibilmente minore (lo stesso ammesso per i quattro cilindri). In quanto all’architettura a V, era stata scelta perché consentiva di avere un ingombro trasversale contenuto, addirittura inferiore a quello di un quadricilindrico in linea.

Una grande compattezza e la migliore centralizzazione delle masse erano tra i principali obiettivi che i tecnici della Honda si erano proposti di raggiungere. Rispetto alla verticale, la bancata di tre cilindri era inclinata in avanti di 45° mentre quella di due (ovvero la posteriore) era inclinata all’indietro di 30,5°.Le misure caratteristiche del motore di questa moto, denominata RC211V, non sono state comunicate dalla Casa ma si ritiene che nel 2002, anno della sua comparsa, fossero 74 x 46 mm. La cilindrata totale era di 990 cm3 e la potenza, stando alle fonti più autorevoli, era dell’ordine di 220 CV a un regime di circa 15.500 giri/min. Il motore aveva la distribuzione bialbero comandata da due cascate di ingranaggi poste sul lato destro, ove si trovava anche la trasmissione primaria. I cilindri erano incorporati nella fusione della parte superiore del basamento. L’albero a gomiti poggiava su quattro supporti di banco ed era dotato di tre perni di manovella (su ciascuno dei due laterali erano montate affiancate due bielle mentre su quello centrale ne era montata soltanto una). In pratica era come se si trattasse di un V4 con un cilindro centrale aggiunto.

 

Bielle e iniezione


Le bielle, in titanio come le valvole, erano cave internamente. In fase di realizzazione venivano divise in due parti che, dopo l’asportazione di materiale per ricavare la cavità interna, venivano unite per formare un’unica struttura con il raffinato sistema detto diffusion bonding (unione per diffusione atomica).

Naturalmente la ciclistica era allo stato dell’arte, con un telaio a doppia trave in lega di alluminio (più elementi stampati uniti per saldatura) dotato di bretelle triangolate che andavano a fissarsi alla parte anteriore del basamento. Rispetto alla 500 a due tempi era aumentata la rigidità a torsione; quella alla flessione laterale era opportunamente calibrata onde ottimizzare il comportamento della moto in pista. Il sistema di iniezione, a gestione elettronica, prevedeva due iniettori per ogni cilindro, con quello superiore che entrava in funzione agli alti regimi, quando la quantità di carburante da erogare era maggiore.

 

 

Lo sviluppo del motore ha portato a un incremento della potenza massima che è proseguito fino ad arrivare nel 2006 a 260 cavalli (circa) a 16.500 giri/min. È stato possibile raggiungere tale regime anche grazie a una riduzione della corsa (le misure caratteristiche sarebbero passate a 78 x 41,4 mm). In cinque anni la RC211V ha conquistato tre Mondiali, a cominciare dai primi due della MotoGP, 2002 e 2003 con Valentino Rossi, che però è poi passato alla Yamaha, moto meno potente (almeno inizialmente) ma più gestibile e con migliori doti di guida.

L'evoluzione negli anni


Nel 2007 la cilindrata delle MotoGP è stata limitata a 800 cm3 e la Honda ha realizzato la RC212V, con motore di schema identico al precedente ma dotato di quattro cilindri. Questa moto non ha avuto un grande successo. In cinque anni ha conquistato soltanto un Mondiale, per merito di Casey Stoner. All’inizio il suo motore erogava poco più di 210 cavalli ma alla fine della sua evoluzione è arrivata a superare i 230 a un regime superiore ai 18.000 giri/min. Un notevole miglioramento delle prestazioni si è avuto nel 2008, quando sono state adottate le molle pneumatiche, che hanno reso possibile un sensibile incremento della velocità di rotazione (e l’adozione di camme dal profilo più spinto).

Nel 2010 è stato adottato un sensore di coppia sull’albero secondario del cambio, grazie al quale la centralina poteva conoscere il momento torcente effettivamente disponibile al pignone durante il funzionamento della moto. Nel 2011 è comparso il cambio seamless, che abbatteva drasticamente il tempo di passaggio da una marcia all’altra. Come già accaduto per la RC211V nel corso degli anni sono stati adottati diversi telai, sempre in lega di alluminio e con struttura a doppia trave superiore di rilevante sezione.

La RC213V è entrata in scena nel 2012, quando la cilindrata massima è tornata a 1000 cm3 e l’alesaggio è stato limitato a 81 mm. Per il motore quadricilindrico è stata adottata un’architettura a V di 90°, che assicura un’equilibratura assai buona. Anche in questo caso le prestazioni sono migliorate nel corso degli anni e hanno interessato non soltanto la potenza massima (che da tempo sembra più o meno invariata) ma l’erogazione e la guidabilità. Pure per questo motore la potenza esatta non è mai stata dichiarata.

Da qualche anno dovrebbe essere dell’ordine di 265 cavalli a 16.500 giri/min. Le misure caratteristiche sono 81 x 48,4 mm e quindi la velocità media del pistone è di circa 26,6 metri al secondo. Il disegno del motore è semplice, lineare e razionale, con distribuzione bialbero a quattro valvole (azionate tramite bilancieri a dito) inclinate tra loro di poco più di 20°. L’albero a gomiti in acciaio da nitrurazione poggia su tre supporti di banco. Il sistema di lubrificazione è a carter secco, con il serbatoio al di sotto del cambio. La moto 2022 è stata ridisegnata, ma gli schemi impiegati sono gli stessi. Ormai si lavora a livello di dettagli, che comunque influenzano il comportamento della moto (e i tempi sul giro).

 

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