Scatto Sprint: Stéphane Mertens, un pilota fuori dagli schemi

Scatto Sprint: Stéphane Mertens, un pilota fuori dagli schemi

Il belga fu uno dei top rider nei primi anni della Superbike distinguendosi per lo yoga, il giro di qualifica “immaginato” e... l’istinto di conservazione

18.07.2022 ( Aggiornata il 18.07.2022 20:42 )

Prima dell’era moderna nella quale il motociclismo è diventato soltanto un duello tra Spagna e Italia, assistevamo a partecipazioni più eterogenee con i migliori piloti di tutte le Nazioni del Mondo tutti insieme. Belgi, francesi, venezuelani, statunitensi, nipponici e il meglio di ogni Paese con tradizioni motociclistiche.

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Scuola belga


Per quanto riguarda il Belgio tutti i piloti sono stati scoperti e lanciati da un grande manager come Francis Batta. Il geniale manager iniziò come responsabile del team Cagiva 500 valorizzando un pilota come Didier De Radigues per poi diventare l’organizzatore del mondiale Superbike per conto di Maurizio Flammini. In questa nuova avventura Batta, amico da anni del papà del giovane Stéphane Mertens, decise di puntare su questo pilota nel Mondiale delle derivate di serie dopo che aveva disputato alcune stagioni in 250. Già dal debutto il timido belga nato però a Parigi si dimostrò perfettamente a proprio agio nel mondiale SBK.

Nella primissima stagione 1988, in sella alla Bimota vinse due gare e finì quarto assoluto a soltanto nove punti dal campione Fred Merkel. I due anni successivi li disputò sulla Honda RC30 e proseguì migliorando il già ottimo debutto. Nell’89 divenne presenza fissa sul podio con quattro vittorie e il secondo posto nel Mondiale. Nel ‘90, furono tre le vittorie con il terzo posto finale.

Mertens, pilota gentile 


Nel 1991 entrò nella grande famiglia Ducati, per una parentesi lunga quattro anni. Per lui, però, soltanto moto private perché la squadra ufficiale era focalizzata su Doug Polen. Nel paddock Mertens è sempre stato una presenza educata, quasi defilata e al di fuori dei giganteschi party che finivano in abusi alcolici e, talvolta, risse. Lui curava in modo maniacale la preparazione mentale usando tecniche ma viste prima: lo yoga e una particolare concentrazione che lo rese protagonista di episodi incredibili.

Spesso lo trovavo poco prima delle qualifiche in un angolo del box, dove a occhi chiusi simulava la posizione in moto facendo il suono del motore con la bocca. Appena finiva stoppava il cronometro e, guardandomi, mi diceva: “Questo è il tempo che oggi farò in prova”. Incredibilmente quasi sempre riusciva a replicare in pista l’esatto tempo fatto registrare nel giro immaginario. Personalmente, ci ho provato anch’io e in alcuni casi ci sono andato vicino.

Per capire meglio Stéphane basta ricordare una gara che condusse fino all’ultimo giro, quando un arrembante Giancarlo Falappa lo agganciò. Mertens si rialzò come se avesse rotto il motore, e finì secondo. Fabrizio Calia andò a intervistarlo chiedendogli il problema, la risposta ci lasciò stupiti. “Non ho rotto nulla, ma ho preferito finire secondo che in ospedale, quando arriva Falappa ti supera comunque e magari ti passa sopra”.

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