Matteo Grattarola: "Il Trial, la mia scelta giusta" | Esclusiva

Matteo Grattarola: "Il Trial, la mia scelta giusta" | Esclusiva

"La mia unica esperienza nella Velocità si concluse con un infortunio. Meglio fuori dalle piste, dove mi sono laureato campione del Mondo"

Christian Valeri

30.01.2024 ( Aggiornata il 30.01.2024 15:50 )

È la tua prima sessione di test dopo una sosta ai box, sei ripartito. Ti hanno appena detto che non stai girando male e allora vuoi dimostrare che puoi migliorare ancora. Rettilineo, il polso destro ruota la manopola del gas fino a fine corsa, sei raccolto per migliorare l’aerodinamica, il casco è schiacciato sul serbatoio e, oltre al rumore del tuo motore, senti anche quello di chi ti è alle spalle.

Il giro lanciato prosegue ma, inserendoti in un lungo curvone, ti accorgi che hai inserito una marcia troppo lunga e, mentre vedi la ruota anteriore di chi era alle tue spalle a fianco del tuo ginocchio, pensi: “Ora mi passa”. Butti giù una marcia, tieni il gas spalancato, ma il pneumatico posteriore prende di colpo grip e vieni proiettato in avanti mentre assieme all’altro pilota rotoli nella via di fuga. “OK, ma almeno non mi ha passato!”.

È l’esperienza di una sessione in pista raccontata da Matteo Grattarola, due volte iridato Trial2, protagonista della TrialGP, nonché 14 volte campione italiano Outdoor. Quella giornata di una ventina d’anni fa a Valencia, con una 125 utilizzata nell’Europeo si concluse con uno scafoide rotto. “Fu Piermario Donadoni, CEO di Metis, a invitarmi a Valencia, mentre la Dainese mi fornì tutto il vestiario. Ad affiancarmi fu Luca Boscoscuro che, insieme ai tecnici, mi spiegò come si guidava una moto in pista” racconta il quasi trentaseienne.

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Matteo Grattarola e l'amore per il Trial


Avevi esperienza sull’asfalto?

“No, perché le moto carenate sulle strade aperte al pubblico mi facevano paura. Dopo qualche giro per prendere confidenza, chiedendo soltanto di avere il cambio con la prima in basso e altre marce in alto, iniziai a inanellare giri. Quando tornai ai box mi dissero che stavo andando bene: rientrai galvanizzato e… mi sdraiai”.

Fu l’unica sessione in pista?

“Sì, anche se successivamente mi chiamarono per provare a correre: scelsi di continuare con il Trial, dove stavo iniziando ad andare bene”.

Com’era nata la tua passione per le due ruote?

“Ai tempi dell’asilo, il mio vicino di casa Gianvittorio Malugani aveva un’officina dove sistemava anche moto da Trial. In vetrina c’era una Yamaha PW e tutti i giorni dopo l’asilo passavo a guardarla. Un giorno, stufo di vedermi in officina, Gianvittorio mi disse: ‘Portala a casa che non ti sopporto più! Usala e quando sarai grande me la riporterai!’. Usavo quella moto anche per andare e tornare dall’asilo: i miei genitori dovevano corrermi dietro! Ma un giorno mi schiantai contro un muro e divenne inutilizzabile. Purtroppo Gianvittorio era venuto a mancare, e quando consegnai la PW per ripararla, fu l’ultima volta che la vidi”.

Quale fu la prima moto da Trial?

“Una Fantic monomarcia, seguita da una Beta e una Techno 50: mi allenavo con mio cugino Pep Ciresa e Pietro Agostoni (entrambi piloti di livello nel campionato italiano, nde). A mettermi su una moto da Trial fu però Beppe Arrigoni, che mi seguì sia in allenamento che nelle prime gare”.

Torniamo a quei test in pista: potevi diventare un avversario del tuo amico Danilo Petrucci.

“Ai tempi del Minitrial, entrambi correvamo con le monomarcia e legai subito sia con Danilo che con suo padre. Poi, un anno corsi nel Minicross con una Honda 85 prestata da Alfredo Ciresa di HM, per il quale facevo il tester e le foto per i cataloghi delle moto da bambino, e così ritrovai Danilo nei crossodromi. Dopo quell’esperienza tornai al Trial e un giorno ci siamo ritrovati in un raduno delle Fiamme Oro: da allora capita di sentirsi e, raramente, vedersi”.

Tra i tuoi amici c’è anche Toni Bou con il quale hai condiviso lunghi periodi di allenamento.

“È nato tutto nel 2011 quando espressi a Toni il proposito di allenarmi in Spagna. Mi lasciò il suo numero e quando gli dissi che sarei partito alla ricerca di un albergo, mi volle ospitare a casa sua. Condividemmo quell’appartamento per venti giorni e da allora sono tornato tutti gli anni”.

Come definisci la vostra amicizia?

“Ci sentiamo per confrontarci, ci divertiamo a guardare le partite di calcio, in particolare quelle del Barcellona e del Milan, oltre a sfidarci alla Playstation. Ricordo che quando si fidanzò con Esther andavo da loro e, sentendomi in debito, ero disponibile a compiere qualunque faccenda per ringraziarli dell’ospitalità!”.

A chi ti sei ispirato da piccolo?

“Consumavo le videocassette della Mondocorse, stravedevo per Dougie Lampkin che guidava la Beta Techno del 1997”.

Matteo Grattarola si racconta


Com’è la giornata tipo di Matteo Grattarola?

“Mi sveglio alle 7.30, accompagno mio figlio Achille all’asilo (ma, sorridendo, la compagna Martina dice che il più delle volte è lei a farlo, nde), poi alle 9.30 inizia l’allenamento con Angelo Colombo, il mio seguidores, fino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio decidiamo se proseguire con un po’ di zone Indoor, oppure Outdoor nel caso la mattinata sia trascorsa su ostacoli artificiali, ma se l’allenamento è andato bene torniamo a casa. Nel periodo estivo, invece, dopo l’allenamento usciamo in bici”.

Nel 2018 sei passato dalla GASGAS due tempi alla Montesa 4T e, contemporaneamente, dalla TrialGP alla Trial2: una scelta coraggiosa e rischiosa perché eri obbligato a vincere.

“È stata una scommessa per tutti! Mi trovavo bene con il team di Claudio Favro ma cercavo nuovi stimoli. All’Indoor di Marradi del 2017 dissi a Gino Sembenini che mi sarebbe piaciuto correre con una Montesa. Qualche tempo dopo ricevetti una telefonata di Gino e, con un po’ di paura, visto che tecnicamente il 4T non sembrava a livello della concorrenza, accettai. Nel 2018 ho vinto l’Europeo, l’italiano Indoor e Outdoor, e il Mondiale della Trial2!”.

Nel 2020 sei tornato al due tempi per il secondo titolo.

“Già alla fine del 2018 con il Team Sembenini pensavamo di passare in TrialGP: volevamo una moto simile a quella ufficiale ma il progetto non è andato in porto, e ho continuato nella Trial2. Sapendo che per correre in TrialGP serviva una moto con un motore simile a quello ufficiale, ci siamo resi conto che non avremmo potuto ottenere quanto ci aspettavamo, così sono passato alla Beta, con cui ho corso la terza stagione in Trial2, conquistando il titolo a Lazzate. Da lì sono tornato in TrialGP: allenandomi, vedevo che non ero lontano dai piloti della categoria, così io e il team ci abbiamo provato, e ho chiuso al quarto posto”.

Ponte di Legno 2022: cosa ricordi del successo nella classe regina?

“Me la sono tatuata quella data! Mai avrei pensato di poter vincere a 34 anni una gara della categoria più importante. Avevo ottenuto dei podi e in Germania ero andato vicinissimo al successo, a Ponte di Legno ho completato l’opera”.

Preferisci il “no stop” o lo stop?

“A noi piloti va bene tutto, ma credo che la soluzione migliore sia quella del tempo massimo per terminare la zona permettendo al pilota di fermarsi. Inserendo un sistema che scandisce il tempo, con un display visibile a tutti, sarebbe anche più semplice il lavoro del giudice di zona”.

Quali caratteristiche deve avere la tua moto? Anni fa avevi detto di usare un ammortizzatore con tarature buone soltanto per te.

“Ogni pilota ha le sue esigenze. Amo i motori che forniscono una grande coppia in basso”.

Quale moto vorresti per una tua collezione?

“Ho appesa in casa la Montesa con cui ho vinto il titolo, poi mi piacerebbe avere la Beta e infine la GASGAS 2017. Ce l’ha Andrea Tron (storico tecnico e amico di Grattarola, nde), ma non me la vuole vendere: e pensare che la usa per andare in giro insieme ai figli!”.

Andrea Petrella, Fabrizio Moretto, Zep Ciresa, Matteo Poli e Angelo Colombo ti hanno seguito nella tua carriera: come li descrivi?

“Con Andrea sono cresciuto molto e ho vinto i primi titoli, ha aiutato anche molti giovani. Fabrizio mi seguiva soltanto in gara e ancora oggi abbiamo un bellissimo rapporto. Anche mio cugino Zep mi ha aiutato molto, mentre con Matteo abbiamo condiviso due stagioni di gare, viveva qui da me, ed eravamo insieme 24 ore su 24. Angelo è al mio fianco dal 2018: all’inizio lavorava nell’azienda del padre poi, un paio d’anni fa, in accordo con la sua famiglia ha scelto di seguirmi a tempo pieno”.

Recentemente ti abbiamo visto dispensare consigli a un gruppo di ragazzini durante il Beta Day: vedremo in futuro una Grattarola School?

“Mi piacerebbe. Adam Raga, per esempio, ha fatto un bellissimo lavoro e, quando smetterò, mi piacerebbe aiutare i giovani a crescere. Vedrei però più una Grattarola–Colombo Trial School, perché mi piacerebbe continuare il cammino con Angelo”.

Tuo figlio Achille seguirà le tue orme?

“Sarebbe bello se giocasse a tennis e diventasse bravo come Jannik Sinner. L’importante è che trovi la sua strada”.

Chi senti di dover ringraziare?

“I miei genitori, la mia fidanzata Martina, che spesso rimane a casa da sola con Achille, chi mi ha sostenuto. Da Beppe Arrigoni fino a oggi, Angelo Colombo e sua moglie Sara, il Gruppo Sportivo Fiamme Oro, il Team Beta”.

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