MotoGP: Honda e Yamaha, quando risorgerà il Sol Levante?

MotoGP: Honda e Yamaha, quando risorgerà il Sol Levante?

I nuovi ingegneri e le concessioni non sembrano aver ridestato le due Case: i prossimi mesi saranno decisivi

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25.04.2024 ( Aggiornata il 25.04.2024 09:06 )

Una stretta di mano a quattro, volti sorridenti, lo sguardo verso un orizzonte fatto di successi. Fa strano pensare che i quattro soggetti – Fabio Quartararo e la sua ombra Thomas Maubant, più Lin Jarvis e Takahiro Sumi – rappresentino un binomio che negli ultimi due anni è passato da una solida leadership nel Mondiale alle difficoltà a entrare in Top 10, con annesse lamentele del pilota campione del Mondo nel 2021.

Da quel celebre "A Iwata forse hanno finito i cavalli" pronunciato per definire il deficit di potenza della M1, sono passati due anni e altrettanti rinnovi. E a giudicare dall’esito della prima estensione contrattuale, con il ritmo al passo del gambero – a metà 2022 era primissimo nel Mondiale, chiuso al secondo posto, da allora non ha più vinto un GP e l’anno scorso ha terminato decimo – o El Diablo sa qualcosa di cui il resto del mondo non è a conoscenza, oppure per lui si può prestare la celebre locuzione latina: “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.

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La crisi Yamaha e Honda


La spiegazione del francese è stata un inno alla fedeltà alla Casa che lo lanciò in MotoGP, e si unisce a un aspetto economico certamente favorevole (e non guasta mai) nonché all’auspicio di trovare nella M1 “italianizzata” grazie anche al lavoro degli ex ducatisti Max Bartolini e Marco Nicotra – attesa nei test del Mugello – la moto che possa riportarlo al top. “Sono super felice di annunciare che rimarrò in blu – ha postato sui social Quartararonel passato inverno la Yamaha ha mostrato un nuovo approccio, più aggressivo, e la mia fiducia è alta. Torneremo in alto assieme”. Niente Aprilia, dunque, ma l’intenzione di diventare una sorta di locomotiva per la risalita delle Case giapponesi che, da rivali, oggi si trovano a condividere le posizioni di bassa classifica.

Una crisi le cui radici, paradossalmente, risalgono a quando le cose andavano bene, anzi benissimo. Ben prima, quindi, del dominio europeo – italiano – del recente triennio. Oltre a perdere posizioni nelle graduatorie piloti e costruttori, Ala Dorata e tre diapason hanno smesso – forse perché disorientate dai cambiamenti in corso – di innovare, ovvero portare in pista soluzioni tecnologiche da imitare. Al contrario, a rigor di cronaca è onesto registrare come a Tokyo e Iwata abbiano da tempo ispirazioni di stampo Ducati, Aprilia e, in parte, KTM. Proprio le tre firme oggi al top.

Senza esagerare, potremmo dire che, quando primeggiavano, Honda e Yamaha vivevano il momento come “La Cicala e la Formica”, meravigliosa favola deposta da Esopo, capace di narrare la differenza tra atteggiamento godereccio e laborioso. Attenzione, non stiamo affermando che i due marchi siano rimasti con le mani in mano quando tra le mani giravano trofei. Semplicemente “vincere facile” ha reso poi le cose difficili. La MotoGP prima maniera – cubatura 990, apertura a esperimenti vari, gomme meno estreme e plurimarca, assenza di ali e device – si dice fosse cosa per chi stava in sella: "Il pilota fa la differenza, è lui il 'pezzo' risolutore". Potremmo essere d’accordo, pensando a Valentino Rossi, campione, guardacaso, con Honda e Yamaha. Il passaggio alle 800 venne meglio interpretato dalla Ducati e da Casey Stoner, un intermezzo rosso tra anticipi e ritorni delle “nippo”, valido fino al 2021 compreso. A precedere il Mondiale conquistato da Fabio Quartararo sulla M1 ufficiale, bisogna tornare indietro di qualche passo, transitando per il 2020 contraddistinto dal duo Joan Mir-Suzuki. In quella irta (non IRTA) di ostacoli stagione pandemica, in mezzo a tante stranezze, ecco l’infortunio di Marc Marquez che, a Jerez, stava probabilmente disputando il miglior GP della carriera, rivelatosi invece ferale. Ruzzolone nella ghiaia, frattura e fine di una rimonta nella quale superava in ogni modo: staccata, accelerazione, interno ed esterno.

Nell’albo d’oro, l’otto volte iridato conta l’ultimo titolo nel 2019 dei record, momento in cui lo stesso Esopo avrebbe così citato: “Cara Formica, cosa fai? Vieni sull’albero con me, così cantiamo insieme. Non puoi continuare a lavorare, goditela un attimo”. Ricevendo risposta: “Grazie per l’invito, ma io sono indaffarata a mettere via provviste per l’inverno”. La Cicala, stupita, avrebbe risposto: “L’estate è ancora lunga. Che senso ha preoccuparsi adesso?”. La Honda, invece, all’Angel Nieto si preoccupò, eccome, in quanto consapevole che lo sviluppo della RC213V era indirizzato da e per Marquez. La lunga assenza del catalano, i ritorni a spot, le ricadute e le operazioni aiutarono poco e niente e, giusto per complicare le cose, ecco il blocco logistico: per gli ingegneri giapponesi divenne impossibile affrontare viaggi dall’Asia al Vecchio Continente, un divieto che rallentò il processo di crescita della moto.

Nel frattempo, infatti, esplodeva l’esigenza aerodinamica richiesta da ingegneri e prototipi, con l’avvicinamento concettuale alla Formula 1. Tanto che, in merito alle moto, il commento comune è: “Ora si fa meno la differenza, quasi niente. I distacchi sono risicati, superare è quasi impossibile, la moto è più importante del fattore umano”. Chi ha osato durante la pandemia e il periodo di blocco dello sviluppo, ne sta traendo vantaggio. Chi ha tergiversato, rimanendo conservativo, paga dazio. Ed è quanto accaduto anche in ambiente Yamaha, “abituata” ad affidarsi al Marquez della situazione: Valentino Rossi, Jorge Lorenzo, Fabio Quartararo, un trio da otto titoli nell’arco di 18 stagioni. Il francese, inconsapevolmente, ha fatto un regalo a Iwata simile però a un autogol: battendo tutti ha illuso che il progetto quattro in linea a scoppi irregolari e con forme e infrastrutture convenzionali potesse funzionare ancora a lungo. In termini organizzativi Honda e Yamaha non si discutono ma, se occorrono dosi di fantasia ed esplosività, meglio passare dopodomani.

Ma il domani è tardi in MotoGP, ecco perché dobbiamo consultare i risultati. Nel 2020 nessuna vittoria per la RC213V, la Yamaha ne ottenne sette (su 14 GP) ma non portò a casa nulla complice la penalità nel Mondiale costruttori per il caso delle valvole cambiate in corso d’opera.

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