MotoGP, Flamigni: "Bezzecchi è metodico e puntiglioso come Rossi"

MotoGP, Flamigni: "Bezzecchi è metodico e puntiglioso come Rossi"© Luca Gorini

L'intervista all'uomo chiave dei successi del Bez: "Dopo il ritiro di Valentino, con Marco è iniziata un’altra vita sportiva"

24.08.2023 ( Aggiornata il 24.08.2023 17:48 )

Matteo Flamigni era incredulo, e pure preoccupato. Valentino Rossi, lasciati i semimanubri della Yamaha M1 nelle mani dei meccanici del nuovo team, cercò immediatamente il fido telemetrista che, osservando il pilota sfilarsi il casco, non sapeva cosa pensare. Il warm up del GP Malesia 2004 aveva fatto registrare il miglior crono siglato dal numero 46, leader della classifica e con le mani sul sesto titolo iridato, il primo vestito di blu Yamaha.

Alzata al visiera, il sussurrio di parole indimenticabili tra il professionista di dati, grafici ed elettronica e il diretto assistito: “Domandai a Vale se fosse tutto a posto” il ricordo del cinquantatreenne oggi capotecnico di Marco Bezzecchi nella formazione Mooney-VR46 equipaggiata Ducati. “Sembrava piuttosto soddisfatto, poi... mi spiazzò, palesandosi scuro in volto. Disse che non riusciva a impennare, proprio non ce la faceva. Dovevamo ancora disputare la gara, e lui già pensava a come festeggiare la vittoria! Vittoria eventuale e sperata, perché le variabili del caso si sprecavano. Ma lui si sentiva talmente certo da far diventare sicuro puro il sottoscritto”.

Classifica piloti AGGIORNATA

Matteo Flamigni: gli inizi, Valentino Rossi


Fu una conquista storica, unica.

“Sì, e pure una conferma, valorizzata dal primo posto domenicale di Sepang, che ci lanciò spediti e convinti a Phillip Island, dove sancimmo l’impresa. Quell’aneddoto non è preso a caso ma, se me ne chiedete altri, non saprei rispondervi. Ne ho troppi, davvero troppi”.

Chissà quante emozioni collezionate nella tua carriera.

“Infinite. Cominciai in Superbike a metà anni ’90, occupandomi di acquisizione dati e analisi del caso. A braccetto con la passione e la Laurea in Ingegneria Elettronica conseguita a Bologna, il gioco si tramutò in lavoro. Passai dalle derivate di serie guidate da Gianmaria Liverani e Pierfrancesco Chili alle prototipali 500 due tempi, seguendo le Yamaha YZR di Luca Cadalora e Troy Corser. Era il 1997, nel 1998 fui al fianco di Alex Barros nel Team Honda Gresini, nel 1999 mi occupai della NSR 250 di Loris Capirossi sempre nella struttura di Fausto, nel 2001 passai alla Yamaha ufficiale condotta da Max Biaggi, nel 2003 ci fu Marco Melandri, poi arrivò Rossi. Con Valentino cambiò ogni cosa: sistema, atmosfera, metodo. E i risultati”.

Quel 2004, nel passaggio da Honda a Yamaha, rimarrà unico.

“Certo, Vale riportò in auge la M1, precedentemente costretta a centro gruppo o nelle retrovie. Il solo podio calcato da Barros l’anno prima spiega bene la situazione, mentre Rossi centrò subito il target prefissato, quel titolo definito da tutti impossibile, un azzardo soltanto a pensarlo”.

Studiando tracciati e algoritmi di Valentino, cosa hai notato?

“Una grande ripetitività e un’impressionante costanza di rendimento in gara, nel martellare cronometro e avversari. Poi la capacità di far scorrere rapida la Yamaha in curva, a seguito di una micidiale staccata e conseguente piega lestissima e precisa. E posso dire che…”.

Cosa?

“Questo è incredibile pure per me. Dopo aver comunicato il ritiro, alla conclusione dell’ultimo GP, a Valencia, nella cena serale mi prese da parte, fornendomi un pensiero: ‘Sai Matte, per me la moto volterebbe meglio se facessi così…’. Realizzai davvero quanto Valentino fosse avanti anni luce. E lo era”.

Quando ha smesso Valentino, ha smesso anche una parte di te.

“Confermo pienamente, infatti ho scelto di cambiare mansione. Mi sono sentito il telemetrista di Rossi, con il quale ha condiviso trionfi e tonfi, successi e momenti duri, epoche diverse in Yamaha e annate in Ducati. Sembra ieri che iniziavamo, invece ho lavorato con Rossi quasi vent’anni. Volevo mettermi in gioco diversamente, eccomi qui”.

Bagnaia-Ducati, il legame rende invincibili

La nuova vita di Matteo Flamigni con Marco Bezzecchi


Qui c’è Marco Bezzecchi con la sua Desmosedici: tu sei il capotecnico.

“Il mio operato è più complesso: mercoledì e giovedì si adattano le moto al tracciato in oggetto, si fa un programma di gestione gomme, considerando le durate per la Sprint e per il GP, si ascoltano i commenti del pilota, modificando in seguito quanto richiesto. La moto gli deve essere cucita addosso. Servono esperienza, improvvisazione e al tempo stesso studio. Oltretutto, è opportuno controllare il meteo. Della GP22 seguo diversi aspetti, nell’interezza del veicolo, a 360 gradi: gomme, freni, assetto, telaio, sospensioni e tutto quanto. Controllo anche l’elettronica, già che ci sono (ride)”.

Noti similitudini tra il Bez e Vale?

Marco è efficace nei settori veloci, stessa caratteristica di Rossi. Tuttavia, il comune denominatore tra i due, ma vale anche per i membri della Academy, resta la capacità di leggere e interpretare i dati. Bezzecchi si sofferma con me per parecchio tempo, ponendo attenzione ai grafici, peraltro condivisi dalla Ducati: il confronto con le altre Desmosedici è possibile, e Marco è sempre metodico e puntiglioso, come lo era Vale”.

Quanto è cambiata la MotoGP?

“Enormemente. Oggi abbiamo una sezione aerodinamica influente, che incide sulle strategie antiimpennamento. Il traction control interviene diversamente, la rapportatura del cambio esige settaggi particolari. Molto è cambiato, ma ho notato una cosa piacevole”.

Cosa?

Il pilota fa ancora la differenza. Le due vittorie di Bezzecchi in Argentina e Francia lo testimoniano: si è messo alle spalle ben sette Ducati, cioè MotoGP della stessa marca. Alla fine vince sempre uno, Marco lo ha fatto. Con lui ho vinto io. E non pensavo”.

Passa alla prossima pagina dell'intervista

1 di 2

Avanti
  • Link copiato

Commenti

Leggi motosprint su tutti i tuoi dispositivi