Il mondo delle hospitality spiegato dall'interno: Vincent Moretti e Truckinbox

Il mondo delle hospitality spiegato dall'interno: Vincent Moretti e Truckinbox© Luca Gorini

Ben nove team si affidano a Moretti, la cui avventura parte da lontano: "Ho iniziato 18 anni fa, cucinando per due team in un gazebo. Il Covid ci ha rovinato e portato ad un anno zero"

11.08.2023 ( Aggiornata il 11.08.2023 16:02 )

Il paddock della MotoGP è un mondo articolato, costituito da tante entità di diversa misura che contribuiscono a rendere reale lo spettacolo che i tifosi ammirano in ogni weekend di gara. L’aspetto puramente tecnico del motociclismo, legato a piloti e tecnici, è solo una parte del mondo MotoGP, dove a svolgere un ruolo altrettanto fondamentale sono anche le hospitality, ossia le strutture dove addetti ai lavori ed ospiti dei rispettivi team si recano per mangiare, dialogare o semplicemente prendersi un momento di pausa. Nel cosmo delle hospitality sono tante le figure di riferimento, una delle quali è Vincent Moretti, CEO di Truckinbox, l’azienda che cura gli hospitality di ben nove team tra Moto3 e Moto2: CIP, VisioTrack, Fantic, Italtrans, MTA, MT, Speed Up, RW e Prustel.
 
Vincent, come racconteresti la tua professione?
 
“Partirei da un presupposto, ossia il fatto che dietro l’ora di gara che si vede in tv c’è tanto altro, ossia una settimana di lavoro. Noi arriviamo nel paddock il lunedì, e montiamo le hospitality dove piloti, meccanici ed ospiti delle squadre si possono ristorare nel corso dei giorni. I semirimorchi che trasportano le hospitality sono come dei Transformers, dato che in una giornata passano dall’essere semplici camion ad essere vere e proprio strutture ricettive, all’interno delle quali svolgere varie attività. Noi come Truckinbox offriamo ai team un pacchetto completo e chiavi in mano, grazie al quale non preoccuparsi di nulla: al loro arrivo in pista le squadre infatti trovano tutto pronto. Il nostro catering è composto da 3 cucine e 5 cuochi: in generale cerchiamo di offrire una alimentazione leggera, pratica ed ovviamente internazionale, dato che collaboriamo con team di diverse nazionalità. Parallelamente all’aspetto prettamente alimentare offriamo ad aziende e privati la possibilità di poter vivere l’esperienza della MotoGP a 360 gradi, con tante iniziative ad hoc, passando tra box, camion e pista”.
 
Quando hai iniziato?
 
“Ho iniziato 18 anni fa come chef di un catering, ma dopo qualche anno ho capito che questo era il mio mondo, così ho aperto la mia attività. Non è facile entrare in questo paddock, dato che parliamo di un ambiente molto chiuso, dove la fiducia va guadagnata. Si procede passo dopo passo, ed ora gestisco 9 team tra Moto2 e Moto3”.
 
Come descriveresti il mondo delle hospitality?
 
“E’ un mondo particolare, dato che da niente si crea un piccolo villaggio, che la domenica viene smontato. Ai nostri clienti cerchiamo di offrire un servizio mirato: negli ultimi anni ad esempio il cibo sano è divenuto un tema importante, al quale fare molta attenzione”.

Il Covid, la ricerca del personale ed il calendario MotoGP

Come è cambiato negli anni il paddock in relazione al tuo lavoro?
 
“L’alimentazione è la principale, ora si è molto più attenti. Sono cambiate anche le strutture, dato che ora anche i team più piccoli prediligono strutture rigide, in modo da offrire un pacchetto di livello più alto a tutti gli ospiti, che restano il fulcro. Per gli ospiti dei team il pass ha un valore inestimabile, tanto che a volte ha salvato dei rapporti piuttosto incrinati. Chi vive l’esperienza della MotoGP ne esce affascinato, anche se non conosce perfettamente il mondo. Per questo dico spesso ai miei ragazzi che non sono io a pagare loro, ma direttamente i clienti, perché se il cliente esce dalla hospitality contento significa che abbiamo fatto un buon lavoro, e di conseguenza abbiamo soddisfatto il nostro cliente iniziale, ossia il team”.
 
Quali sono le difficoltà principali del tuo lavoro? La pandemia Covid ha lasciato tuttora strascichi?
 
“Il Covid ci ha rovinato. Le stagioni 2020 e 2021 sono state terribili, specie la prima, dato che si entrava in una bolla e vi era il perenne terrore di essere positivi, dovendo di conseguenza bloccare tutto. Uno stress mentale che si sommava a quello lavorativo. Ad oggi direi che il problema principale è la ricerca del personale, dato che con il Covid molti hanno dovuto trovare un’altra occupazione, e nel 2022 ci siamo trovati a fronteggiare una sorta di anno zero, con la necessità di assumere nuove figure, dopo il taglio del personale del biennio precedente. Ripartire ed insegnare a nuove persone il funzionamento di questo mondo è stato stressante, il tutto in un lavoro che per noi è stagionale, in relazione al quale è dunque difficile offrire ad un dipendente un pacchetto di un certo tipo”.
 
Il nuovo calendario, sempre più orientato fuori dai confini europei, può rappresentare un problema?
 
“Per noi questo è un grande problema. In passato si era arrivati a 13 tappe europee, che per noi erano importanti, ed attualmente fare le gare oltreoceano per noi è impossibile a causa dei costi. Se si continuasse a ridurre il numero delle gare europee sarebbe un problema per noi, ma anche per i team, sempre a causa dei costi. Non credo comunque che diminuiranno ulteriormente le tappe europee, per un insieme di ragioni”.
 
Hai un aneddoto legato al tuo lavoro che ti è rimasto impresso?
 
“A volte è capitato che un camion non arrivasse a destinazione per qualche problema. Una volta abbiamo dovuto tamponare l’assenza di un camion spostando alcuni team in altri hospitality: non è stato semplice, ma ci siamo riusciti. Ricordo che ho iniziato con una cucina dentro un gazebo, dove cucinavo per 2 team. Serve inventiva, cercando di creare qualcosa anche con poco. Oggi sento questo mondo molto più mio, e la crescita compiuta mi inorgoglisce”.
 
Quali sono le tue prospettive future?
 
“In questo momento l’obiettivo è consolidare i team che abbiamo. Aumentare il numero di clienti non è necessariamente positivo, quindi per ora vorrei appunto consolidare ciò che ho, anche perché non tutti i team possono garantire una continuità. Il problema del personale inoltre non mi permette di pensare ad un ampliamento: un cuoco in questo ambiente ottiene un ottimo stipendio, ma deve avere particolari capacità che esulano dalla cucina, come ad esempio quella di saper montare le strutture. Occorre essere polivalente ed amare questo ambiente per poterci lavorare”. 

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