Luca Cadalora: il pilota che ha sempre seguito il cuore | Storie Sprint

Luca Cadalora: il pilota che ha sempre seguito il cuore | Storie Sprint

La storia del pilota emiliano, raccontata in questa intervista esclusiva

Jeffrey Zani

23.03.2023 ( Aggiornata il 23.03.2023 10:11 )

Luca Cadalora, Luciano Pavarotti. Di Modena, entrambi. Uno veleggiava con la voce sopra orchestre di legni e ottoni, l’altro si faceva accompagnare dal sibilo plurale di due e quattro cilindri accordati all’unisono.

La Storia Sprint di Luca Cadalora


Mondi apparentemente distanti, i loro, dalla quiete dei camerini alla frenesia dei box, dalla misura del palco agli eccessi della pista. Eppure, un punto d’incontro c’è stato. Il pilota emiliano si è ritrovato a intonare alcuni passi d’opera proprio come il concittadino, anche se a modo suo e in contesti del tutto diversi. È successo a cena, nelle tavolate con cui il Team Roberts, impegnato in 500 con la Yamaha, chiudeva le sue domeniche migliori. Era la prima metà degli anni ’90: il boss della squadra dei tre diapason, Kenny, dell’Italia amava non soltanto il cibo e il vino, ma anche la musica.

E così, in quel clima di festa, incoraggiava Cadalora per farsi cantare qualche verso. Fra un “‘O Sole Mio” e un “Nessun Dorma” il modenese ha sfoggiato il suo lato più radioso, anche se in altre occasioni ammette di essere stato un personaggio difficile, talvolta scorbutico, persino scomodo. Iridato nella 125 nel 1986 e autore di una doppietta in 250 nel ’91 e ’92, nella classe regina ha assaporato l’agrodolce soddisfazione di chi si cimenta nella sfida impossibile: dopo tre anni alla corte di Roberts, in sella alle YZR ufficiali marchiate Marlboro, ha mandato al diavolo l’americano e si è presentato in griglia con una Honda privata e senza un main sponsor.

Nello schieramento multicolore del 1996, fra lampi fluorescenti e azzardi grafici, la sua carena bianca e spoglia appariva come un’involontaria e sfacciata provocazione. Nel mirino dell’italiano c’era il grande numero uno del periodo, Mick Doohan, inarrestabile sulla NSR 500 ufficiale.

Cadalora l’ha fatta grossa: è riuscito a vincere il primo round della stagione creando un piccolo terremoto e calamitando qualche antipatia. A 30 anni dal suo approdo definitivo in top class, e in vista delle 60 candeline che spegnerà in maggio, Cadalora si guarda indietro per raccontare armonie e dissonanze di una carriera da 34 vittorie nelle tre classi, di cui otto in 500.

Luca Cadalora: l'intervista


Quella stagione, il 1996: una follia?

“Ho sempre seguito il cuore, nelle mie scelte. Mi sentivo di fare questa cosa e sono andato avanti. È stato un azzardo. Una stagione di ribellione. Mi opposi a certe scelte del team con cui correvo, gestito dal tre volte campione del Mondo Kenny Roberts”.

Era la struttura ufficiale Yamaha con cui avevi esordito nel 1993, al fianco del campione del Mondo in carica Wayne Rainey: perché avvenne il divorzio?

“Volevo correre con le gomme Michelin, come la stragrande maggioranza della griglia. Non averle costituiva un handicap, anche se ero già arrivato secondo nel Mondiale e avevo vinto diverse gare. C’era un’impressionante altalena di performance: in alcune piste i pneumatici funzionavano, in altre no. Quei tre anni con le Dunlop mi avevano logorato. Ero stanco”.

Da ufficiale dei tre diapason a privato in sella a una Honda: come fu il passaggio?

“Il primo test a Phillip Island fu disastroso. Non mi trovai affatto bene, con la base usata da Doohan. Feci pure un gran volo: mi si piantò una pedana nella coscia, sfiorandomi l’arteria femorale. Un bel buco, drenaggio e via dicendo. Lasciai l’Australia malconcio e preoccupato. La NSR non mi era piaciuta”.

Poi un secondo test, con questa moto che non sembrava funzionare come serviva a te.

“Andammo in Malesia, dove si sarebbe corsa la prima gara. Erv Kanemoto, il capotecnico che mi seguiva e che aveva già lavorato con me nei titoli vinti in 250, si era dato da fare per assecondare le mie esigenze. Finalmente, mi trovavo bene. Il tecnico ufficiale della Showa ci fece provare un sacco di roba per le sospensioni. Fece il massimo per assecondarmi, mi diede tutto. Probabilmente, serviva anche a lui...”.

Come si sviluppò a quel punto il rapporto con la Showa?

“Dissero che ci avrebbero fornito forcella e ammortizzatori dei piloti ufficiali. Ma occorreva pagare per avere materiale così speciale e diverso dallo standard. La cifra era esorbitante, tipo 150.000 dollari soltanto per la forcella. Il mio ragionamento: sono matti? Avevamo fatto diverse giornate di test, per far funzionare il loro materiale. E a loro vantaggio. Era quello, il modo di trattarci?”.

La prima gara, proprio in Malesia, a Shah Alam: cosa ricordi?

“Vinsi, ma dalla Honda non venne nessuno a complimentarsi. Sembrava avessimo fatto qualcosa di male. In quel momento compresi che sarebbe tata tosta, da lì in avanti. Mi ero messo dietro Doohan e ciò aveva creato qualche rigidità. All’HRC faceva piacere se uno vinceva una gara ogni tanto, gli dava anche una mano, magari per la gara di casa".

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