Yamaha Mondiale, Eddie Lawson: tanto gas, pochi errori

Yamaha Mondiale, Eddie Lawson: tanto gas, pochi errori© GpAgency

Steady Eddi raccolse l'eredità di Roberts, regalando tre Mondiali a Iwata grazie alla capacità di ridurre gli errori al minimo. Ma dopo lo "sgarbo" con Honda, visse un ritorno amaro in Yamaha

04.05.2022 ( Aggiornata il 04.05.2022 20:19 )

La reprimenda di Kenny Roberts, rivolta al più giovane compagno di squadra del Team Agostini, aveva raggiunto toni così alti da echeggiare nelle ampie sale dell’Autodromo di Imola (ai tempi “Dino Ferrari”, non c’era ancora l’intitolazione anche al Drake). Il Marziano, già titolato per tre volte consecutive nella classe 500, aveva appena perso il confronto diretto con Freddie Spencer, neocampione 1983 con la Honda, incoronato al Santerno proprio dal Re di quell’epoca.

Il linguaggio non proprio oxfordiano del pilota di Modesto – all’ultima gara nel Mondiale – oltre ad arrivare dritto in faccia alla seconda punta Yamaha, giunse alle orecchie di Checco Costa, fondatore del circuito e ideatore della 200 Miglia italiana. Il papà dell’allora giovanissimo e futuro “Dottorcosta” Claudio, con grande aplomb e sicurezza disse la sua: “Eddie è al primo anno di competizioni in Europa, posto molto diverso dagli Stati Uniti. Dategli tempo per imparare e vedrete: Lawson vincerà più titoli di Spencer stesso”. King Kenny, vincitore nel GP ma battuto per appena due lunghezze in quel Mondiale, non era in grado di accettare la sconfitta, imputandola a una (ipotetica e mai confermata) scarsa collaborazione da parte di Lawson.

Per sorpassare Spencer, a Roberts sarebbero serviti i 15 punti assegnati dal GP San Marino, ma anche un pilota in grado di precedere Fast Freddie sul traguardo. Quell’alleato doveva essere Lawson, ma invece Spencer chiuse secondo a breve distanza dal trentaduenne californiano, e precedendo il rookie Lawson. “È stato un modo poco simpatico per abdicare, il suo, però abbiamo nel Mondiale uno capace di fare anche meglio” la seconda profezia di Costa senior.

Azzeccatissima, esattamente come si rivelò la prima. Forti di quanto successo stagione dopo stagione, possiamo affermare che il papà di Claudio, per quei pronostici lungimiranti, uniti a tante altre storiche iniziative ne sapesse davvero di piloti e gare professionistiche: Eddie Lawson ha avuto una carriera fantastica, nella quale è stato capace di collezionare 31 vittorie, 26 delle quali rappresentando i colori Yamaha, portata al massimo successo negli anni 1984, 1986 e 1988. Ai tre Mondiali ottenuti, il taciturno della San Bernardino Valley aggiunse un’ulteriore soddisfazione nel 1989, in quel caso marcata Honda. Come diceva il Signor Costa: “Eddie parla poco ma in pista martella. Nessuno è grande quanto lui”.

Le vittorie


Davvero, in quei tempi del Motomondiale, Lawson era proprio unico, a partire dallo stile di guida, rotondo, morbido, soave, l’esatto contrario rispetto a tanti talenti USA, costantemente di traverso e decisamente fisici in ogni singola manovra. Al talento di Upland, località dove è in voga la filosofia derapante del Dirt Track, piacevano invece le linee disegnate dal compasso, non le pieghe spezzate da una squadra.

Per riuscire in questo, fondamentale era la sua sensibilità meccanica, comprovata dai tecnici coi cui collaborava, L’assetto della sua YZR risultava sempre rigido e imponeva traiettorie precise poiché altrimenti la scivolata sarebbe stata probabile. Ma Lawson di cadute ne contò poche, e l’innata attitudine gli fece meritare il soprannome “Steady Eddie”, un gioco di parole che sottolineava la sua costanza e la capacità di rimanere in piedi.

Quei punti andavano anche, ovviamente, alla Casa che lo schierava. Quella dei tre diapason giovò delle prestazioni offerte dall’asso battente bandiera a stelle e strisce. Che non ebbe paura di raccogliere l’eredità di Roberts, iniziando il 1984 con il successo a Kyalami, il suo primo nel Mondiale, preludio a un’annata in cui i “peggiori” piazzamenti furono costituiti dai quarti posti di Rijeka, Spa-Francorchamps e del Mugello, mentre i podi furono nove, con quattro primi posti, altrettanti secondi e un terzo su un computo di 12 appuntamenti iridati.

I festeggiamenti del titolo avrebbero potuto essere brindati a champagne, ma l’autore dell’impresa spiazzò tutti, sorseggiando la Dr. Pepper, la bevanda preferita, introvabile, prettamente americana e fatta arrivare apposta da Oltreoceano. La stessa bevanda adorata dal rivale Spencer...

 A seguito di quella prima affermazione, la medaglia d’argento, datata 1985. Fu ancora il binomio Spencer-Honda, nella famosa doppietta 250-500, a offendere l’orgoglio della compagine Yamaha-Agostini-Marlboro, che si presentò qualche mese più tardi ulteriormente agguerrita e desiderosa di rimediare. Perciò ecco in pista una quattro cilindri gommata Michelin notevolmente potenziata, alleggerita e agile, progettata seguendo le richieste di colui che effettivamente seppe sfruttarla: Lawson portò la Yamaha al top con sette successi, un solo “zero”, e ogni GP portato a termine fu almeno un podio.

Le premesse per ripetersi, la Yamaha e il pilota le avevano anche per il 1987, terminato tuttavia alle spalle di Wayne Gardner sulla Honda e, attenzione. Randy Mamola con la YZR gestita da Kenny Roberts, piuttosto soddisfatto di “essersi messo dietro” chi non era stato in grado di aiutarlo. Eppure, i due californiani arrivarono a patti, ma questo tempo dopo.

Lo "sgarbo"


In primis, il “sempre in piedi” della 500 arrivò al terzo iride, sempre nella collaborazione con Giacomo Agostini. Ogni dettaglio della moto venne curato alla perfezione, dalle espansioni di scarico al serbatoio, dalla dimensione dei cerchi ruota all’ergonomia in sella. I giapponesi di Iwata, sempre più numerosi nel paddock, però non immaginavano che dopo quel trionfo nel 1988, Eddie avrebbe continuato a vincere ma con la concorrenza. Quello sgarbo – storico – si trasformò in un boccone indige sto per diverse parti.

Per la Yamaha, chiaramente. Per la Honda appena dopo, perché il campione tornò a vestire per il 1990 il bianco e rosso. E per Lawson stesso. Sì, poiché il numero 1 sfoggiato per l’HRC e portato in dote al Team Roberts – che nel 1990 schierò con i colori Yamaha-Marlboro il Dream Team con Lawson e il vice campione Wayne Rainey – portò buoni risultati a tutti nel team... meno che a lui.

Roberts trionfò in 250 con John Kocinski e in 500 con Rainey, mentre Lawson chiuse soltanto al settimo posto finale. L’infortunio patito nel secondo weekend, a Laguna Seca, condizionò tutto: Eddie si ritrovò senza freni, per via di una maldestra operazione di un meccanico. Un tipo come Roberts avrebbe insultato, inveito e, forse, licenziato il malcapitato. La calma olimpionica dello sfortunato protagonista, invece, spiazzò chiunque: “Dunque, da oggi sarà proprio lui a occuparsi dei freni della mia YZR. Sono convinto che, dopo l’errore, sarà l’unico a non sbagliare”. Con quella frase, l’ambiente comprese pienamente quanto e come Checco Costa avesse visto oltre.

La storia di Stefano Perugini, dalla 250 alle nocciole

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