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Melandri-Poggiali-Simoncelli, trionfatori nella 250 degli anni Duemila

© Milagro

Classe 250, casa nostra. Nelle 61 edizioni della cilindrata di mezzo, il tricolore è stato padrone in 22 casi, a cui si aggiunge un titolo del sammarinese Manuel Poggiali.

Nessuno, inglesi, tedeschi e in tempi recenti spagnoli, è riuscito ad avvicinare tale predominio, se è vero che la seconda scuola più titolata - quella britannica - non raggiunge la doppia cifra di titoli.

Un dominio che porta impressi i nomi di Bruno Ruffo, Dario Ambrosini, Enrico Lorenzetti, Carlo Ubbiali, Tarquinio Provini, Walter Villa, Mario Lega, nel passato più lontano. E poi Luca Cadalora, Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi, Marco Melandri e Marco Simoncelli. “Macio” e il SIC, assieme a Poggiali, hanno consentito alla 250 di parlare italiano anche nel Terzo Millennio, negli ultimi anni della categoria a due tempi, prima del passaggio alla Moto2 del 2010.

Il 2002 di Marco Melandri


“La 250 era una moto bellissima e difficile da guidare – dice un nostalgico Marco Melandri, campione con l’Aprilia nel 2002 – 100 cavalli per 100 kg erano tanta roba, era molto delicata e dovevi essere molto preciso”. “Era il giusto compromesso tra agilità e potenza – spiega Manuel Poggiali, successore di Melandri sull’Aprilia e al vertice della categoria – ai tempi il regolamento prevedeva la possibilità di sviluppare liberamente. Rispetto alle tante limitazioni di adesso era tutto aperto”.

Non sempre, però, nell’ultimo decennio di storia della 250 la situazione per gli italiani era stata rosea. Dopo il titolo di Rossi nel 1999, il sesto consecutivo per l’Italia in una serie iniziata da Biaggi e proseguita da Capirossi, sono arrivati due anni di stallo: nel 2000 a svettare fu il francese Olivier Jacque davanti a uno stuolo di giapponesi, cioè il compagno di team Shinya Nakano, il compianto Daijiro Kato e Toro Ukawa, con il rookie Melandri quinto. Nel 2001, invece, a vincere il titolo iridato fu lo straordinario Kato in sella alla Honda del Team Gresini, seguito dai due compagni di squadra in Aprilia, Tetsuya Harada e Melandri, con Roberto Locatelli quarto.

In quello stesso anno, il giovane e rampante Melandri, alla seconda stagione nella quarto di litro, ottenne la prima vittoria di categoria nel GP Germania, conquistando anche quattro secondi posti e quattro terzi posti. Un bel modo per preparare l’assalto al titolo nel 2002. Quando, ancora in sella all’Aprilia del Team MS Racing, Melandri lasciò poco spazio ai rivali, andando a conquistare nove vittorie (sei consecutive) e tre secondi posti. Un totale di 298 punti, 57 più di Fonsi Nieto, secondo. La gara decisiva della stagione fu quella di Phillip Island, la penultima in calendario, con lo scontro diretto tra Melandri e Nieto: tra i due, al traguardo, ci fu uno scarto di sette millesimi, sufficienti al pilota italiano per conquistare il titolo a soltanto 20 anni e due mesi. Meglio anche di Rossi, ma quel record sarebbe stato infranto due stagioni più tardi dal diciannovenne Dani Pedrosa. “Fu il coronamento di un sogno – ricorda Melandri – mettere al sicuro un titolo vincendo la gara e lottando fino all’ultimo giro con il proprio rivale... non poteva esserci finale migliore”.

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Il passaggio del testimone a Manuel Poggiali


L’enfant prodige, soprannome che Melandri si meritò grazie al primo successo in un GP iridato a meno di 16 anni, passò la moto e il testimone di campione del Mondo a Poggiali. Il quale non attese per conquistare il titolo della classe di mezzo, due anni dopo aver prevalso in 125. Melandri e Poggiali non si sono mai confrontati nella quarto di litro, ma entrambi concordano sul ruolo di questa categoria: un trampolino di lancio per la classe regina, seppure il sammarinese non compì mai il salto: “Era una categoria molto istruttiva – spiega Manuel – c’erano mille soluzioni ed era possibile lavorare in modo maniacale per poter rendere tutto veramente estremo”. Poggiali, ripensando al titolo ottenuto nel 2003, ricorda il supporto del grande team che ebbe alle spalle, ovvero l’MS Aprilia: “Quello che ha fatto la differenza è stato avere un’azienda che credeva in me. Questo mi ha dato una spinta in più, sono aspetti emotivi che fanno un’enorme differenza”.

Dopo un inverno di test che lo vide adattarsi benissimo alla nuova moto e alla nuova cilindrata, Poggiali piazzò subito una vittoria nella prima gara in Giappone, anche se a Suzuka non erano mancati gli inconvenienti: nelle qualifiche, che furono bagnate, sbagliò gomme e riuscì a piazzarsi soltanto 23° in griglia. Domenica mattina la gara fu però asciutta e pur scattando dalle retrovie, Manuel riuscì a salire sul gradino più alto del podio. Gli avversari erano avvertiti. Quell’anno Poggiali ottenne quattro successi, tre secondi e altrettanti terzi posti: il suo rivale principale fu Roberto Rolfo in sella alla Honda (unico pilota sulla moto di Tokyo a chiudere tra i primi sette classificati, in mezzo al contingente Aprilia). Il torinese, grazie alla costanza, riuscì a tenere aperta la corsa al titolo fino al GP conclusivo Rolfo, in 250 dal 1998, nel 2002 era riuscito a chiudere con il terzo posto in classifica generale mentre nel 2003 sfidò Poggiali ottenendo due vittorie, tre secondi posti e un terzo posto. Il sammarinese chiuse la partita a Valencia, l’ultimo GP. A dividerli furono 14 punti (249 per Manuel e 235 per Roberto). Come Harada nel 1993, anche Poggiali conquistò il Mondiale 250 al primo tentativo. Un risultato poi eguagliato da Pedrosa nel 2004.

L’invasione spagnola, prima di Marco Simoncelli


Un titolo, quello del catalano, che fu l’apertura di una nuova era, con cui la 250 anticipò quanto si sarebbe visto nel Motomondiale: l’invasione spagnola. Tra 2004 e 2007, il Paese iberico vinse sempre la 250 con i due rivali storici Pedrosa e Jorge Lorenzo a dividersi equamente la posta. Il maiorchino si ritrovò a duellare con Andrea Dovizioso, uno debig che non riuscirono a vincere il titolo: come lui, per esempio, Casey Stoner vice campione nel 2005, davanti a Dovi. Il forlivese ci riprovò nei due anni successivi, ma dovette arrendersi all’egemonia di Lorenzo e dell’Aprilia. In entrambi i casi, Andrea chiuse secondo davanti al sammarinese Alex De Angelis. Dove non riuscì Dovizioso, a compiere l’impresa fu l’allora alter ego – suo rivale sin dalle Minimoto e caratterialmente agli antipodi – Marco Simoncelli. Il ventunenne di Coriano, in sella alla Gilera RSA 250 non ufficiale cominciò la sua stagione d’oro, il 2008, con due “zero” causati da due cadute. Poi, però, le porte verso il gradino più alto del podio si spalancarono al Mugello, dove il rivale Hector Barbera finì a terra in modo spaventoso sul rettilineo, mentre era in scia al SIC.

Marco seppe ripetersi a Barcellona, al Sachsenring e a Phillip Island, anche perché nel frattempo l’Aprilia, proprietaria del marchio Gilera, aveva deciso di fornire al romagnolo la versione factory della RSA. E 51 anni dopo Libero Liberati, Simoncelli fu il pilota italiano che riportò la Gilera all’iride (nel mezzo ci riuscì in 125 Poggiali, sammarinese). Il SIC si fece spazio andando a vincere il titolo su Alvaro Bautista e Mika Kallio con una gara d’anticipo, in Malesia, dove tre anni dopo sarebbe scomparso. Indimenticabile resta l’immagine del giro d’onore senza casco, con la maglietta bianca celebrativa e il gesto delle braccia aperte. "Come un angelo" disse Paolo Simoncelli. Quell’immagine simbolica rappresenta idealmente l’ultimo capitolo della storia d’amore tra l’Italia e la 250.

Il SIC l’anno successivo non riuscì a ripetersi, pur essendo il pilota più veloce della categoria, e il titolo andò a Hiroshi Aoyama. Ma a Phillip Island, Marco firmò non soltanto la sua ultima vittoria, ma anche l’ultimo successo italiano nella categoria. È stata l’ultima medaglia per un Paese che si è dimostrato padrone della categoria, come e più degli Stati Uniti nell’era delle 500 due tempi. "I numeri parlano chiaro, non c’è altro da aggiungere" sentenzia Melandri. “Abbiamo avuto degli anni pazzeschi – conclude Poggiali, 'straniero' di passaporto ma non di lingua e soprattutto di estrazione sportiva – in 250 la nostra scuola ha fatto veramente la differenza creando tanti talenti competitivi e vincenti in ambito mondiale. Bisogna essere fieri del lavoro che è stato compiuto”.

Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250