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GP Legends: Kenny Roberts

Quella di Kenny Roberts poteva essere la vita anonima, ma non necessariamente triste, di un ragazzo di campagna. E se così fosse stato, non ne avrebbe fatto un dramma. Modesto, puntino nella cartina della California che non si affaccia sul mare, campi e pascolo a perdita d’occhio, non gli stava stretta. La città, le grandi città della costa, potevano stare dov’erano. Il giovane Kenny cresceva sviluppando una propria identità, si vedeva bene al lavoro con i cavalli e si preparava a diventare un vero cowboy. Ci sapeva fare, con i cavalli, e poi aveva il fisico robusto e i tratti più tipici del ruolo: capelli lunghi biondi, occhi di ghiaccio. Ma nel suo destino non c’era una vita da “farmer”. Avrebbe vissuto sì stando in sella, ma non una sella da cowboy. E avrebbe fatto fortuna dall’altra parte della luna, dove sarebbe stato ricordato per sempre come “il marziano” arrivato dal pianeta USA ad imporre la sua legge nel Mondiale GP.

Se la passione di Kenny Roberts per la moto esplode per caso, quando da ragazzino viene spinto quasi a forza a metterci sopra il sedere, rimanendo folgorato, la sua carriera di pilota da Gran Premio nasce e finisce a Imola, città di confine tra Emilia e Romagna sulle rive del fiume Santerno, dove quel genio buono e un po’ folle di Checco Costa decise di mettere in scena la versione europea della 200 Miglia di Daytona. Roberts vi partecipò per la prima volta nel 1974. Era la terza edizione e l’impatto con l’Italia lo portò a familiarizzare subito con un altro Costa, Claudio, figlio di Checco, medico dei piloti allora come oggi.

In gara fu secondo, alle spalle di Giacomo Agostini, come lui su una Yamaha. A Imola Roberts ha corso come in nessun altro circuito del Vecchio Continente, vincendo tre 200 Miglia (‘77, ‘83 e ‘84), il Gran Premio d’Italia del 1979 e quello di San Marino del 1983. Bei ricordi che fanno da contraltare a quelli meno felici, che pure ci sono stati: nel 1981 una cena di pesce avariato lo mise KO, costringendolo a chiudersi in bagno mentre Lucchinelli correva verso la vittoria, e il successo del 1983 non gli bastò a portare a casa quello che sarebbe stato il suo quarto titolo iridato. Freddie Spencer con il secondo posto si garantì i due punti necessari a far suo il mondiale. Una brutta botta.

Qualche mese dopo Roberts sarebbe tornato a Imola, raccogliendo l’invito a prendere parte per un’ultima volta alla 200 Miglia, quando già aveva dato l’addio alle corse e lasciato a Eddie Lawson il ruolo di prima guida Yamaha. Un omaggio gno Unito e del Nuovo Mondo si affrontavano in una sfida a squadre. A trattenerlo in America erano la fortissima passione per il dirt track e fredde logiche di bilancio. Che in quanto giovane padre di famiglia doveva pur far quadrare. Dal mestiere bello e pericoloso che si era scelto, doveva ricavare a sufficienza per tirare avanti, cosa che, conti alla mano, gli riusciva decisamente meglio a casa.

Correva tutti i sabati, sugli ovali del dirt track. Mettere la moto di traverso sullo sterrato e tenere il gas spalancato sul filo dei duecento all’ora è una qualità che gli ha permesso di fregiarsi del titolo di “numero uno” degli Stati Uniti sia nel 1973 che nel 1974. Un ottimo sistema per tenersi alla larga dai problemi economici. Del dirt track Roberts è una sorta di ambasciatore, gli sarebbe piaciuto esportarlo quando era in attività, lo ha fatto in qualche modo molti anni dopo, allestendo una sorta di base europea del suo “training ranch” dove a fianco del campo scuola dove affinare la guida “di traverso” trovava posto un bell’ovale di quelli veri.

Ha vinto due titoli americani di dirt track, tre titoli mondiali della 500, è stato il pioniere della guida con il ginocchio a terra, team manager, proprietario di squadre, costruttore di moto e parti speciali. E si è sempre esposto in prima persona per i diritti dei piloti. Quando ha vinto il titolo della 500 al primo tentativo, nel 1978, ha cominciato la stagione gareggiando in 250, 500 e 750 (è come se Ben Spies, nel 2010, avesse corso in Superbike, Moto2 e MotoGP) e nel 1979 ha vinto il suo secondo titolo della mezzo litro nonostante la frattura di una vertebra rimediata durante l’inverno, in allenamento. Oltre a questo, Kenny si è anche giocato un testicolo in un incidente avvenuto con una moto da cross, e si è preso una pallottola nella gamba sinistra in un incidente di caccia. Insomma, stiamo parlando di un pilota della vecchia generazione...

Il successo di Kenny Roberts nella 500 ha aperto la strada a una serie di talenti americani che hanno dominato la classe regina per due decenni. Dopo essersi ritirato dalle competizioni, nel 1983, Kenny Roberts ha creato il primo superteam di nuova generazione (il Marlboro Team Roberts) che ha portato il connazionale Wayne Rainey alla conquista di tre titoli della 500. E poi si è messo a costruire lui stesso delle moto da corsa: la KR3, con motore 500 2T a tre cilindri, è arrivato a conquistare una pole position (nel 2002, in Australia) mentre l’altra sua creazione – la MotoGP – non è stata così brillante. I suoi garage sono come un reparto corse: sono pieni di moto da corsa di ogni genere, pezzi pregiati e spesso unici.

La storia di Kenny Roberts, i suoi successi di ieri e una splendida intervista di oggi, sono in edicola con il numero doppio 1/2 di Motosprint.

Guarda le foto di Roberts

I numeri di Kenny Roberts


Anno
Classe GP
Pole Moto Punti Finale
1974 250 1 0 0 1 1 Yamaha 10 19
1978 250 4 2 2 0 3 Yamaha 54 4
1978 500 10 4 3 1 2 Yamaha 110 1
1979 500 10 5 1 1 5 Yamaha 113 1
1980 500 8 3 2 1 2 Yamaha 87 1
1981 500 9 2 2 1 0 Yamaha 74 3
1982 500 6 2 1 1 3 Yamaha 68 4
1983 500 12 6 3 0 6 Yamaha 142 2
  TOTALE 60 24
14
6
22
  658 -